Sito ufficiale della Fondazione "Leonardo Sinisgalli"

La vigna vecchia

Il titolo riporta Sinisgalli e il lettore nella sua terra e nei suoi ricordi (quattro autobiografie); tra i suoi oggetti, tra i suoi animali in una cornice di vivo realismo. È una riconciliazione dopo "I nuovi Campi Elisi", ritorna una natura che rasserena, nonostante la solitudine degli affetti. Anche se è solo. Solo con le sue mosche, con la polvere (un omaggio alla noia), solo con ciò che rimane della propria infanzia.
"Ci è toccata questa valle, questa valle / abbiamo scelta per tornarci a morire. / Dove Gesù risorgerà con molta pena / noi speriamo ardentemente di sopravvivere / nel cuore dei congiunti e dei compagni, /* nel ricordo dei vicini di casa e di campo" ("Pasqua 1952").
Nell'ultima sezione, "L'albero delle rose", trascrive dal dialetto canti popolari che una giovane ricercatrice di Potenza raccoglie per una tesi con il prof. Bronzini.
La sua attenzione, sempre viva per i giochi, per i rituali, per le tradizioni si sostanzia in un lavoro quasi "etnografico" sul proprio dialetto e sulla propria cultura.
Sinisgalli raccoglie, con gusto documentario, ciò che la propria terra gli offre. Forse non si è lontani dal vero se si pensa che in quest'atteggiamento culturale c'è la stessa motivazione che spinge l'emigrante a portarsi con sé un pezzo di casa o di paese, un oggetto qualunque, un cimelio da accarezzare nei momenti di malinconia o da far vedere agli amici in città (Caserta).
I bambini di Sinisgalli, in questa sezione molto presenti con le loro filastrocche, sono qui, come altrove, quasi sempre scalzi. Ruzzolano, corrono, tirano sassate, giocano e sono ebbri di vita. Per questo sono quasi sempre monelli. L'infanzia è per Sinisgalli l'età più bella.

La raccolta si articola in cinque sezioni: Quadernetto alla polvere, Coroncina, La vigna vecchia, Era un fantasma saturnino, L'albero delle rose.

QUADERNETTO ALLA POLVERE

Nella mia stanza come sopra un atlante
ho cercato i tuoi mari e i tuoi monti.
T'ho attratta con un crine,
t'ho estinta con un soffio.
Ho resistito ai tuoi vortici, alle piene
improvvise, ai letargici inganni.
Per lungo giro di anni
tra le rughe e gli specchi,
nella spoglia di un fiore,
sul lobo di un orecchio,
dove esita la sfera,
dove il filo si spezza.

Appena visibile incolore impalpabile,
senza apici, senza figura,
innocua come la serpe di cui si conosce il rifugio,
più elusiva dell'ombra, pungente più della luce,
dove ti posi fai intima ogni cosa.
Così silente scorri ma non trabocchi,
ti accumuli ma non dirocchi.

Qui nel quartiere sotto la collina
trascorro le mie ore al riparo dal vento
come il mangiatore di fiamme copre col sasso
le fragili monete del suo altarino.
Amo questi meriggi corti così cangianti,
l'aria friabile, l'anitra che farnetica nella corte.
Nella vasta penombra non spiga la Città.
Fu prato in altra età.
Annaspo nel buio semicieco
verso il cerchio di fuoco
che brilla nel campo dei monelli.

O sostanza retrattile,
spuma incongrua di un mare di tedio,
o superbo ipogeo della Piuma e della Pulce
che cosa chiude la tua secchezza,
che cosa riflette il tuo guscio?
Quale seme, qual polline, qual germe
nasconde il tuo nocciolo,
un diadema, una rotula, un verme,
quel che si accoglie o quel che si rifiuta,
l'uovo guasto o la macchina inutile?

Forse il fuoco del giorno è restituito
da questo lume che attira sfinita
una falena, da un grano marcito
che nutre l'uovo di un'ape nel seno.

Con quale assillo prepara la Sposa
per anni la coltre del letto nuziale,
e il Re che da vivo conta i sassi
della Piramide sepolerale,
il Guardiano che fa coi secchi
il censimento delle foglie del viale...
(Selva fitta ove il Tempo
nasconde le sue trappole,
immola le sue vittime.)

Ti porterò la mia testa vacante
e tu andrai più dolce di una lacrima
a cercarti un piccolo alveo sotto gli occhi.
Ma così lieve, così arrendevole
che un flotto di luce ti spazzerà.

Quando la foglia cade
dagli alberi invisibili
e la forma si estenua
e la forza si esaurisce,
quando anche la dura pietra
e il ferro tenace
vestono di gemme il tuo fantasma,
quando il gallo irato si ostina
ad afferrare il tuo Principio,
e non sa che il tuo capo è nel buio
la tua coda è l'oblio,
noi ci chiniamo a guardarti
come una biscia morta ai nostri piedi.

