Tra i macchinisti del Teatro alla Scala
di Leonardo Sinisgalli
in Sapere. QUindicinale di divulgazione
Anno II, vol. III, n. 26, 31 gennaio 1936
Tutti sono entrati di mattina entro il palcoscenico di un grande teatro d'opera. Un odore di segatura e di legno bagnato, molto buio e le tele del fondo oblique, come vele di navigli tirati all'aciutto. Non ci parebbe vero di trovare in un angolo la rosa di strass, caduta una sera dal petto della prima ballerina. Pochi riflettori sono accesi: gli operai girano cauti sulla scena; sotto il braccio hanno una colonna o un pezzo di cielo. Sono in tuta scura e le lampade che portano nella mano, in questa poca luce, potrebbero scoppiare come stelle. Le sedie e i cavalletti sono ammucchati contro una parete, i panorami appoggiati ai pilastri altissimi.
- Un paio di finestre! - chiede dal basso un macchinista al capo-soffitta. E le finestre vengono giù dall'alto. Sono ventotto metri d'altezza. Lassù stanno arrotolati tutti gli elementi di un paesaggio. Il capo-soffitta può darci indifferentemente un pezzo di Russia per il Boris, un po' d'Africa per l'Aida, un castello di Spagna per la Carmen. Ogni rotolo ha il suo cartellino in corrispondenza della fune che lo comanda e su cui c'è scritto il nome dell'Opera, l'atto e la scena. Non c'è da sbagliarsi. Il palcoscenico s'ingombra. Cadono pezzi di cielo dall'alto con un leggero attrito di corde. Le ballerine escono a frotte da una porticina e vanno nella sala di prova.
Abbiamo chiesto di Arturo Bongiovanni, capo macchinist del teatro Alla Scala. Lo troviamo nel suo camerino in fondo a un corridoio stretto e buio. Non è certo il camerino del tenore o della soprano: non ci sono cuscini di seta, nè profumi, nè impiastri. Attaccato ai muri c'è un ritratto con dedica di Ansaldo, su un piccolo tavolo con tappeto rosso ci sono le piante dell'opera da provare. Bongiavanni viene a dirci che tutto quello che ha imparato è frutto della sua esperienza e degli insegnamenti del suo grande maestro, del quale egli era il discepolo predietto. Di Ansaldo parlano ancora gli operai, come un tempo parlava di lui tutta Milano. Egli è stato per tanti anni il deus ex-machina di tutto questo cantiere delle illusioni.
Incominciamo col chiedere a Bongiovanni le dimensioni del palcoscenico (40 m di larghezza, 28 m di altezza) e alcune notizie sulle funzioni dei macchinisti in un teatro d'opera.
Un macchinista deve sapere a colpo d'occhio come va armato e disposto ogni singolo pezzo che compone la scena; deve provvedere a tutto, anche ai minutissimi particolari che possono essere causa di grossi inconvenienti durante lo spettacolo. Quando un'opera nuova deve andare in scena, lo scenografo (pittore e architetto) fa i bozzetti che vengono approvati dalla direzione del teatro e dal maestro compositore dell'opera; poi sono studiati dal regista per i movimenti di massa. Il capo-macchinista dispone per l'esecuzione dei bozzetti e per la costruzione del materiale (piani elevati, cavalletti, ponti ecc.) che il bozzetto richiede come scheletro, armatura. Realizzato sul palcoscenico sommariamente il bozzetto, dietro consiglio dello scenografo e del regista, il capo-macchinista fa eseguire il rilievo esatto della scena, vale a dire diverse piante quotate che serviranno poi per la ripresa dello spettacolo, e provvede a tutto il materiale che compone la scena, al suo movimento per probabili spostamenti repentini. Egli è il responsabile assoluto della stabilità del montaggio. E' coadiuvato da un capo-macchinista di destra, che provvede a tutta la parte destra della scena: discesa di fondali, messa a punto dei praticabili (materiale mobile alzato da terra), movimenti illusionisti ecc., da un capo-macchinista di sinistra, un capo-macchinista al fondo, un capo-soffitta, che ha il compito più delicato: quello di provvedere ad alzare a calare tutte le scene appese in soffitta. Tale operazione non viene fatta più direttamente, ma mediante tiri a contro-peso, ed è in via di studio un sistema di tiraggio idraulico, di manovra più comoda, più rapid e più sicura.
Le esigenze tecniche di un moderno teatro d'opera si riferiscono alle manovre e all'organizzazione di tutto il movimento meccanico della scena, specie nei cambiamenti a vista del pubblico, del quale si deve tener sempre desta la meraviglia. Per i movimenti di scena tutto deve essere organizzato nel modo più perfetto: generalmente si fanno al buio a i congegni di manovra devono rispondere nel modo pù assoluto. Nei teatri moderni si adotta il palcoscenico mobile (come nel Teatro reale dell'Opera) che si abbassa e si alza a sezioni, elettricamente. In certi tetari di Vienna è usato il palco scorrevole il quale, a scena finita, passa tutto completo nella sala di smontaggio, e rientra un altro palcoscenico colla scena già preparata. E' stato studiato il palcoscenico girevole, ma nessun teatro d'opera lo ha ancora adottato. Essendo le scene preparate nei settori di un cerchio, non possono disporre di un grande spazio. E' stato adottato solo da piccoli teatri d'eccezione.
