Un ricordo di Leonardo Sinisgalli
Ad 11 anni dalla morte del poeta di Montemurro
di Rocco Brancati
Scelse la poesia alla bomba atomica. Leonardo Sinisgalli non fu mai uno dei "ragazzi di via Panisperna". Era attratto e portato a godere delle meraviglie della scienza pura ma preferì rivolgere la sua attenzione all'arte e alla letteratura. Flash-back: lo conobbi la sera dell'8 dicembre 1975 al Motel Park di Potenza. Era lì per ricevere il Premio Basilicata. Ci fermammo a parlare per una decina di minuti, in un angolo, mentre tutto intorno, voci, saluti, strette di mano. Bisognava guardarlo negli occhi per entrare a far parte dei suoi pensieri. Non parlammo di letteratura ma di macchine, di automazione, pensando forse a quello che sarebbe stata, di lì a poco, la "civiltà del computer". George Orwell e il suo "the big brother" apparteneva già al passato. Il futuro era già annunciato dal microprocessore e dagli studi di Federico Faggin alla Silicon Valley. Con un certo disagio fisico, come se ne fosse contemporaneamente attratto e respinto, Leonardo Sinisgalli mi parlò - già allora - del bio-processor, il chip di materia organica, il vero demone in grado forse di condizionare la vita umana. Oggi mi domando chi sarebbe stato Leonardo Sinisgalli senza la poesia, se - rileggendo la sua biografia - in quel lontano 1930 fosse entrato a far parte di quello sparuto gruppo reclutato tra gli allievi da Enrico Fermi. Come Ettore Maiorana suicida per la scienza, anche lui sarebbe stato ricordato per la nascita dell'atomica piuttosto che per le "monete rosse che battono contro il muro". Proprio lui che aveva fondato e diretto la prestigiosa rivista "Civiltà delle Macchine", ingegnere alla Olivetti, non amava e non sapeva scrivere a macchina. Quell'8 dicembre 1975 mi parlò anche di questo. Mi ricordò che i primi corsi di dattilografia furono fatti a New York nel 1881 ma che lui preferiva ancora penna e calamaio. E gli tornò in mente quel manifesto, realizzato proprio per la Olivetti, sul quale appariva una rosa nel calamaio. Pochi anni dopo quell'incontro, a Benevento andai alla ricerca del suo passaggio nel collegio "De La Salle" ma di lui non resta traccia. Anche i luoghi sono diversi. E solo con la fantasia è possibile "ricostruire" lì una "storia" romanzata tra fantasmi e gare tra studenti, con molte analogie al film "L'attimo fuggente". Che cosa sarebbe stato della poesia di Leonardo Sinisgalli senza le "lacerazioni" che gli derivavano dall'esser figlio di emigrante e senza lo "sradicamento" dal suo paese, Montemurro, al quale pensava sempre con nostalgia? A Benevento, e ogni volta che andavo a Napoli dal 1976 al 1979, nella redazione della Terza Pagina de "Il Mattino", con Domenico Rea, chi mi tornò a parlare di Leonardo Sinisgalli fu il direttore Orazio Mazzoni. "Avete letto che cosa scrive Sinisgalli sul Mattino?". Come suo corregionale io dovevo sapere tutto di Leonardo Sinisgalli. Di tanto in tanto anche Cicelyn, inviato speciale anarchico-individualista come lui stesso si autodefiniva, mi chiedeva notizie del poeta-ingegnere, figura quasi mitologica paragonata a quella del sindaco-contadino Rocco Scotellaro. E così facevano Prisco, Tarsia, Pomilio mentre dei poeti avevano una diversa opinione Paglia e Lombardi. E' strano come in certi ambienti la "lucanità" può essere sinonimo di poesia, di paesaggio agreste, di reminiscenze storiche che avevano origine da Orazio Flacco e via via attraverso Isabella Morra giungevano fino a Sinisgalli. Nel 1982, un anno dopo la morte del poeta, mi vidi recapitare un piccolo volumetto, la copia n.1830 delle duemila numerate fatte pubblicare nel primo anniversario a cura di Giuseppe Appella, Ida Borra e Vincenzo Sinisgalli. Anche questo un libro-bonsai, come "Furor mathematicus" e come tanti altri libretti di poesia, da tenere in tasca e da rileggere di tanto in tanto, come se fossero dei breviari. Ebbene nelle poche righe che accompagnavano questo volumetto, Ida Borra scriveva "La ringrazio fin d'ora se potrà fornirmi notizie utili all'ampliamento della biografia e bibliografia di Leonardo". Non ebbi mai il coraggio di confessare i ricordi di quel mio breve incontro, l'8 dicembre 1975, con Leonardo Sinisgalli.
Il Giornale di Napoli - 31 gennaio 1992
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