Fenice del nostro risveglio
devasta i vani orditi,
rinfranca il cuore con le tue alluvioni,
porta il limo sui vecchi triangoli
e le tempeste sulle carte siccitose!

Da te, consumati tutti i segni
Sciolti i nodi, rotti i patti,
distrutte le scorie,
rinasceremeo alla stasi eterna,
lastre senza gemiti, specchi senza memoria


CORONCINA
Alla bianca alba di questi idi
chi ti ha scosso dal sonno,
chi ti ha chiamato sul ciglio
dell'ombroso mattino?
I tonfi di un tappeto o i gridi
del fornaretto?

Eri un poco più cieca ogni sera
seduta lassù sulla loggia
come la piccola dea di sale
Persefone dalla fronte severa,

L'effluvio degli embrici, le viole
cupe sulle tue case, il capino
del ramarro dietro l'innaffiatoio.

Risaliranno ì fanciulli
la collina a primavera,
scriveranno i nomi gentili,
lasceranno inciso il loro cuore
sui calcinacci.

Si patisce anche l'urto delle rose
che il vento salernitano
piega sul nostro petto:
siamo i soli a non biasimare
la brevità della stretta.

Quell'ombra coglie il fiore
della prugna sul precipizio
e il piede non fa danno!

Mi gira intorno da Oriente
a Occidente il mio fiume
tumultuoso. Corre il leprotto
tra i giunchi e i fiabelli dei tòtari
che si spappolano scintillanti.
È così lungo il crepuscolo
sulle tue rive, tra i sassi bianchi
e viola, che i vecchi ortolani
caduto il sole dimenticano
di ritornare.

Rivolterò le dolci pietre e tu
scherzosa mi sfuggirai
tarantola lycosa


LA VIGNA VECCHIA

La vigna vecchia
Mi sono seduto per terra
accanto al pagliaio della vigna vecchia.
I fanciulli strappano le noci
dai rami, le schiacciano tra due pietre.
lo mi concio le mani di acido verde,
mi godo l'aria dal fondo degli alberi.

La più bell'aria
La più bell'aria dell'anno
nel più bel sito,sull'erba
che recinge gli Elisi.
Per una visita ai morti
s'è mossa tutta la tribù:
le sorelle saracine, le rosse nipoti.
Trascinammo gatti e cipolle
davanti alla cappella dove giace
la spoglia di mia madre.
Ci sdraiammo come a mensa
intorno al suo corpo disseccato.
Chi prega e chi mangia e chi ti piange
madre. Chi cinge di fiori freschi
il tuo letto di cenere.

Fiume storpio
Appena si fa più ampio
il cerchio dei monti
e la luce dilaga oltre i fervidi
orti di Pontecagnano
il tuo richiamo roco
il tuo abbraccio in tanto lutto
fiume storpio
affettuoso Tanagro...

La civetta della neve
Vengono anch'essi a scaldarsi
accanto al camino i vecchi Dei.
Viene intirizzita a chiederci asilo
la civetta della neve.

Lo scorpione
Come certi segni che sbucano
dai muri e dai soffitti
alla vigilia di gravi fatti,
come il lagno premonitore
di una tavola o di una trave,
la stella forcuta splende
a volte sul cammino.

Antichi giuochi
Quando la chiesa è vuota,
chiusa a chiave,
i cani e i bambini si rincorrono
davanti al Convento.
I bambini dei nostri paesi
giuocano sul sagrato
con l'osso secco del castrato.

I ragazzi gridano tutta sera
I ragazzi gridano tutta sera
sulle rive del fiume.
A ogni scoppio di mina
fuggono come uccelli, ma per celia.
Poi tornano a sciamare
intorno ai martelli.

I tizzi allegri
I tizzi ardono allegri
quando la casa resta vuota.

Camera di ragazzo
Mi ricordo ancora
i versi che scrissi
alla pigra passiflora
quando il cuore tremava
al lamento notturno degli infissi.
Lungo l'inverno intero
coi piedi sulla brace
e la testa di ghiaccio.
Più pesante di fuori
era la neve io dentro
spegnevo le candele
e coi tizzi lucenti
stavo solo a far niente.

L'armonioso sonatore
Batte i suoi martelletti sulle stecche
di legno l'armonioso sonatore.
Il breve suono è inghiottito
dal rumore dell'acqua.
Vedo le braccia secche,
il teschio controluce,
ma non riesco a sentir nulla.
I miei sensi sono ottusi.

Il grido arabo
Il grido nel cavedio
dove si accumulano
polvere e piume
tarantole e tedio,
il grido arabo delle rondini...

