I bei libri tra le pellicce
di Leonardo Sinisgalli
in Il Settimanale
A.II, n.2 (11 gen 1975)
Franco Maria Ricci, tipografo-editore, è approdato a Roma. E i suoi libri preziosi hanno trovato spazio tra preziosi pellicce in via Borgogna. Un successo mondano, ma anche culturale.
Dentro il triangolo della Wall Street romana, che approssimativamente ha la base tra piazza del Popolo e piazza Colonna, e il vertice sul tiburio della chiesa di Trinità dei Monti, il tipografoeditore parmense Franco Maria Ricci (Quasimodo diffidava di quelli che hanno il doppio nome) non è riuscito a trovare un buco, un abitacolo, uno sgabuzzino, una vetrina, come invece li ha subito accaparrati a Milano (via Bigli) e a Parigi (Rue de Buci).
F.M.R. (lo chiameremo cosi per brevità) ha la virtù di trasformare tutti gli amici in apostoli, in predicatori: basta leggere i suoi opuscoli, i cosiddetti house-organs, per sentirsi un correligionario, convertito alla fede dello chic, della raffinatezza. Sono parole che tornano sulle pagine di tutta la sua letteratura, come tornava la parola esattezza nei cataloghi della Olivetti o la delicatezza nei cartellini del vecchio Cova.
Ha dovuto ricorrere per tenere banco a Roma (città di increduli) alla coabitazione. Si è prima rivolto a Bulgari, il gioielliere ecumenico di via Condotti i cui eredi più che alla incetta di pietre, di perle, di corone si sono dati alla ricerca erudita, severa, non libertina, e quindi gli hanno rifiutato l'ospitalità; poi a un paio di antiquari del Babuino e di piazza di Spagna ma con esiti deludenti, limitazioni umilianti di sovranità, ecc.; infine alle cinque sorelle Fendi, le celebri pellicciaie di via Borgognona - alle tre più inclini allo charme dell'intelligenza e della cultura, Carla, Anna, Alda — con le quali ha potuto concludere un buon patto di connivenza nei negozi della ditta titolare, primani, secondari e terziari (pellicce, borsette, accessori).
Ci sono al banco, appena si entra, due commessi di lusso, dei due sessi, l'uomo per les fourrures, la donna per i libri. Non è che io, come F.M.R. O come Lucio Fontana, o il pittore Vacchi, o Feltrinelli, o il calciatore Domenghini, o Helmut Berger, abbia mai sognato di avvolgermi nel pelo, ma un certo piacere di lisciare zibellini, martore e visoni chi lo rinnega? Come non rinnego il vizio di lisciare una bella rilegatura e ammirare l'equilibrio di una bella pagina stampata.
A Roma, mi dice la mia amica Derna, che incontro sulla scalinata spettacolare che porta ai saloni di esposizione, non si parla che della pelliccia della Fendi indossata da Silvana Mangano nel film di Visconti. La Mangano indossa via via lungo il racconto una grande mantella di breitschwanz nera e plissettata, un impermeabile reversibile che arriva fino a terra, di seta pura, interamente foderato di zibellino, un tailleur grigio di pelo, un altro impermeabile nero foderato di visone, un paltò di volpi boreali. Derna mi dice cose sensatissime sulla necessità che hanno i pellicciai italiani di esportare per rifarsi dei dollari spesi nell'acquisto di pelli di qualità extra o super e del rischio implicito nel difficile lavoro di finitura. Mi ripete una frase che sentii uscire dalla bocca di Germana Marucelli, a Milano: «Le grandi clienti, attrici, contesse, cortigiane, sono pessime pagatrici». Mi faccio dire da Derna, che è informatissima, quali sono i capi più belli che ha visto in questi giorni: «la volpe rossa di Marta Marzotto, la lince imperiale siberiana di Mia Acquarone, lo zibellino di Lucia Alberti».
Non posso perdermi in d'annunzianesimi. Dopo una corsa nei saloni dedicati alla mostra di centinaia di prototipi (la pelliccia va ridisegnata almeno ogni quattro anni come una vettura) discendo al pianoterra dove scopro la signora Foà, moglie dell'attore, che sta portandosi via un ghiotto pacco di libri della Biblioteca blu» di F.M.R. Ne sono usciti una trentina a tutt'oggi; sono forse la produzione meno discutibile del nipotino di G.B. Bodoni; costano poco, dalle 1.500 alle 3.000 lire, sono storie brevi di un centinaio di paginette oblunghe, chiare e distinte per la lettura dei presbiti e dei miopi (di cui aveva tanto riguardo l'olimpico G.B.B.), e di ottima stoffa letteraria: Gobineau, Diderot, Nodier, Nerval, Mann, Casares, Jouve, e qualche rivelazione nostrana, Puccinelli, Pirotta, Mariotti.
La seconda iniziativa lodevole di F.M.R. è la ristampa in fac-simile di tutte le tavole della grande Encyclopédie di Diderot e d'Alembert. Parigi 1751-1772, che forse arriva in ritardo, quando le forze della «raison» sembrano esauste e incapaci di combattere gli eccessi dell'idealismo, dello spiritualismo, dei dérèglements (droga, sesso, alienazione, subconscio). Ora sono soltanto documenti di un certo stile, duro e secco, sono armi ormai spuntate di quello che fu il travail nouveau e l'annuncio dell'ère nouvelle intravi sti da Rimbaud.
Improvvisamente il vile metallo, ferro rame acciaio bronzo, diventa più nobile e necessario dell'oro, delle pietre, degli stucchi. E' il materiale delle ruote e delle rotaie, dei fili e delle condotte, della gru, dei ponti, degli scafi. L'Enciclopedia di F.M.R. e di Umberto Eco arriva come un digestivo o un sonnifero estetico, col senno e senza l'insensatezza del poi. I profumi hanno quasi la stessa formula degli esplosivi.
Che dire della preziosissima ristampa del Manuale tipografico di G.B. Bodoni (1818)? Che è sempre un libro divino. Ma chi può in tenderlo? Giove o Mario Praz, e qual che geniale calligrafo, o marmista, o compositore (non musicale ma tipografo) di Pescia, di Foligno, di Bassano, qualche epigrafista. Chi regge allo strapotere, alla forza di persuasione, all'irradiazione di queste sinuose e severe Maiuscole? Forse un Mondrian redivivo, forse Foscolo, Pindemonte (torna il fascino sepolcrale della Bellezza), certo gli alessandrini. Duecentomila lire sono tante anche a questi chiari di luna; non forse per chi compra il cincillà. Ma queste ninfe davvero poggerebbero la testa su queste lapidi? Devo ricordare che molto più modestamente, con una fede che lo uccise, il mio amico Giampiero Giani dedicò per metà a Bodoni e per l'altra metà a Lucio Fontana la sua sconfinata adorazione. I suoi libri, quelli «della Conchiglia» non saranno mai esposti nelle boutiques di piazza di Spagna, ma rimangono nella mente e nel cuore di chi li tenne a lungo aperti sotto una lampada.
L'editore si rivela un «carrozziere» dai gusti prelibali, un veveur fine-secolo, un emiro. Il suo genio, più che a Bizzarre o a L'eroica rimanda proprio al d'Annunzio di Gardone: ma egli pure sa che il calco della Vittoria di Samotracia vale meno di una scatola autentica di talco Roberts, verde e oro.
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