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Millesimo di millimetro

Di prima mattina, appena sveglio, mi sono messo a spiare. Un uccelletto raschia la porta, becca le persiane, gratta il muro, mi cerca, mi vuole parlare. Ma appena mi affaccio per aprire, per avvicinarmi, non pigola più, non mi chiama. Si nasconde. Sarà qui vicino ai miei piedi, davanti ai miei occhi, non lo trovo. Se fisso lo sguardo in un punto l'uccelletto dietro le spalle trilla lontanissimo. Mi vuole e non mi vuole. Pochi attimi di silenzio e improvvisamente la sua voce si sdoppia, zampilla dai due lati, ripete simultaneamente le stesse note da destra e da sinistra. Non mi ci raccapezzo. Chiudo gli occhi. Tace un istante. Mi allungo sull'erba. Sembra proprio che si sia posato sulla mia testa, è leggerissimo. Spinge il becco nell'orecchio. Non mi devo muovere se voglio capire quello che dice.

Sta cercando nei bauli una vecchia storia scritta molti anni fa, la storia di due scatole di cartone. Ogni ritorno la spaventa. Dice: non vale farsi sedurre dal ruscello di Isola Farnese, dalle macine di pietra dei mulini abbandonati, non bisogna cogliere i fiori che nascono sulle tane dei morti. Rovistare nelle casse quando fuori cade improvviso il più lungo crepuscolo dell'anno.

Il più geniale e innocente epigono dell'informel è un ragazzo di Trieste, Chersicla. Le sue opere hanno il formato di una mattonella. Sono pezzi vividi, ridenti. Polveri, paste, impiastri di un Oriente che comincia a Porto Corsini e attraversa Aquileia. La cupa angoscia di Tàpies ha fabbricato questo chierico a dispetto. L'uovo della gazza è stato covato dal cuculo. È nato a due passi da San Marco e da Bisanzio. Ed è una fortuna poter leggere nelle sue opere - documenti non truccati, espliciti, puerili – le influenze della luttuosa Spagna di Tàpies e della Francia patafisica di Dubuffet. Lèggere come le civiltà del retroterra, le civiltà del convento e della bottega, della preghiera e della crapula, si siano disciolte nella operosità di squadra degli arsenali, dei bacini, per una specie di ritorno al plein air, a orizzonti più felici, più aperti, orizzonti pagani. Gli enigmi di Gongora e di Jarry, a fondo cattolico, sapidi, oleosi - di miele e di merda - si temperano nella indifferenza di una civiltà più distratta, troppo pigra per pensare alla morte.

Tanto Burri quanto Fontana sono coscienti dell'estrema caducità dei loro prodotti. La loro merce si deteriora, si disfa, marcisce. Malgrado i rinforzi che Fontana ha inventato per irrigidire i suoi «tagli» e il soccorso che Burri ha chiesto ai lamierini della Cornigliano, per sostituire il metallo agli stracci, non mi sentirei di garantirne i rischi se fossi un consulente delle Assicurazioni. La polvere, il fumo, la ruggine divorano questi manufatti che andrebbero continuamente spazzolati, ricuciti, lavati. Le bruciature si sbriciolano, si allargano, i tagli si slabbrano, il segno si sbraca, perde l'eleganza calligrafa dell'asola. Noi amiamo le cose sbagliate, gli scarti, i figli nati per errore. Queste opere sono l'antidoto all'ottusità dell'esprit de technique. Ci restituiscono il gusto di una scienza che sapeva ancora di magia, quando l'ingegno era astuzia e chi costruiva un motore ne conosceva bene tutti i pezzi.

Il marchio è il rimorso dell'industria, la sua macula originalis. Ricorda alla fabbrica l'innocenza perduta, ricorda i pionieri, le ciminiere, le fonderie mitiche, la produzione libera dall'assillo della produttività, le raspe, i segreti ingegnosi, l'operaio-ortolano. Il fabbro e il contadino sputavano sulle mani per stringere meglio l'utensile. Oggi il sudore è una sporcizia, ieri era un tributo ai santi. L'uomo non si affatica più, si debilita.

Bruciavano il piombo dentro una cucchiaia di ferro e lo scioglievano nella padella bollente. Il piombo fritto nell'acqua si coagulava in grovigli indecifrabili. Ma erano sempre guai e malanni. La buona notizia la portava il farfallone che veniva di sera alla finestra, girava torno torno in cucina, sbatteva la testa contro la catena del camino e cadeva nella brace.