Voi mi chiamate
Voi mi chiamate verso la luna
dagli abbaini di Bra.
"Siedi anche tu, bevi e ridi"
tra pipe e tarocchi e le scure
bottiglie di barbera. Dietro le spalle
i sonagli delle corti,
il gluglu dei tacchini,
la dolce tromba distrettuale.
Allungo il braccio a te Cordero
tra i fantasmi in subbuglio
nella notte cisalpina.
L'avete vista anche voi
la grande luna del 16 luglio?

Giuseppe brucia i roveti
Giuseppe brucia i roveti,
scioglie i cappi delle pietre.
Spezza la terra e la ricuce.
Cerca gli umidi segni
sotto i massi di macigno.

L'anno nuovo
Non vuol pesarci
col suo sovraccarico l'anno nuovo,
cammina lesto sulle travi.

Breve storia
Piovve tutto l'inverno quell'anno
di scuola, di chiesa, di cortile.
A quell'età bisognava morire.

Il cratere
Vieni uccello leggero
sopra il cratere spento,
torna felice al vento.

Voce del cacciatore
Io aspetto che tu passi
all'incrocio dei vecchi sentieri.
Dormi dietro i sassi
e all'alba vieni a bere.
L'acqua è pura come il cielo
che raccoglie. Sopra le foglie
tu lasci un segno:
su quella striscia devi cadere.

Libritti
Dietro le case di Libritti
nell'afrore delle vecchie vinacce
il ragazzo sognava le sue cacce
premeva le viscere sui garretti.

Fiera di San Giorgio
Si spegnevano al sole le piccole fiamme
degli zingari maniscalchi,
le incudini abbandonate sui prati
e i suntuosi scacciamosche
per le groppe degli asini decrepiti.

Nelle torride età
Giù nelle grotte fino a ieri
gli avi hanno sepolto le nevi.
Nelle torride età
partivano i bianchi vascelli
per le plaghe felici.

Giuoco di monelli
S'affumica per vanto
l'osso della lepre e i maschi
ne fanno un bocchino,
si spolpa il teschio del lupo
per cavarne una lucerna.
Nel giuoco dei monelli
il destino è ancora scritto
su una faccia del dado.

La capra
La capra inquieta al mattino,
la capra bizantina singhiozza
prigioniera nella grotta,
rimpiange i bei dirupi.
All'alba l'hanno segnata
per essere sacrificata.

Stelle vespertine
O eternamente avverse
e a me sempre dilette
stelle vespertine,
vivide luci su opposti poli!
Vi guardo dall'alto della vigna
nel quieto firmamento
splendere sopra le case del mio borgo
stelle nemiche, stelle
in opposizione.
Mi calma il vostro scintillio, stelle
della promessa e dell'addio.

La tegola è tiepida
La tegola è tiepida,
la creta è dolce.
Per questo va e viene tutti gli anni
la rondine chiostraiola.

Un pipistrello
A toccarci coi piedi nudi
fratelli e sorelle
seduti davanti alla porta
con mamma più alta
che mormora le orazioni
a occhi chiusi. La strada
stretta e il fiume di ginestre
sui muli dei fornai
le sere che un pipistrello
sbalestrato all'odore di giugno
abbandona la grotta.

I sambuchi
Dell'insetto vibrante d'oro d'indaco
che frullava legato alla refe
nella valle dei sorbi, delle gemme
voraci dentro il miele dei sambuchi
una zampina stretta al cappio
inerte nelle stridule dita...

Visita agli Etruschi
Non vollero rose sulle mense
ma pasti sanguigni
e intorno giuochi per adulti.
Ripararono il loro inferno
dal sole e dal vento salato,
vi si tapparono come dentro un pollaio
Nella fossa di tufo,
stretta camera d'amore,
scintillano gli occhi furbi,
lo scettro vermiglio
e i glutei del manfiorita.

Il Tevere
Il Tevere scivola più lento del miele.
Maggio va adagio. La luce d'oro
trabocca dalle cime.
Biondo e morbido l'olio della luce
si riversa quaggiù.

Messaggeri
Corre oggi la brezza degli Elisi
da Largo Chigi a Ripetta,
vengono i messaggeri
con le pigne odorose di spighetta,
gli acini viola dei giardini dell'Ade
Forse oggi cade
l'anniversario della nostra morte.

Va e viene
Nella creta rosea di quest'inverno
sullo schermo della mia cameretta
un puntino che va e viene
multicolore sulle palpebre
e il suono pungente della mosca
straniata.

Post scriptum
Qualcuno gode nell'orto
la sua ora di delizia,
qualcuno forsennato
scrive versi tra le ceste di noci,
qualcuno raschia il tartaro dalle botti
nei sottani. A mezza età
il poeta sopravvive. La sua fortuna
durò un soffio, un lampo
la sua grazia.

Lo spauracchio
Non può piegarsi
a carezzare le spighe brune,
a stringere in pugno i passerotti.
Può solo guardare più a lungo
il tramonto.

