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Il camminamento 13

di Leonardo Sinisgalli
in Gioventù fascista
A.I, n.36 (22 nov X)

 

Gli arditi, nel loro turno di riposo, avevano eretto le tende a circa 2 chilometri dall'Argine Regio.
Alle ore 3 dello storico mattino, 15 giugno 1918, vennero bruscamente destati dal fuoco tambureggiante delle artiglierie nemiche. Quell'improvviso scatenarsi dell'ira bicipite, fece dire al Comandante del reparto ai suoi soldati: «E' l'offensiva nemica di cui vi preannunciai l'iiminenza».
Intanto il fuoco s'intensificava e la terra e le cose parevan battute da fulmini. I gas lanciati del nemico avevano reso difficile il respiro: parevana che l'aria, tutta l'aria pura del nostro cielo, fosse avvelenata per la creazione di un mondo metifico.
Gli arditi, con la maschera applicata, tra l'infuriare di codesti elementi di morte, di corsa d'avviarono per la linea di combattimento, entusiasti per avere il modo finalmente di battersi e di far scatenare la Nemesi mal trattenuta fino allora nelle loro generose anime.
Raggiunsero la linea di combattimento mentre sorgeva l'aurora sanguigna. Il sessantenne volontario di guerra, maestro elementare Bonfioli, chiamato dai fanti «il poeta del Piave», guardando il policromico orizzonte, profetizzò: «Oggi l'esercito nostro si incoronerà di lauro e segnerà il primo passo del dissolvimento degli eserciti nemici».
Ma pareva che la natura, in un primo tempo, fosse avversa all'armi nostre, poichè l'aria leggermente veniva verso le nostre linee, dando così modo al nemico, seguendo il gas lanciato oltre che con granate, ogli appositi apparecchi, di conquistare la prima e la seconda trincea, presidiate da piccoli nuclei di fanti intontiti dal gas asfissiante e decimati dalla tempesta nemica che sbranava.
Un colpo d'aria forte, però, mentre il nemico si avvicinava all'Argine Regio, nostra linea di resistenza, spinse il gas verso le nostre retrovie. Il 44° reggimento di artiglieria da campagna, intensificò allora maggiormente il suo furore. Con fuoco di sbarramento distrusse ponti e passarelle lanciati dal nemico sul Piave, ostacolandone l'avanzata e decimandone i rincalzi.
Il generale di brigata De Maria, il colonnello comandante del reggimento Manenti, stavano su un rialzo di terreno, chiamato «Parapalle» allo scoperto, noncuranti dell'imperversar del fuoco, per seguire le fasi della battaglia e per gettare, al momento opportuno, ai fanti impazienti e tutti schierati lungo l'argine, il grido di «avanti figlioli!».
Strisciando lungo i piccoli fossi, lungo i camminamenti e tra i cespugli, nuclei d'assalto nemici avevano potuto, senza essere avvertiti, portarsi sotto la linea di reticolato che stava a pochi metri dalla nostra trincea di resistenza.
Con le bombe e le mitragliatrici il fante avrebbe potuto ucciderli tutti. Invece, anche quando i «cecchini» furono scoperti così vicini, nessuno sparò un colpo, e, con la febbre nel sangue, ma sicuri della loro superiorità in ardimento, ubbidienti attendevano l'avviso dal Comandante del Reggimento che, sempre ritti al suo posto d'osservazione, pareva godesse dall'impazienza dei suoi gregori.
L'attesa non doveva, però, protrarsi a lungo. Difatti, ecco, gli arditi superano l'argine e si dirigono sgattaiolando verso un tronco di camminamento su cui s'era visto sostare un forte nucleo nemico. Prima che questi avesse tempo di mettersi nella difensiva, gli arditi fanno una scarica di bombe e al grido di «Savoia!», come scoiattoli, assaltano il nemico che, sbalordito da tale impeto, dopo breve resistenza, getta le armi e si arrende, lasciando sul terreno parecchi morti.
I fanti della Brigata, che furono testimoni oculari di questa prima vittoria, non ebbero bisogno di incitamenti. Ufficiali, sottoufficiali e soldati, come un sol uomo, si lanciarono fuori dalla linea ed avanzarono come un'irresistibile valanga capovolgendo così i piani difensivi in offensivi. Lottarono instancabilmente contro tutti e contro tutto, fino a che il rosso tramonto di quello stesso giorno coronò di gloria la giovine brigata Veneto, la quale, per la pronta e tenace reazione dei suoi eroi, la sera del 15 giugno 1918, aveva riconquistato le linee, ripresidiati i posti avanzati, catturati circa 900 prigionieri e cosparsero il terreno di nemici, schiantati dall'irresistibile urto.
Il generale di brigata De Maria, tempra di combattimento instancabile, sempre, sia nella prodiga che avversa fortuna, di una calma mirabile, dopo sì splendida vittoria, volle visitare gli arditi superstiti, e, nel dire loro «Bravi figlioli, la Patria vi è riconoscente e vi benedice», lasciava scendere dal ciglio due perle che erano lagrime di commozione.

***

Alla nostra destra, però, sia per le anfrattuosità del terreno, sia perchè l'urto nemico era stato più veemente, le nostre truppe che, senza tregua, stavano leoninamente combattendo da due giorni, non potevano ancora cantar vittoria, anzi, ivi, urgevano rinforzi.

***

- Lei, coi suoi uomini, deve seguire la seconda linea di raddoppio e così potrà prendere di fianco il nemico che occupa il camminamento  13 - disse il Colonnello al Comandante del Reparto ardit.
Pioveva.
Il camminamento 13 era distante circa 2 chilometri dal posto ove si trovava il Reparto. Per raggiungerlo, bisognava attraversare una zona battutissima e seguire la linea indicata dal Colonnello ove gli arditi si sarebbero affondati nell'acuqa e nel fango sino al ventre.
Era la mezzanotte.
partirono, tra il tuonar dei cannoni e il miagolio delle mitragliatrici. Quando furono prossimi al luogo indicato, una scarica di mitraglia li accolse. Sostarono, s'orientarono. Gettarono dei razzi e, scoperto il amminamento 13, avvicinandosi carponi, fecero una scarica di petardi. Subito dopo assaltarono il nemico, ma ... infruttuosamente, poichè dovettero fermarsi ad un ostacolo imprevisto; e cioè, davanti a una robustissima linea di reticolo.
Cercarono inutilmente un varco e, siccome le bombe nemiche cadevano e decimavano, dovettero ritirarsi dietro un riparo in attesa dell'alba. In questa attesa continuarono a molestare il nemico, gettandogli, coi moschetti e fucili, bombe «Benaglia».
Il Comandante del reparto spiegò ai propri uomini il piano d'attacco; dopo di che furono gettate in un baleno conetinaia di racchette fumogene, mentre con tiro bene aggiustato, una sezione lancia-bombe «Stokes», tempestava di proiettili il camminamento ov'erano i nemici, e due apparecchi lancia-fiamme incendiavano gli alberi intorno al camminamento stesso. Ad un segno, tra il fumo densissimo ed il fuoco spaventoso, gli arditi assaltarno il nemico intontito e con lancio di bombe a mano e con le baionette adoperate arditamente, riusirono, dopo accanita mischia, vittoriosi nell'impari lotta. Ogni vittoria, però, richiede sacrifici: questa volle abbondante sangue di fiorente gipvinezza: sangue che non servì ad isterile ma a facondare la stirpe, sempre pronta a «ricominciare l'opera dura, risalire l'erta già salita, riconquistare il suolo già conquistato, ricombattere la battaglia già vinta».

27 Aprile 2021

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