Queste stupide macchine
di Leonardo Sinisgalli
in La Ruota
A.IV, n.5 (mag 1943)
In una stanza che dava sul cortile di un lattoniere, squadra e compasso alla mano, ho disegnato, giovinetto, per un'estate intera, le mie tavole di macchine: composizioni veramente astratte, se si pensa che non avevo mai toccato una vite e delle macchine semplici non conoscevo che la bilancia. Ero tuttavia esperto nei difficili calcoli dell'inerzia, forza cieca che si oppone alle mutazioni del movimento: una specie di istinto di conservazione della materia, questa legge di universa pigrizia. Avevo imparato a tener conto della sua mutevole presenza che definisce il peso dei corpi in riposo e che ogni irregolarità riesce a costringere in monotonia. Ma forse i ri cordi più vivi di quel tempo restano ancora le ore trascorse nel laboratorio di analisi dei metalli con i raggi X. Nell'afa, gli apparecchi continuavano a friggere; ogni tanto una scintilla scoppiava tra le sfere dei condensatori, ed era un temporale da teatro nel buio di quella camera in una squallida estate lontana. Noi indossavamo dei camici bianchi, tessuti con fili di asbesto, per entrare nella cabina dell'alta tensione e difendere dai raggi gli organi del sesso. In quel tempo ebbi per le mani strumenti di misura perfetti, e a distanza di anni, questa sera, mi vien da fare un'osservazione che può valere oltre la semplice fisica e che forse chiarisce una zona di interessi più vasti: gli strumenti di misura più precisi, più sensibili, sono mobilissimi. Cosi mi sono trovato, per accidente, a sapere, forse più delle macchine, delle loro membrature, dei loro vincoli e della rapidissima digestione che esse fanno del fuoco, che non del mio stesso corpo. Io che ignoro la natura degli umori, dei muscoli, delle ossa, conosco con una certa chiarezza la viscosità di un olio lubrificante e la legge che regola la simpatia dei cristalli di carbonio con quelli del ferro in una lega di acciaio. E un giorno, quando imparai anche che queste materie invecchiano come il nostro sangue, e ad opera di speciali bagni si può riuscire ad allentarne l'intima disgregazione, e farle addirittura rinvenire, restai meravigliato e soddisfatto. A noi le macchine non hanno mai suscitato più meraviglia di un albero, o di una vacca. Mi sono convinto, guardandole a lungo, che è inutile cercare nella loro struttura dei ritmi definiti, quasi una prosodia e una metrica. Le regole che le determinano sone regole poco visibili, come le leggi della prosa. La loro animazione l'abbiamo guardata a nostra immagine e somiglianza e abbiamo concluso che ha un posto veramente infimo nella gerarchia delle cose animate. Pensate, poi, che qualunque stimolo occasionale in una macchina può creare dei disastri: esse non godono della insensibilità dell'azzurro e delle pietre, nè della frenesia di una gatta. Pure senza cercare divini attributi, mi sono compiaciuto di guardarle, talvolta di fronte, talvolta di fianco, e spaccarle, e smontarle, queste stupide macchine.
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