Siamo legati
Siamo legati
dalla miseria della vita.
Ci parliamo piegandoci controvento.

Febbraio
Prima che spunti il verde dai rami
ogni anno risorge a mattutino
il fischio del muratore.

Pasqua 1952
Le sere d'aprile son fredde e tristi
quaggiù nei cameroni di casa mia.
Mio padre si muove appena tra il focolare
e la latrina. Lo portiamo a braccia, lo svestiamo
gli sciogliamo le scarpe per farlo dormire.

Le pendici del Serino sono ancora bianche di neve.
Ci siamo tappati nelle stanze, a stento
ci arrivano dalla piazza i rintocchi dell'orologio
Il fumo ci arrossa gli occhi,
è umida di bosco la legna mortacina.

Cristo risorgerà dal sepolcro di iris:
i messaggeri ce l'hanno annunziato
bussando alle imposte.
I piccoli pastori ci portano i primi
asparagi dalle spinete, l'ortolana
scalza è entrata con un cesto di fiori di rape.

Aspettavo da trent'anni una Pasqua
tra i fossi, il muschio sopra i sassi,
le viole tra le tegole. Ma i morti
dormono nelle bare di castagno,
sugli archi delle stalle e dei porcili,
sulle crociere delle cantine e dei pollai.
Fanno fatica ad abbandonare per sempre
le nostre sedie, i nostri letti,
dove vissero tanti anni di lenta agonia.

Lungo le strade gli stracci
neri delle vesti sono più silenziosi.
Un gruppo d'uomini brucia col ferro
il grumo di veleno nella bocca dell'asino.

M'ero messo in viaggio verso una Pasqua
in fiore, incontro al Cristo purpureo
che solleva il coperchio di grano bianco
cresciuto nelle grotte.

Tutto quello che io so non mi giova
a cancellare tutto quello che ho visto.
I fanciulli soffiano sul carbone
perché dal piombo fiorisca
il simulacro della rosa.

Vanno e vengono per casa le visitatrici
a portarci i sarmenti per il fuoco,
le ceste d'uova, le parole di cordoglio.
C'è sempre nelle stanze il ricordo
di un lutto recente o il gemito
di un vecchio malato.
Mio padre ha il sangue greve.
Si duole della sua immobilità.
Lo caricheranno sulle spalle i miei nipoti
e un giorno, un tiepido giorno di là da venire
lo porteranno alla vigna. Lo porteranno
a mezza costa, sulla sedia
di braccia intrecciate.

Ci è toccata questa valle, questa valle
abbiamo scelta per tornarci a morire.
Dove Gesù risorgerà con molta pena
noi speriamo ardentemente di sopravvivere
nel cuore dei congiunti e dei compagni,
nel ricordo dei vicini di casa e di campo.

Come fischiano le rondini
intorno alla chiesa di San Domenico
semibuia il giovedì delle tenebre!


ERA UN FANTASMA SATURNINO

In memoria

Ci dividiamo le lenzuola
e le noci contro la luce delle montagne
noi figli ricongiunti da una data.
Gonfi di pianto entro la camera muta
ricordiamo i vostri sudori e le tossi,
affondiamo le teste nelle casse
e a strati ritroviamo le vostre reliquie,
i teneri pegni, i fossili fiori.

Versi per l'anno nuovo
Spazza il vento faville
di focaracci sulla neve.
La candela mattutina smoccola
sui quaderni. Mi torna il piacere
degli inverni di paese, mi spingo
a spiare un lembo d'aurora tra le stecche.
La vita s'infervora agli angoli morti,
si accumula nei giorni spenti.
Di soprassalto mi chiama uno squittio
tra gli arbusti della collina, un tralcio
sibila all'aria di dicembre.
Avanti giorno io scendo
dalla mia stradina cieca.
Nella mattina deserta è un braccio
senza numeri abitato da piante e da pietre.

Il vellutello
Va e viene il muschio
ramingo sulla muraglia
come i vaghi raggi
di luce nel cielo.
Scortico il vellutello cresciuto in una notte.
Me lo porto rapito nel pugno.
La natura ci ebbe
con pochi frutti, ci crebbe
con poche promesse.

Gli anni letargici
Ricaccio il meglio in dentro,
nutro il mio pelo con la bava,
divoro i miei fantasmi.
Spero un giorno di trovare
quel che ho dovuto insaccare.
La lumaca s'è nutrita
di un pezzo di cavolo,
quanto l'impronta del mignolo
e tra due lune dorme
mangiando sé stessa.

Antichi giuochi
Che cosa si può cavare da uno sterpo?
Due legnetti in croce, una gruccia
per la fionda, un uccello a due becchi
per il giuoco delle mazze o un zufolo
e una canna per sparare alle mosche.