Quello che qualcuno di noi ha edificato, l'altro l'ha distrutto. Siamo arrivati, prima o poi, agli stessi traguardi, con maggiore o minore affanno, con maggiore o minore fortuna. Tutti siamo partiti raggianti e tutti siamo stati scornati. Nessuna grande anima ci ha chiesto il meglio, ci ha spinti a risoluzioni eroiche. Abbiamo appreso a nuotare sott'acqua, a fingere entusiasmi vuoti. Abbiamo scelto cattive compagnie, false Muse, false Baccanti. Chi ci guarda con disprezzo è quello che noi abbiamo creduto di scansare con brutalità o con delicatezza. E c'è qualcuna che ci guarda con pietà, quella che non soltanto abbiamo ammirata in tailleur o in décolleté ma in grembiule e in camicia da notte. Abbiamo gli stessi peli sulla punta della lingua, siamo tutti parenti, odiosi o amabili. Alla stessa scuola imparammo le stesse sozzerie. Con la nostra adulazione abbiamo fabbricato idoli effimeri, le regine di un'estate. Ne esaltammo lo splendore senza renderci conto che ci adoperavamo ad anticiparne lo sfacelo.

A chi dorme basta l'informe.

Dopo la scacchiera ha scoperto il giuoco dell'oca, dopo la tavola pitagorica il tiro a segno, dopo il quadrato la spirale, dopo le lapidi i tatuaggi, dopo i mattoni mesopotamici l'uovo di Colombo, dopo Bodoni il liberty, dopo l'onciale la minuscola, dopo il papiro il rebus. Une Saison en Enfer si è trasfor mata in Raison à l'envers.

Il giuoco di Mallarmé è certo più difficile del giuoco di Pound, ma Pound è già più difficile di Sanguineti.

La mosca non misura lo spazio, lo penetra.

Saremo in anticipo in uno spazio di cui ci resterà ignoto il rovescio.

La tradizione è imbarazzante. Si trovano capolavori nelle campagne e nelle rigatterie. Palazzi e madonne. Eppure tutto quello che scantona dal classico sembra dilettantesco. Signorelli e perfino Picasso. Qual è dunque il segreto? La fiducia tonda nel mestiere. La fiducia di Vignola e di Raffaello, artisti canonici. Ma la metrica ci stufa. E le simpatie vanno agli irregolari, a Laforgue, a Dubuffet, a quelli che non sanno scrivere e non sanno dipingere. Si può difendere la dignità dell'arte fuori dall'ottuso manierismo? Gli uomini che contano, nelle fabbriche, lavorano per il futuro.

Le castagne ammucchiate sul pavimento, gli arabeschi di fumo che si sciolgono dietro la piccola finestra. Il ragazzo che studia a voce alta ha i piedi freddi. Sta in buona compagnia, dice la madre, scrivigli di cambiarsi la maglietta.

Lo zio riusciva a trasportare il nonno di peso, a farlo sedere sul grande vaso bianco dopo avergli sollevato di dietro il lembo del camicione di flanella. L'imboccatura del vaso era vasta, il nonno trovava un assetto stabile tanto da poter aspettare anche un'ora la risoluzione dei suoi bisogni. «Chiamami quando l'ha fatta» mi diceva lo zio, «io aspetto in cantina». Mi mettevo dietro le sue spalle, gli passavo le mie braccine sotto il mento. Il nonno s'era abituato a tenermi vicino. Mi mandavano a chiamare quando mio nonno doveva scendere dal letto. «Che fa Carmela?» mi chiedeva. «Mamma inserta i peperoni». «Che scrive Vituccio?» «Ci vuole tutti a Barranquilla». Il nonno si liberava a fatica, e ogni volta con un sollievo che a me do veva sembrare spropositato. Mi diceva di prendere il giornale tagliato già a pezzi su una sedia.

Vendere è un'operazione quasi vergognosa. Nei no stri paesi chi vende si nasconde, tira la mercanzia dietro l'uscio, spranga la porta se ode un requiem.

Fascinosa scrittura di Leonardo, senza accenti, senza virgole, senza punti, scrittura a brandelli, illetterata, da stagnino. Quello uccel cheppiu menpesa che piu sallargha ede converso piu pe sa cheppiu sirestrignie. Ma chi pone mente a queste sottigliezse? Trascriviamo due righe in linguaggio banale: «La terra è mossa dal peso di un uccellino che so pra a lei si posi».

Com'è tenue il filo di vita di una macchina! Un millesimo di millimetro è la libertà consentita dalla precisione.

A tavola, diceva mio padre, non c'è né padrone né sotto. Sfogava stravolto i suoi rancori: «Fosse viva la Defunta! Nessuno sapeva meglio di lei cuocere i sedani con le patate».

Seurat parlava di linee salienti, di linee orizzontali, di linee cadenti, il sole il mare la pioggia, il mattino il mezzogiorno la sera. In una lettera a Paul Signac annotava: personne dans les rues le soir; e poi, léger spleen du 22 août au 18 septembre. Quasi il bisbiglio delle Carte Napoletane, la brezza sui gradini dello Zibaldone.

30 Aprile 2022

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