Sito ufficiale della Fondazione "Leonardo Sinisgalli"

Gratis et amore

di Leonardo Sinisgalli
in Esso rivista
A.IV, n.1 (gen-feb 1952)

 

"Il buon italiano odia i tubù: ci vuole una certa intelligenza e molto garbo e molta confidenza per persuaderlo ad entrare in casa nostra", Leonardo Sinisgalli, uno dei più appassionati e autorevoli cultori dello studio delle "Public Relations", parla della diffusione che stanno anche in Italia le riviste aziendali.

C'è una grande fioritura di riviste aziendali; è facile prevedere che il numero crescerà di anno in anno e che ogni banca dell'attività industriale o finanziaria, o semplicemente commerciale, avrà il suo grande o picclo Bollettino d'Informazioni. Mi risulta, per esempio, che la Banca Commerciale Italiana ha addirittura un suo giornale, mi dicono assai ben fatto, (ci lavorano cinquanta persone!) assai nitido, utilissimo agli organi periferici. L'altro giorno mi è capitata tra le mani una pubblicazione semestrale del Banco di Roma, in bella veste tipografica e ricca (credo) di studi profondi. Si può dire che ogni mattina arriva sul mio tavolo qualcosa: sono i prodotti farmaceutici o i motoscooters o l'industria meccanografica o le macchine da cucire o le lane o le marmellate che si vogliono far ricordare anche da noi. Le formule sono tante, dal notiziario vero e proprio, ma gremito di dati statistici, tipo Edison, alla rivista di specializzazione tecnica, tipo Ferrania.
Nel 1937 la Olivetti cominciò a stampare Tecnica e Organizzazione, che arrivò, mi pare, fino al '40. In tutto poco più di una ventina di numeri. Oggi sono introvabili e ricercatissimi. La rivista, stampata su carta lucida pesante, legata a spirale, con copertina di Schawinsky, era divisa in quattro o cinque sezioni. Ricordo quelle dedicate alle nuove macchine utensili, all'analisi dei costi, ai sistemi contabili, alla vita operaia e alla architettura industriale. Si presentava rigida nella impaginazione e piuttosto geometrica e severa nella scelta dei caratteri e dei colori.
Ancora più vecchia Edilizia Moderna, edita dalla Società del Linoleum (che già da qualche anno è rientrata in lizza superbemente) ebbe il suo periodo aureo quando l'indimenticabile tipografo e teorico del gratismo Guido Modiano scoprì la pagina-doppi, e Persico, in Casabella, teneva cattedra si ésprit nouveau. Ci fu una suite di quinterni, stampati su carta di color seppia, se ricordo bene, dedicati alla Tecnica del Mibile: fogli staccabili che andarono a rinvigorire, a rinfrescare, il gusto e l'abilità dei nostri mobilieri, fermi al csntù o al falso impero o al banale «neûfcent» (corruzione meneghina di «novecento»).
Vado avanti un po' a tentoni. C'è fra le altre, una rivistina tipo quadernetto, che Lisa Ponti cura per i Laboratori Biochimici FISM, La lettura del Medico. Io la leggo da cima a fondo. Saranno sedici o ventiquattro pagine litografiche, ma la materia sceltissima non scade neppure nei culs-de-lampe.
Modesta, modestissima in apparenza, carta leggera, poco più sostenuta della carta di giornale; le riproduzioni dei disegni di grandi mestri in copertina sono davvero sorprendenti, hanno quasi la patina del foglio sporco originale.
Mi tocca dire ancora qualche parola per la rivista Ferrania, che rispecchia, del resto, l'interesse e l'amore che ha per l'arte moderna il Presidente della Società, il Dr. Marmont. E' puntualissima (non è un piccolo elogio: queste pubblicazioni se sono troppo saltuarie trovano sempre il lettore distratto; è il consiglio che mi permetto di suggerire ai responsabili di Edilizia Moderna, dove, quindici anni fa, io affilai le mie armi).
Ferrania si è arricchita di firme e d'idee. Accanto alla tecnica, ottica e chimica, è venuto ad inserirsi con la pittura anche il cinema. (vedrei molto volentieri trattata la storia della fotografia, la presentazione di famosi albums di famiglia, il réportage e le varie specializzazioni: moda, documentario scientifico, fotografia d'arte, cataloghi, ecc.). Il Bollettio della Lambretta non ha grandi pretese, ma certamente risponde bene allo scopo di divulgare, per contagio o per emulazione, il piacere del vento in faccia.
Metterei insieme la lussuosa Bemberg (a cura di Boggeri e Bonini) e Bellezze d'italia (a cura di grignani). Sono pubblicazioni eleganti, appariscenti. vedo in entrambe le agili mani degli impaginatori, un buon mestiere. Costituiscono un gaudio per gli occhi, ma il cervello resta indifferente. Forse sono fattr per questo scopo? Per non costringere a pensare, a riflettere?