Febbraio dolce e amaro
Mi capita di guardare il cielo
di queste notti e le stelle più chiare
perché sono distratto.
Fra due macchie fulminea
si apre una crepa di beatitudine.
La natura si rivela più forte
della vita e dei pensieri
e di tutte le nostre invenzioni.
Ci ammonisce con la ferrea
tensione del sereno,
con la sua omogeneità senza uno strappo.

Primavera a Chiaia
Morire non si può, la sera è gaia
di viole sui Gradoni. La sorte
è appesa a un ambo
e a questo dolce piacere
di bere menta nella neve.

Paglia e farfalle
Marzo rimescola paglia e farfalle
nell'aria più liscia.
Affondo il piede nella buca
di terra che la talpa
ha rimosso da poco.
Mi struscia il sole la nuca
sull'erba folta della valletta.

Una domenica di aprile
Tra il polline e la polvere dei bambini
fugaci tu siedi sullo scranno
di pietra dei giardini.
Chiudi gli occhi al sole,
porgi l'orecchio al bisbiglio
di vecchie inaudite parole.

Uno squillo
Ci teniamo in difesa di portenti.
Uno squillo fa il giro della terra
e s'infrange contro un bicchiere.

Firmamento
Si scorre tutto il cielo
per trovare una stella.

Compleanno
Taglia a sghembo gli spigoli
grigi il primo volo. L'aria
sdrucita oscilla tra le stillanti
ringhiere. Lo sterpo ti propone
una difficile gemma. Coglierla
e cadere.

Appena ieri
Tutti i fiori sono caduti dai rami
in un sol giro della ruota.
La nuova luna ci porta già
i prati secchi. E' cambiata la scena
e noi non ci ricordiamo
che appena ieri
abbiamo creduto immutabili cielo e terra.

Le erbe nemiche
Nelle nostre guerre tra i calcinacci
la Natura ci mise in sospetto,
non ci nascose l'altra faccia.
Qual era la pianta che cacciava
il veleno, lo sputo, la bava?
Il tortomalio, la catapuzia, la mordacchia?

Sotto l'albero
Un re si gode quest'alba
tra i passeri. Un re mendico,
un re burlone che si nasconde
dentro vecchi giornali.

Città tolemaica
Si trova Napoli sghemba
eccentrica obliqua, non si sa.
Si riassume in un'immagine la città:
Napoli non si afferra né dal cielo
né da terra. Quanti spettri
operosi, quanti sposi risorti!
Tutti leggeri come morti.
Ci si sveglia tra i dirupi delle pietre,
tra i fumi dei forni,
tra i vapori di aceto.
Si corre dietro lo strepito di una trombetta.
Ogni gesto è un pensiero, il pensiero
della marionetta riflesso nell'eternità.

Valle Giulia
E' chiusa l'età breve del biancospino.
Piccole fiamme camminano
lungo le rive del fiume.
Un popolo di formiche, punte
dalla calura, scende giù
dalle colline alle acque.
Il più bel tempo dell'anno si offusca.
Il cielo di fulgido sasso
si è consumato in polvere nelle mani.
Tutto quello che ho toccato
è avvizzito. Non dovevo guardare,
non dovevo sentire.
Valle Giulia è solo degli uccelli
e dei fanciulli.

Autobiografia I
La madre trovava a tentoni
la piazza con la punta di fuoco
di un tizzone. La prima messa
dava il tempo ai pomi
di cuocere. Visse tra i cani
e i monelli accanto ai pozzi
e seduto sulle ruote di pietra
dei mulini.

Autobiografia II
Ha riconosciuto un amico
nel suo mezzadro sordomuto.
Ha battuto i noci.
Ha imparato a inchiodare
un treppiedi, a fabbricare un'oliera.
Ha raccolto nelle tasche i nidi vuoti.

Autobiografia III
Cinque figli sono un peso
meno grave dei tuoi pensieri.
Sei partito da dieci anni
e sembra ieri. Se tu sei forte
ti faranno onore. Ti farò onore
anch'io fino alla morte
e al cospetto di Dio.
Asciuga il tuo sudore
nel mio fazzoletto. La nostra storia
sarà degna della nostra razza.
Andrò a raccogliere legna,
andrò per cicoria.
Non invidia la rosa
la tua sposa Carmela Lacorazza.

Autobiografia IV
Era un fantasma saturnino
azzurro e verde mio padre
quando tornava dalle vigne
al tempo dell'insolfatura.
Aveva aperto le viti
a una a una
scostando i tralci e le ruvide foglie.
Un giorno portò un bruco
caduto da un melo,
grosso come un suo dito.
"Gli anni duri sono finiti
per Sinisgalli, i nostri figli
avranno paglia per cento cavalli",
disse una sera a sua moglie
la regina Taitù
prendendola per le due mani,
sola carezza davanti alla tribù.


