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Paragone della natura

Elpenor [pseud. Leonardo Sinisgalli]
in La lettura
A.XXXV, n.4 (1 apri 1935)

 

Al paragone della natura l'uomo si accosta per successive approssimazioni. Il più suggestivo risultato raggiunto dalla nostra inteligenza è stato quello di dare una misura alla materia, ai fenomeni una legge.
La misura è sempre la soluzione di un tapporto: la colnna del Partenone, le carialidi dell'Erettèo, i capitelli di Corinto ebbero per modulo il piede di Alcibiade. Gli inglesi hanno conservato come riferimento la mano dell'uomo (essi ancora contano in pollici): noi europei siamo ricorsi a un metro certo più astratto, anche se si definisce come la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre. Ma che cos'è la misura se non il controllo che i nostri sensi fanno sulle dimensioni delle cose, sul loro peso, sulla loro grandezza? Pensate alle maschere e alle sxulture negre: messe in fila sono ordinate secondo una scala fisica di volumi: l'idolo più feroce è quello che ha la faccia più grossa e i piedi più pesanti. Le meraviglie dei primi popoli: le piramidi, la statua di Giove, il colosso di Rodi, le mura di Babilonia, possono sembrare ancora prodotti della natura, tano è difficle dissociare in essi le forze e le forme. Se il sole camminava coi passi d'Achille, la loro architettura trovava un ritmo vertebrale, una legatura anatomica.
Per il nostro controllo sulla materia noi moderni abbiamo inventato gli strumenti di precisione: abbiamo cioè affinato i nostri sensi in intensità, se pure abbiamo perduto in estensione: bilance per il millesimo di grammo, calibri per i mellesimi di millemetro. E' tutto qui il nostro progresso meccanico: la creazione di un prodotto standard, di un modello, a cui tenersi vicini per tutta una serie, nei limiti di un'approssimazione definita. I tecnici chiamano questa approssimazione, «tolleranza», e se vi tocca scorrere quei fogli blu, segnati di linee bianche che si vedono nelle fabbriche in mano ai capitecnici e sui tavoli dei tornitori, leggete illimite di tolleranza espresso in millesimi di millimetri e chiuso entro un cerchietto bianco. E' il vero titolo araldico di una fabbrica, il suo numero di qualità. L'operaio, con i mezzi che la tecnica ha messo a sua disposizione, non deve mai tenersi al di fuori di quel limite, altrimenti il pezzo è scartato al controllo e il lavoro è perduto.
La scienza pura è riuscita a darci dei «modelli» della natura, espressi in formule. Ma che cosa avviene se, al posto dei simboli astratti, nelle formule sostituiamo delle grandezze numeriche, concrete? Esiste appunto una «teoria degli errori», che, basandosi sui risultati del calcolo (il calcolo sublime di Bonaventura Cavalieri, di Newton e di Leibnitz), riesce a darci l'approssimazione raggiunta. Questa teoria constituisce il vero legame tra la scienza e la tecnic. In fonso, noi siamo consapevoli dell'errore delle nostre misure, e riusciamo a pensarlo piccolo quanto vogliamo, vale a dire infinitesimo, mai nullo. La perfezione e laperpetuità sono semplici concetti: nei fenomeni della natura c'è un elemento di cui non possederemo mai la misura precisa ed è, nella sua accazione più vasta, l'attrito. E' l'attrito a svelarci la presenza della materia, a fare di ogni fenomeno un avvenimento «irripetibile», sempre diverso, sempre nuovo, esaurito nella sua durata.
Considerate un proietto che esce da una bocca da fuoco: a parità di tutte le condizioni di tiro il proietto non cade mai allo stesso punto: cento colpi sparati in condizioni di parità assoluta con la stessa bocca da fuoco non s'infilano uno dopo l'altro nella stessa buca. I colpi risltano sparsi sul terreno entro un'area, caratteristica per ogni calibro, a formare una «rosa», come dicono gli artiglieri. L'importante, anche in questo caso, è conoscere la misura dell'errore. Difatti gli strumenti di precisione che esistono nei nostri laboratori non servirebbero a nulla se non portassero una targa o un cartellino, con su scritta la misura dell'errore.

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Cerchiamo ora quante unità sono necessarie a definire un movimento. Un corpo che si muove, nel campo della meccanica e dell'astonomia, percorre un certo spazio in un dato tempo. Sono in gioco, quindi, il peso del corpo, la lunghezza percorre un certo spazio in un dato tempo. Sono in gioco, quindi, il peso del corpo, la lunghezza percorsa e il tempo impiegato. Ne viene fuori la trinità: centrimentro, grammo, secondo, che rappresenta il cardine del moondo fisico. Se poi si vogliono includere tutti i fenomeni elettrici, si dimostra che è sufficiente introdurre una quarta unità noi riusciamo, oggi, con l'approssimazione che gli strumenti fisici permettono, a derminare tutte le grandezze che entrano nel campo della meccanica e dell'elettrotecnica, dalle dimesioni delle pale di una turbina idraulica allo spessore che devono avere i fili del rame per la distribuzione della luce nelle città.
La nostra intelligenza ha trovato le leggi della natura. Che importa se nell'applicazione risultano necessariamente approssimate?
Due grandi leggi stanno alla base del mondo naturale: il principio dell'indistruttibilità della materia e il principio della conservazione dell'energia. Da questo secondi se ne deduce uno ancora più suggestivo: il principio dell'equilibrio che può essere espresso in questi termini: «il passaggio tra due strati di equilibrio avviene sempre col minimo dispendio di energia». Si trova così ragione del cammino rettilineo della luce, della forma sferica dei frutti, dell'architettura che le api danno alle loro celle. Si dimostra, difatti, che le celle contengono il massimo volume in un minimo di superficie.
Più curiose considerazioni si potrebbero fare sulla geometria degli insetti. Ricordate la rete dei ragni, composta di una quarantina di raggi rettilinei che partono dal centro e di una serie di spire che si svolgono dal centro per tratti compresi nei diversi settorim, ugualmente inclinati rispetto ai raggi e a due paralleli? Ebbene quel lavoro che a un disegnatore provetto costerebbe non meno di tre ore è fatto dal ragno in meno di un'ora. Lo rocorda Henri Fabre nelle sue avventurose pagine sulla vita degli insetti. La pira che il ragno traccia è la famosa «spirale logaritmica», quella che io chiamo la curva del raggiro, perchè dovette servire, certamente, a costruire il laboratorio, secondo i capricci di Arianna. E' la curva che svolgendosi genera sè stessa, e come la fenice, risuscita dalle sue ceneri: prendiamola a simbolo dell'amore. Le fotografie che abbiamo sott'occhi fanno il paragone tra i capolavori della natura e quelli dell'uomo. Concluderemo col dar torto a quest'affermazione di Galilei che «il nostro ingegno può reggere il confronto con la sottigliezza se non con l'estensione dell'intelligenza di Dio?».

01 Giugno 2021

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