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L'indovino

Si tratta di dialoghi filosofici composti tra l'agosto e il dicembre del 1944, a Montemurro, nella stessa camera, appoggiato allo stesso piccolo tavolo dove lavorava dall'età di sedici anni le rare volte che capitava di tornare alla casa paterna. Questi dieci dialoghi in stile leopardiano si svolgono fra due interlocutori immaginari, il Re e l’Indovino, che si trovano a ragionare in modo allegorico, con tono talvolta tragico, talvolta ironico, in un momento di tregua di una cruenta guerra, mentre l’esercito si annoia e ci sono ancora cadaveri di uomini e cavalli sul campo di battaglia, stecchiti come mosche che non hanno più forza per reagire.

IL VASO ROTTO

L’INDOVINO: I defunti si manifestano come possono, non già come vogliono, Maestà.

IL RE: Forse hai letto della colomba che dopo la morte di Kant entrò nella stanza e, in bilico sui ferri del letto, non chiese né acqua né veccia per tre giorni, fintanto che scomparve a finestre chiuse?

L’INDOVINO: Dicono i discepoli che fosse lo Spirito Santo, disceso in terra a partecipare il cordoglio del Padre.

IL RE: Era l’anima del grande metafisico, vestita di candide penne, l’anima che si staccava dallo stuolo delle ipotesi per entrare nel tempio delle verità rivelate.

L’INDOVINO: Nel tempio? Nel dominio, Maestà. Ma sono parole che hanno qualcosa in comune, la coda se non sbaglio.

IL RE: Dicevi dunque che i defunti sono costretti a manifestarsi solo in certi luoghi e in particolari circostanze. È accaduto forse che abbiano fatto promesse che poi non hanno mantenuto?

L’INDOVINO: Ci raccontano in sogno tante cose che da svegli non riusciamo più a vedere e neppure a ricordare.

IL RE: Ma sono i nostri sogni, non sono i sogni dei nostri morti che ci ingannano. Io credo che i defunti non sappiano più dire bugie. Chi ha raccontato la storia di quel bambino che solo una settimana dopo la morte, comparve dinnanzi a sua madre e «Di’ al babbo» disse «che la matita rubata al Preside la mattina del 13 giugno, l’ho nascosta nella cassetta dei medicinali che sta nel bagno»?

L’INDOVINO: Del resto non fu da suo nonno che Scipione ebbe dormendo la rivelazione di una Repubblica delle anime, una imperitura Patria celeste meno effimera dei nostri Regni e delle nostre Provincie?

IL RE: Tu dici che i parenti quando passano sull’altra riva si tengono sempre in affettuosa corrispondenza con noi? Pensi tu che le famiglie si ricostituiscano dopo la morte?

L’INDOVINO: E che alla sera potremo ancora riunirci al caffè coi nostri amici. Gesù non ebbe nostalgia dei suoi discepoli dopo la sua resurrezione? Non li cercò all’ora di cena, non mangiò con loro un pesce arrostito?

IL RE:I morti hanno un vivo desiderio di noi. Questi loro ritorni vorranno dire che l’incanto dell’oltretomba è tutto illusorio e lo stesso Paradiso, come la felicità qui in terra, è insopportabile. Da vivi non abbiamo forse orrore dei luoghi dove fummo a lungo felici?

L’INDOVINO: Catene molto tenaci, se pure composte di anelli d’oro, devono tenerli legati lassù come belve. Se fosse altrimenti il desiderio di migrare tra noi è così grande e totale che la terra non basterebbe ad accoglierli. Avremmo le Regge, i Castelli, i Palazzi, le Case infestate. Una vera epidemia di apparizioni. È accaduto qualche volta in certi luoghi.

IL RE: Per questo dicevi al principio che essi si manifestano quando possono, non quando vogliono. È probabile che stiano chiusi come il seme nel frutto e che il loro esplodere sia difficoltoso come una nuova nascita.

L’INDOVINO: L’inquietudine, l’insoddisfazione, l’infelicità loro deve essere pari a quella dei vivi. Noi in un senso, loro nel senso opposto, non troveremo mai pace finché i vasi non si fermeranno allo stesso livello.

IL RE: Quella sarà davvero la fine, la stasi.

L’INDOVINO: La morte non è un evento da poco. Il corpo che sta al di qua, l’anima che parte di là. Questo distacco suscita infinite, inimmaginabili perturbazioni.

IL RE: Le anime dei morti sono senza requie finché conservano il ricordo del loro caro corpo.

L’INDOVINO: Prive di sostegno, di guscio, di forma, la loro pena non è stata for-se concepita quale residuo di un’inerzia che solo le fiamme pos- MOTO PERPETUO sono consumare? Come le anime si muovono a disagio nel nostro mondo duro e angoloso! L’estrema leggerezza è loro d’impaccio. Finché non avranno interamente perduta la memoria di questa vita, continueranno a sbattere le porte, a far cigolare le persiane, a muovere le tende, a far tremare i ferri del letto, a spostare i quadri dalle pareti, a rovesciare le camicie, a far cadere i pettini, le tazze, i vasi.

IL RE: Una serie di piccoli cataclismi accompagna ogni disgrazia! Un vaso che si rompe è una stella che precipita: l’anima irrequieta turbina per le stanze e determina quelle scosse, quelle piccole catastrofi periodiche. Da un grande vaso di Sassonia fino a una tazzina di terraglia, col tempo noi osserviamo che le visite si fanno più rade, come uno scalpiccio di passi che si allontanano. Un giorno accade che un piatto scivola a terra: tutti ci siamo chinati a raccogliere i cocci, ma il piatto non si è rotto. In quel preciso  istante qualcuno muore una seconda volta e per sempre.

30 Aprile 2022

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