L'ALBERO DELLE ROSE (poesie lucane scelte e trascritte dai dialetti indigeni)

Canto di una fanciulla in attesa delle nozze
Io sono già molle
e mi voglio sposare.
Ho la casa lavata,
una treccia d'agli,
una cesta di cipolle.
E una zucca piena di sale pestato.

Una giovane sposa recita i versetti contro il malocchio che l'ha colpita alle mammelle
Dentro il mio latte
il pelo dell'invidia s'è cagliato.
Madonna sii generosa,
il mio uccelletto strilla,
fai felice una sposa.
Fai felice una sposa
che, priva di consiglio,
dimentica del giglio
ha vantato la rosa.

Un uomo canta sdraiato sotto un albero
Come è amara la campagna
sotto l'albero di cotogne!
Se mi torni sotto le unghie!
Chi ha più voglia ci guadagna.

Serenata
Vorrei essere un galluccio di gennaio
per cantare tutta la notte
dietro la tua porta, bella mia.
Non farla dormire, mio Dio,
fa che mi ascolti e si affacci.
"Chi sei tu che canti?" - E tu
viola che spunti tra i ghiacci?
Sono un galluccio forastico:
sei la pollastra che dorme sola.

Invito
(L'innamorato suggerisce alla ragazza un pretesto per uscire di casa senza destare sospetti. Bisogna sape tra un uscio e l'altro, nelle nostre tribù, si operano scambi eciproci di cortesie. Si presta il lievito, si presta il fuoco, si presta l'acqua.)

Esci con la paletta
ora che scuro è il giorno,
chiedi cenere e brace
alla porta del forno.
Se il fuoco ti si spegne
dài la colpa alla legna,
se la gonna ti brucia
dài la colpa alla lucciola.

La colombaia
(Nella nostra mitologia Eva non vive nell'Eden, vive in una colombaia.)

Salirò sulla torre
per trovare il tuo nido.
Scosterò il sasso che ti nasconde.
Aprirò le tue ali.
E sulle piume virginali
cadrò col peso di una tomba.

Il cercatore di uova
Ho dormito per sette settimane,
mi sono svegliato ch'è Sabato Santo.
È tornato aprile e la tenera frasca,
anch'io ritorno per la buona Pasqua.
Ho portato due panieri, uno lacero
l'altro vacante.
Posso raccoglierne trenta e quaranta.
Palazzo fabbricato con le penne
è stato misurato con la canna.
Il gallo ha cantato, ha scosso le ali.
Andiamocene sfortunato suonatore.
Scendi bella, vieni pure in camicia.
Allunga il braccio, porgimi le uova.
Son qui davanti alla portellina del gatto(*)
E' l'ora prima della Pasqua nuova.

(*) La gattara, il buco per i gatti e le galline scavato poco al di sopra della soglia.

Dispetto
(Si cantano in giugno, di notte, quando è nel pieno la stagione dell'amore.)

Vieni alla finestra serpapinta,
figlia nera del carbone veramente.
Vieni cenciosa, scarmigliata,
forforosa che hai pidocchi
grandi una cerasa.

Altro dispetto
Oh i tuoi vezzi son quelli d'allora!
Giri il capo da valle a monte.
lo ti cercavo quando mi eri amante,
ora che mi sei niente non ti trovo.

Scongiuro per il male alla mano
Tu non l'avvilire
non l'abbandonare,
tu la devi coltivare
per non farla morire.
La mano tanto dista
dal cuore dall'orecchio dalla vista.

Scongiuro per il mal di capo
Guarda contro Gesù e non lo vede.
– Che hai Santo Simone, una rusca nell'occhi
o una spina nel piede?
– Ho una spina nel capo Gesù mio.
Giorno e notte non trovo giaciglio.
– Pigliati il capo mio, lasciami il tuo.
– Il mio è una patata che si ciglia,
il Tuo è una lucerna.
– Ma la Trinità Eterna
il verme dal tuo vaso toglierà.

Scongiuro per il mal di ventre
Fugge l'acqua sopra la paglia
come fugge l'Onnipotente.
Come s'allenta la tenaglia
ti passerà il mal di ventre.

Un giovane canta nel mese di aprile la Domenica delle Palme
Salirò sopra l'ulivo,
farò una palma d'argento,
una piccola palma galante
perché a tutti i vicini resti in mente.
Ecco la palma, amore, ridammi la pace:
non far ridere di me i miei nemici.
Ecco la palma, cara, ridammi la pace
ora che sui fiori è caduta la croce.

Una ragazza si duole perché ha peduto il dono del fidanzato
Ieri sera tagliai una pera all'aceto
con il coltello dell'innamorato.
Coltello non t'avessi mai perduto
mi metti in guerra col Culopizzuto.(*)

(*) È vezzeggiativo.

