Una vecchia querela
di Leonardo Sinisgalli
in L'Europa letteraria
A. IV, n.19 (feb 1963)
L'industria vive di idee, di progetti, di invenzioni. Vive anche di manodopera. L'industria vive di disegno e di metodo. Le mani servono poco o niente, a girare una manopola o un interruttore, a premere un tasto. La linfa dell'industria è il calcolo che non va confuso con le operazioni, come non va confuso il seme con i frutti. Inventata una formula bastano le macchine a fare le operazioni. Ci sono parecchie addizioni sbagliate nei taccuini di Leonardo.
Il mio interesse per l'industria non è stato letterario ma analitico. Prima di scrivere poesie io ho pubblicato, circa trent'anni fa, due libretti, i Ritratti di macchina e il Quaderno di geometria.
Il pericolo della «poesia tecnologica» è di scadere nella letteratura pubblicitaria. Il piglio ateo dei tecnologi non mi dispiace. Ma non mi alletta l'idea della poesia come merce. Per ora i poeti tecnologi stanno studiando l'imballo, Ma ho l'impressione che dentro le scatolette ci siano dei purganti più che dei veleni.
Gli unici meriti palesi della civiltà delle macchine sono il trionfo della dissipazione, dello spreco contro lo snobismo e la taccagneria e la sconfitta del superuomo. Il successo tecnico è una conquista di squadre, di équipes. Per questo io dico che il poeta e contro il metodo, è contro le idee, è contro la tecnica, è contro l'organizzazione. Ce la farà a resistere?
I novissimi hanno denunciato un vizio della poesia italiana del novecento, il crepuscolarismo, il sentimentalismo, l'autobiografismo. Sono per la poesia-oggetto, e scivolano verso la pornografia.
L'Industria è seria, l'Arte è futile. L'Arte non ha bisogno di idee. Ma di immagini.
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