Per dare, poi, maggior acustica al teatro e al pubblico la sensazionde dello scoperto, dell'infinito, si è sostituita al solito panorama la cupola Fortuny, che risale al 1921. Il teatro Alla Scala fu il primo ad adottarla ed ha dato buoni risultati, insieme a una sonorità assai soddisfacente. E' mossa elettricamente, si può chiudere come una capote e spostare avanti e indietro come richiede la scena.
Come si fa il vento? Non certo gonfiando un otre, fino a farlo scoppiare come facevano gli eroi, ma semplicemente come una ruota dentata che gira sopra una tela tesa. La ruota di legno ha il diametro di circa metri 1,20 e ha i denti che sporgono di 1 centimetro. Può essere mossa a mano o elettricamente. L'attrito dei denti sulla tela, a diversa velocità e a diversa tensione produce effetti di vento molto varii. Per i tuoni il capo-macchinista ha forse accordi segreti con l'officina di Vulcano? Bastano 4 ruote dentate del diametro di 45 centrimentri disposte ad angolo retto e che girano entro un cassone sonoro, a produrre le scariche più sgradevoli.
Per far la pioggia basta un tamburo circolare con dentro sabbia e sassolini che girando a una certa velocità producono lo scroscio o il tenero rumore dell'acqua sui tetti. Nessuno chiederà a Bongiobanni di provare a rendere gli effetti della "pioggia nel pineto". Ehli ha troppa ammirazione per Gabriele d'Annunzio e per la musica di Claudio Debussy. L'effetto sonoro del fulmine è provocato con tante assicelle che si lasciano cadere una sull'altra: anche in questo caso Bongiovanni vuole ignorare la mitologia.
Prima che egli ci scopra i trucchi più clamorosi gli chiediamo di farci parlare col capo-elettricista. L'uomo che fa l'alba, il giorno e la notte, Mario Protti, è qui da trent'anni.
Il materiale elettrico del teatro è di diversa provenienza e di molte case italiane. Il regolatore della luce è diviso in due parti: bilance con funicelle a comando a distanza per telaini di vetro a colore (due blu, uno giallo, rosso e nero) e poi tutte le resistenze e i trasformatori che comandano le variazioni di luce dei proiettori di passerella, dei bilancioni e degli apparecchi mobili sulla scena. Vi sono apparecchi a prisma girevoli che riflettono esattamente i bagliori dell'acqua in movimento, dischi bucherellati che girano davanti a un riflettore e che danno l'impressione della neve e della pioggia a seconda che i fori sono circolari o rettangolari. La macchina delle nubi è un apparecchio girevole con tanti obbiettivi che riflettono sulla tela la nube impressa su di una negativa applicata davanti a ogni obbiettivo.
Le resistenze complessive per il comando sono 40 e in più 6 autotrasformatori di nuova istallazione a 6 pattini ciscuno, inoltre due trasformatori per la regolazione delle luci nella sal e del lampadario. Ci sono 8 ventilatori di 3 HP. Ciascuno per produrre l'effetto della fiamma (Walkiria, Crepuscolo degli Dei). Circa 15 dischi in vetro dipinto, per proiezioni di fiamme, nubi, cascate, con movimeno ad orologeria e a motorino a induzione, ci sono 6 motori con roestati a comando a distanza per tuoni, pioggia, vento; due bilancioni speciali per l'illuminazione della cupola Fortuny e ognuno formato di 36 lampade di 700 Watt ciscuna, una macchina per nubi a tre proiettori di 6000 candele ciscuna, con nubi varianti e colori girevoli.
Le bilance sono 4 a destra e 4 a sinistra, a luce diretta e a luce diffusa, di circa 56 lanterne con 3 lampade di 3000 Watt caduna. C'è poi un bilancione per la illuminazione sussidiaria del panorama formato di 40 lanterne da 1000 Watt. Ancora 10 proiettori mobili per servizi di palcoscenico, due cartelloni per orizzonte di 22 lampade da 1000 Watt, 8 carrelli tipo Scwaber, a due lampade da 1000 Watt e 8 proiettori a luce diffusa.
I comandi delle prove di luce sono dati da Caramba, il quale si trova sul palco reale. Egli dà ordini per telefono in cabina (al quadro regolatore), in palcoscenico e in passerella. Durantee le prove si fanno le annotazioni precise di tutti gli effetti ordinati che poi vengono eseguiti sul tempo della musica dietro ordine del maestro Rocchi il quale si trova al quadro regolatore per dare il tempo preciso di ogni mutazione. Per ragioni di sicurezza la luce è fornita al teatro da due Società: l'Azienda Elettrica di Milano, fornitrice ufficiale e la Edizon di scorta, con un automatico che scatta appena la tensione dell'zienda Elettrica si abbassa di 5 o 6 volt. Il cambiamento da una società a un'altra è automatico e avviene senza che la sala avverte oscillazioni di intensità luminosa. Poi c'è la luce di soccorso fornita da 8 batterie di accumulatori disposte in varii punti del teatro, nel caso che vengano meno le due correnti.