Ninna nanna
Vieni sonno e non venire solo,
vieni a cavallo su un cavallo moro.

Notti di febbraio
(È già quasi primavera quando l'ebbrezza del Carnevale sta per spegnersi. Le notti sono già dolci. Le comitive di pastori bussano alle porte dei massari. Il suono del cupo-cupo - la membrana di vescica mossa da una bacchetta strofinata nel pugno - accompagna le sequenze di distici cantati al sereno. Poi la porta si apre.)
1
Carnevale è pieno d'olio,
oggi maiale e domani foglie.(*)
2
Vado cantando e piove a goccia a goccia,
signor padrone dammi la salsiccia.(**)

(*) Si chiamano "foglie" tutte le verdure per la minestra. Mia madre era orgogliosa del suo piatto di "foglie 'mmesche". Raccoglieva a mucchietti in una cesta fino a dieci specie di verdure, e nella grande caldaia piena d'acqua bollente cominciava a buttarle una dopo l'altra, a intervalli calcolati, le più tenaci prima, poi le più tenere.
(**) I salsicciari di Montemurro sono ancora famosi a New York in qualche strada vecchia del Greenwich Village.

Filastrocche
(Nei giuochi dei fanciulli, - per la scelta dei compagni e per l'attribuzione di un campo o di un colore, affidare alla sorte la prima mossa del congegno - si ricorre a questi versi che il mio amico Rotella potrebbe inserire tra i suoi testi epistaltici. L'ultima sillaba è decisiva come nel meccanismo delle decimazioni. I versi sono inconcludenti. Forse una caricatura dell'ambiguità degli oracoli e delle sentenze. O ancora una soggezione alla fatalità?)
1
Din don il campanone
quattro vecchie stanno al balcone,
una fila l'altra impaglia
una fa cappelli di paglia
l'altra fa coltelli d'argento
per tagliare la testa al vento.
2(*)
Anda na grasio
anda fesciò
zappatigno branco
mio do u do
rosa scuntosa
alla bella i
alla bella i
chi mattò
chi mattò
u li iò.

(*) L'ho ritrovata nella mia memoria. Penso che sia d'importazione brasiliana. Per qualche tempo nella prima infanzia i nostri giochi sentirono la presenza e il contributo di due bambini figli di emigranti tornati dall'America.

Primavera
È tornata primavera in montagna.
Le selve sono fresche fresche.

Consigli a un ragazzo epilettico
Tutto il bene non vale
contro un male che conta.
Stringi in mano la chiave mascolina,(*)
hai testa di gallina
avrai cuore di gallo,
ginocchia dure
e i polsi netti(**) per alzare la scure.

(*) Il + e il - delle chiavi, come delle viti, come del sesso, è nella natura del meccanismo dare-avere, entrare-uscire.
(**) È attributo inatteso, nato in bottega, per definire un gesto preciso, senza esitazioni.

Recitazione contro l'itterizia detta anche male dell'arco
Arcobaleno mio stretto parente
a te costa poco o niente
restituirmi la mia aria.
Ho bisogno di simpatia,
devo incontrare per la via
la luna-civetta(*) a mezz'aria.

(*) la fidanzata che storce il muso al fidanzato itterico.

Preghiera per un dente caduto
Santa Apollonia
santa nostrana
santa contadina
ti dò la zappa vecchia
dammi una zappa bambina.(*)

(*) Ci sono le zappe madri per i terreni teneri, lo zappone padre per le maggesi sull'appennino, le zappette per gli orti. Zio Giovanni trentenne, oltre i forti canini aveva davvero sull'arco dentario superiore due zappe, due denti cavallini.

Versetti per l'infanzia
Passava la nonna dietro un muretto
senti cantare la tartaruga.
Un topo suonava l'organetto
il gatto imparava a ballare.
Un riccio in fuga si ruppe il naso
e la gatta crepò dalle risa.

(*) È un quadretto minuzioso come certe oleografle ammonitrici per i negozianti che vendono a credito, diffusissime, ma di provenienza indefinibile, nelle nostre contrade. La bravura nei commerci in una popolazione analfabeta viene spiegata dal Racioppi con i residui irriducibili di sangue fenicio. Il lettore si abitui alla ressa dei sostantivi.

Girotondo grottesco
Ti daremo un sorcio(*) imbottito
sui monti e sulle valli,
lo cucineremo con l'origano
sui monti e sulle valli,
ti daremo due scarpe rotte
sui monti e sulle valli,
le mangerai con pane cotto
sui monti e sulle valli,
ti daremo un gran pitale(**)
sui monti e sulle valli,
ci mangerai la cacarella
sui monti e sulle valli.

