La Basilicata
Ricordi
di Leonardo Sinisgalli
in La Basilicata
n. 161 (8-9 luglio 1924)
«O Richard, o mon roi, l'univers t'abandonne!»
Fu questa l'aria del maestro Grètruy suonata al festino d Versailles (1789) tristre preludio di morte per i sovrani presenti alla festa, è questa la sinfonia che ben potrebbe adattare in qualsiasi tempo ad un qualunque magnifico ed illustre condottiero barcollante, con cui la fortuna d'un tratto ha voluto troncare i piacevoli rapporti.
E' l'Italia, anzi il popolo italiano, così entusiasta nei primi momenti d'una qualche nuova luce che appaia, a cui cessa l'esatta a cui cessa l'esaltazione di un trionfo e si allontana da quella [...] in mezzo alla quale a mala voglia era stato travolto e trascinato... Sì, è lui che potrebbe cantare come a donna d'Eresso al vecchio Solon il carme della morte...
(Oh, doveva esserci ancora una volta il martirio perchè avvenisse la redenzione! Tu, o puro eroe dell'idea riposa in pace perchè da te si trarranno gli auspici per alzare il vessillo della libertà, per abbassare l'oscuro stendardo della tirannia...).
Come poteva più sostenersi ciò che si reggeva su di un debole bordone?
L'elezioni dell'aprile furono per noi come il festino di Versailles, è là che i vincitori intuonarono il de profundis.
Ancora una volta la realtà ha dovuto trionfare, ancora una volta, la storia non ha permesso la realizzazione dell'impossibile: ottenere il rispetto con la violenza.
È il delirio della morte che ancora deve esser vissuto, il preludio già vi è...
Come poteva aversi con una tale oppressione ciò che il poeta della III. Italia vaticinava per l'avvento della grandezza.
«quando una forte plebe di liberi
dirà guardando ne il sole. Illumina
non ozi e guerre ai tiranni
ma la giustizia pia del lavoro»?
Montemurro 6-7-924.
I figli dell'uragano
di Leonardo Sinisgalli
in La Basilicata
n. 273 (19 novembre 1925)
“A proposito dell'articolo «Uomini di domani» di Elio Brando – da noi pubblicato giorni fa – il sig. Leonardo Sinisgalli ci manda da Montemurro un suo scritto, cui volentieri diamo ospitalità.
Non tutti i giovani d'oggi – egli dice – appartengono a quella categoria di arrivisti e superficiali senza l'ombra di una intima spiritualità – di cui parla il Brando.
Altri ve ne sono, cui assilla un intenso e nascosto travaglio dell'anima, che non si appagano di vuote apparenze ma nell'affannata ricerca del vero si consumano.
Questa lotta che sostengono in sè medesimi, li fa forse apparire inerti. Li fa forse anche soccombere – nella gara più banale per la concorrenza della vita – dinanzi agli esteriori, ai pratici.
Ma sono in pochi e quasi fuori del loro tempo.
Il Sinisgalli stesso lo dice. Non li chiama forse i figli dell'uragano?”
Dagli orizzonti dell'Europa parassitaria e dormiente – il figlio del mare lanciò la folgore – che lacerò i nembi della morte e aprì a l'azzurro luminoso l'isole del cielo.
I fantasmi della notte confusi nella tenebra – fugati dall'imperversare della bufera si appartarono negli antri dell'Infinito.
Napoleone vegliava.
I popoli si erano riscossi.
Gli adoratori del passato; dopo la vendetta degli elementi, che nella «morne plaine» - la lugubre pianura – mostrarono a Napoleone che l'avvenire, l'avvenire è mistero – vollero avvolgere l'Eroe in una nube nera: l'Oblio. Ma l'Oceano levò la sua voce per il figlio morente – nell'ora di maggio – fra il verde dell'Isola Generosa – e mormorò il suo inno al ritmo eterno dell'onda – la sua canzone di gloria all'Uomo – che l'Immensità del Cielo e del Mare – riconobbero sublime.
Dopo lo sfolgorio della luce – i primi crepuscoli – cercarono l'ombra, cercarono la pace romita, e i poeti nella comunione con la natura semplice e grande e con sé stessi trovarono ispirazione pei canti.
Romanticismo.
Da quegli adoratori del Silenzio, vennero fuori i primi ribelli – gl'innovatori dell'anima del popolo – i patrioti – che con l'olocausto di sè stessi riconsacrarono per la terra Europea un ideale: la Patria.
E l'Italia con il martirio e l'Eroismo risorse più splendida nella luce del miracolo.
***
L'ultima tragedia d'Europa non è stata adombrata da un individuo, è stata guerra di popoli.
Nella marea tumultuosa e ruggente, l'onda decumana non si è levata sulle altre onde.
Ma ha forse l'ultima guerra il fascino delle passate lotte di rivoluzione, di risorgimento?
Forse nella moltitudine delle vittime, martiri, eroi della trincea più grandi perchè oscuri, vediamo i fiori morti e sparsi ad aiuole in un sentiero dove rifulge una meta?
Vincitori e vinti han forse inalberato perchè garrisse con la furia dei venti la bandiera d'un'idea?
Ed abbiamo visto i naufraghi i figli dell'uragano, vagare sperduti nel mare dell'Essere. E sono pensosi, sono tristi, senza l'entusiasmo d'un tempo, si.
Chi sono?
I cercatori d'ombre e i crepuscolari nuovi, i malinconici, i giovani d'oggi, gli uomini di domani. Manca in essi la forza di lottare? Manca la bellezza d'un fine, la purezza d'un ideale comune.
Nella baraonda causata dalla «guerra atroce del piacere, dell'oro, dell'alloro», essi trovano meglio vivere di sogno nella intimità del loro mondo. Vili?
No. La loro lotta, il loro dramma straziante è nel loro Io.
E quando come oggi è sembrato terribile: «le fantôme muet - notre ombre - notre hôte spectre toujours masquénans suit côte à côte et qu'on nomme Democin!»?
Non si guardino i residui di «cicideimo» [?, n.d.r.], si guadino [guardino, n.d.r.] gli occhi.
Fissano il vuoto.
Penetrano il mistero.
La lotta più terribile è sempre quella che si combatte nel piccolo cuore immenso, e che si trova «nella storia, più grande e più vera delle nostre piccole storie frammentarie, in quella storia che non sarà mai scritta, ma dove tutto rimane scritto».
**
«Un uomo è là, che sfoglia della prima carta all'estrema e pian piano va dall'estrema a ritrovar la prima.
E poi nell'ira del cercar suo vano volta i fragili fogli a venti, a trenta, a cento, con l'impaziente mano.
E poi li volge a uno a uno lentamente, esitando; ma via via più forte, più presto i fogli contro i fogli avventa.
... Trovò? Non gemono le porte più; tutto oscilla in un silenzio austero. Legge? Un istante; e volta le contorte pagine, e torna ad inseguire il vero».
È l'uomo delle passate età – il giovane d'oggi.
Montemurro, 16 novembre 1925.