Per dare un'idea del consumo di energia elettrica relativo ad un grande spettacolo diamo qui alcune cifre della stagione 1935. Per il "Figliol Prodigo" la sera di S. Stefano furono consumati in scena 268 Chilowatt durante lo spettacolo. Il 27 dicembre alla prima della Luisa: 323 Chilowatt; la sera del 28 alla prova della Walkiria: 435; il 1° gennaio per la Sonnambula: 366; il 14 gennaio alla prova generale del Nerone 236; il 20 gennaio alla prova del Werther: 267. Diamo per curiosità anche alcune cifre che si riferiscono alla stagione 1934: Mefistofele: 201, Il Segreto di Susanna: 110; Manon: 286; Traviata: 160; Rigoletto: 161; Don Giovanni: 277; Isabeau: 510; La Forza del Destino: 168; Dibuk: 137; Maestri Cantori: 280; Bohème: 230. Sarebbe facile da queste cifre stabilire il totale di energia elettrica consumata sulla scena per ogni stagione. Ne verrebbe fuori un totale di luce, sufficiente ad illuminare per un anno un paese di qualche migliaio di abitanti.
Chiediamo a Bongiovanni qual è stata volta per volta la soluzione adottata per un problema tecnico specifico: il volo delle ballerine, le apparizioni, gl'incendi, i crolli, la neve, il mare.
Per eseguire gli otto voli nella scena delle rose (Dannazione di Faust) le ballerine devono entrare dall'alto delle quinte. Attaccate a sottili funi acciaio invisibili, sono tirate su al momento opportuno da una carrucola nascosta nel mezzo della soffitta. La traiettoria del volo è la risultante della forza verticale che vince il peso e della forza orizzontale. Quando le figure devono rimanere per un dato tempo sospese nell'aria (L'oro del Reno) si segue un diverso sistema. C'è un carrello scorrevole sopra un filo di acciaio grosso, reso in alto. Il carrello nascosto dai fondali è mosso da un'estremità all'altra mediante corde di manovra. Siccome, oltre gli spostamenti orizzontali devono esserci gli spostamenti in basso e in alto, c'è un'altra corda azionata da carrucole fisse al carrello e che sostiene il castelletto di legno a cui è fissata la figura mediante tre fili per restare stabile, senza essere soggetta a mulinello.
Per realizzare un'ondata di mare in burrasca sul palcoscenico (Oberon), Ansaldo ricorse a una vasta tela, mossa al disotto da rulli e illuminata. La tela veniva avanti con tale furia da suscitare lo spavento degli spettatori. La schiuma era formata da listine di carta incollata sulla tela. Così per i bastimenti che devono muoversi sulla scena (Italiana in Argeri) o inabissarsi (Il Vascello fantasma) per dare l'impressione del rullìo, la chinglia appoggiava su perni elicoidali e su delle basi semiconcave, poi, per mezzo di leve era azionata in tutti i sensi: a poco a poco la chiglia scompariva dietro i praticabili al disotto della quota del palcoscenico (il teatro dispone di dieci metri di profondità).
per suscitare le apparizioni (Crepuscolo degli Dei) si rompe la continuità dei fondali con tanti strati di canovaccio, dipinto nello stesso colore della scena. Il personaggio sta pronto sul retro della parete, che al momento opportuno viene fortemente illuminata e così lascia vedere la figura in trasparenza.
L'incendio che scopppia nella scena dell'incantesimo (Walkiria) è ottenuta con potenti ventilatori che dal sottopalco lanciano in alto fiamme di seta le quali con l'effetto di luce dei proiettori danno l'impressione della fiamma vera. Per dare fumo c'è una caldaia adibita alla bisogna. Essa è tenuta sempre in pressione e c'è un conduttore, fornito di prese spostabili, che mette nel palcoscenico. La cortina di fumo del boccascena, che attraversa il palco, è ottenuta con l'apertura simutanea di tante bocche (Nerone, Kowancina).
Bastano listelli di carta tagliata a triangoli minuti, raccolti sopra una tela bucherellata, distesa in alto su tutta la lunghezza del palcoscenico, per provocare, mediante un semplice rallentamento delle corde, le nevicate più autentiche. La neve svolazza a causa della forma triangolare delle falde di carta che fanno attrito con l'aria e vanno a posarsi sulla "Gelida manina" di Mimì.
Bongiovanni vorrebbe toglierci ogni illusione: noi invece persistiamo a credere che la colomba del Lohengrin non è affatto imbalsamata e il cigno immortale non scorre affatto su rotelle lubrificate. A tirare le somme da tutto quello ch'egli ci ha detto si conclude che ogni segreto professionale è frutto di minuti espedienti, di minimi accidenti, delle risorse più elementari: ed è ben vero che non si saprà mai quanto ci sia nell'arte di artificio, di artigianeria.
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