Già in queste due ultime riviste citate il materiale da guardare, più che da leggere, non ha un rapporto stretto con l'attività dell'azienda che paga le spese. C'è una separazione netta tra la parte riservata alla pubblicità e quella copera dal testo. L'azienda si fa semplicemente ricordare dal lettore. Questa formula, ancora più svincolata da un qualunque riferimento utilitario, sorregge l'ultima in ordine di tempo e la più sotuosa tra le pubblicazioni gratuite, Arti e Cotume, edita da Bompiani, curata da Marinotti, Bompiani e Emilio Cecchi, per conto della Snia Viscosa.
L'attività della Pirelli per quanto riguarda le iniziative propriamente culturali non cresce sporadica. da quattro o cinque anni è in vita un centro Culturale Pirelli, attivissimo, che promuove instancabilmete gli scambi e gli incontri tra il personale della Società e le opere d'arte: musica, teatro, poesia, pittura, architettura, cinema. Non a caso, quindi, la Pirelli può patrocinare di anno in anno la stampa di monografie d'arte, come il Masaccio recentissimo e il Piero della Francesca, or ora apparso, a beneficio della sua clientela. Le edizioni comportano alcune centinaia di esemplari numerati. A un circuito molto più vasto è riservata, invece, la Rivista Pirelli, bimestrale. Dopo tre anni, moltissimi problemi, collegati direttamente o di riflesso alla vita dell'azienda, sono stati indicati, illustrati, approfonditi. La redazione dei testi, tutti di prima mano, è affidata a tecnici specialisti, a scrittori, a giornalisti. Così acconto a Canesttrini, a Nutrizio, a Minoletti, a Ferrario, a Gio Ponti, a Claudio Marcello, a Severi, a De Marchi, ad Amaldi, a nervi, si sono visti i nomi di Ungaretti, Quasimodo, Vergani, Baldini, Buzzati, De Libero, Gatto, Ferrata. Facilitare questa osmosi tra l'arte e la tecnica, la poesia e la scienza, dar lievito alle questioni apparentemente prosaiche, allargare l'area delle suggestioni, delle meraviglie, dei miti del secolo: questo è il compito di una pubblicazione non inerte, non snobistica.
Ho seguito dai primi numeri Esso Rivista. Sono oggi un ospite. Non posso far troppi complimenti ai miei amici. Gli ultimi numeri, i più flessibili, sono sempre più interessanti. E il risultato del Concorso Esso di Pittura sul tema «Arte e Industria», riservato agli artisti, le vittorie di Vespignani, di Gentilini, di Santomaso, di Afro, di Scordia non si dimenticano.
Accanto alle riviste destinate al pubblico ci sono i bollettini di fabbrica; c'è quello della Olivetti, come sempre attentissima, quello della S.I.P., ed altri ancora. Ma hanno un altro scopo.
Da tempo noi lavoriamo contro la piattezza, l'aggressività, il dogmatismo, il pugno nell'occhio delle più vili espressioni pubblicitarie. Chiediamo che il calcolo e la fantasia, le cifr e l'arabesco, la ragione e il capriccio ci sollevino dalle angustie di un lavoro altrimenti ottuso, di una routine mortificante.
Eravamo riusciti, prima della guerra, tra il '38 e il '40, a porre come conditio sine qua non dell'efficienza di un messaggio rivolto alla clientela, l'èsprit de finesse, la persuasione, non la retorica. Avevamo dimostrato che la migliore maniera di farsi dei complici era proprio la maniera apparentemente più distratta: la divulgazione più che la dimostrazione, l'immagine più che la cosa, lo scherzo più che il cipiglio. Volevamo dare un'aria leggera anche ai rapporti più austeri. Ora le statistiche, la psicologia, i diagrammi ci sommergono. Il venditore, il produttore vuol fare la voce grossa, vuole distorcere nientemeno la testa svagata del povero italiano. Ora le statistiche, la psicologia, i diagrammi ci sommergono. Il venditore, il produttore vuol fare la voce grossa, vuole distorcere nientemeno la testa svagata del povero italiano. Crede che il sorriso fotografico valga più del sorriso vero. Crede che il tam-tam costringa al passo il veneto e il napoletano, come i cannibali. Il buon italiano odia i tab§. Ci vuole una certa intelligenza e molto garbo e molta confidenza per persuaderlo a entrare in casa nostra. Non si può imporre nulla a nessuno, si può suggerire, indicare. Ci vogliono dispositivi elastici, sorprendenti, non prevedibili. Una tattica mutevole. Si sa che anche le mosche si sono accorte degli insetticidi, ed è stato necessario cambiarne la formula.

26 Giugno 2021

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