(*)Non sorprendano i tanti topi che cacciano il musetto tra i versi. Le nostre case sono anche magazzini di grano, di avena, di lardo, di olio, di noci. I topi ci campano bene. I gatti dormono sulle pietre della focagna.
(**) Sotto i pitali rotti crescono, difesi dal gelo, i buoni carciofi.

Altra filastrocca
Tup tup stanno alla madia
tre zittelle su tre sedie.
Una guarda, l'altra invidia
e la terza crepa d'odio.
Crepa d'odio per la gazza
che ha rubato una ragazza,
la ragazza poi s'è cotta
per rubare una pignatta,
dalla pignatta lo scorpione
fugge a nascondersi dentro un melone.
Dentro il melone attinge la bella
grasso di serpe e si unge i capelli.(*)

(*)Le trecce fino al tallone delle nostre sorelle! Nuccia decise di venderle al capellaro di Moliterno in cambio di lenzuola per il suo corredo.

Nenia
Figlia del mio destino
cresci come, la rosa nel giardino.
Dormi figlia mia, dormi e cresci,
dormi come cresce il grano appena nasce.

Saggezza
Spine letali, spine pungenti
tali sono le zie e le parenti.

(*) È la risposta volgare al nepotes ne putes.

Balcone
Pianta di basilico
pronta per ogni foggia
stai bene al maschio sull'orecchio
e in bilico(*) sulla loggia.

(*) I vasi e le zucche, oltre che poggiati sui davanzali e i parapetti, si tengono anche sospesi come le culle agli archi e ai soffitti.

Versi d'amore
I tuoi sospiri mi hanno chiamato.
Sono sceso dalla pietraia
nel vento e nell'aria.
Non ho contato i passi e le cime,
ho inseguito il tuo fischio di canaria.

Schermaglie
Uccello spennato
perché giri nei miei paraggi?
Non hai polpa né ossa
cerca un altro vicinato.(*)

(*) Nelle nostre piccole tribù i vicini di casa si apparentano nel corso delle generazioni.

Dispetto*
(voce maschile)
Che ne fai di un trentasette,
di uno che porta a spalla sacchi rotti,
muso di capra e mustacchi di gatto?

* L'antico fidanzato sputa alla ragazza il suo dispetto per il nuovo stortignaccolo. O la ragzza ha preferito l'adulto all'adolescente?

Altro dispetto
(voce maschile)
Sei zoccola* di mulino
che con la coda insacca la farina,
sei volpe pollaiola
che ruba le uova delle galline,
sei capra di sacrestia
che suona con le corna il mattutino.

(*) È moglie del topo di fogna, di stalla, o di grotta.

Ritornello al sereno
La scala è lunga, la mia sposa è bella
vado cantando all'aria delle stelle.

Proverbio
Al tempo delle olive
fidanzate ce n'è tante.
Quando la gobba è a levante
perdi la luna e perdi l'amante.
A maggio le ginestre
e ragazze alle finestre.

Dispetto
(voce d'uomo)
Sei un grappolo di sambuco
colma di nero veleno.
Eri bianca come il sambuco
in fiore.

Altri versi d'amore
1
(voce femnminile)
Ti voglio fare un letto galante
un letto fresco nel fresco ponente.
2
(voce maschile)
Beati voi che siete i vicini,
siete i vicini da sera a mattina.
Vicini alla palma argentata,
al fusto di velluto carmusino.
È bello l'amore vicino,
se non lo vedi lo senti parlare.
Lo senti quando chiama le galline.

L'albero di rose
C'è un albero di rose
accanto alla mia casa.
Il vento del meriggio lo accarezza,
il vento di sera lo scuote
e l'odore mi arriva da ogni lato.
Geme di notte il vento,
l'odore torna in mente.

Quartine infantili
1
Galletto rosso
quante penne tieni addosso?
Ne tieni ventitre
per la corona del re.
2
Piove piove piove
le vecchie fanno le uova
il grano va a cinque carlini
i buoi tornano dalla marina.

Ancora un dispetto
(voce femminile)
Ti portavo ciliege mature
nel mio fazzoletto.
Eri chicchirichì.(*)
Ti porto ghiande dure
per dispetto.
Sei cuccurucù.(**)

(*) Vorrà dire: eri un galletto con me.
(**) Vorrà dire: sei un gufo con l'altra.

Vado sempre fuggendo
Vado sempre fuggendo
notte e giorno,
vicino a te ritorno.
Mi spingo avanti un passo
e un passo torno indietro.
Palazzo bello di nera pietra.

Passa la bella
Passa la bella sulle punte
come una cavalla da sella.

Scherzo notturno
Canterò tutta la notte
Farò notte tonda.
La ragazza mi aspetta
morta di sonno alla finestra.
Amore richiudi i vetri,
t'ho amata tanti giorni, mesi e anni
non posso perderti per un'ora di sonno.

09 Dicembre 2011

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