Lettera da New York (in versi) di Leonardo Sinisgalli
di Leonardo Sinisgalli
in Paese Sera
25/26 novembre 1961
Forse non è serio scrivere da New York
e dire solo ho ascoltato un amico
che mi traduceva Hopkins alliterando come un cane,
Hopkins a New York val più di una messa
a San Patrizio, val più dei giuochi
di vecchi poeti americani e cubisti.
Per me è stato come uno sconcerto
di uccelli ricordati in unanotte,
la notte di Ssn Martino a New York.
Questa cantilena non mi poace. Ma
nei versi di Hopkins la cantilena
no è tenera nè stomachevole,
e sembra spinta dal fiato
più che dal pianto, dal fiato appunto dei juke-boxes.
Hopkins nei versi rabbiosi
ha messo la polvere di stelle,
ha messo il polline dei fiori,
ha messo i peli dei gatti e le piume delle galline.
Per questo nella caotica New York
ho trovato sollievo in una voce strana e soata,
una grazia voluta e nascosta,
un genio infantile e severo.
Io cerco da anni questa sintesi.
Cerco di salvare la grazia
negli esercizi calcolo.
La mia matematica è il freno
alla grande voglia di sregolatezza.
Chi parla di New York,
Lorca o Majakowsky, Ruggero Orlando
o Dylan Thomas, appresta poemi di ampie strofi,
scrive a voce alta,
declama giambi,
cola il metallo ardente
dentro le forme preparate con lo sterco.
Una buona forma, sapete,
- è la prima regola di un'antica arte -
dev'essere concimata di sterco,
deve respirare attraverso i pori della terra compatta.
Lorca e Majakowsky, Ruggero Orlando e Dylan Thomas
hanno fatto un buon lavoro da statuari.
Io non amo le statue, non amo i monumenti,
non preordino una forma, non so
costringere le parole in un imbuto.
Io devo veder crescere la frase
come cresce l'unghia ai vitelli,
come cresce la barba sulla guancia dei ragazzi,
come cresce un albero e si riempie
si stelle in disordine il cielo di San Martino.
San Martino gelido sulle cime dei grattacieli!
Poteva cominciare così la mia ode a New York.
Non mi piace la voce grossa o cantare in falsetto.
Non è serio scrivere da New York
e dire sltanto ho visto i Vermeer al Museo.
E il Seagram, e il Guggenheim
e il bulding della Chiase Manatthan Bank?
Ho visto Vermeer, le sue stanze incantate,
le sue massaie che sono più dolci
e più estatiche delle madonne di Raffaello,
le sue brocche, i suoi merletti,
le sue tappezzerie più preziose
degli ori di Siena e di Ravenna.
Vermeer e la sua poesia da due soldi,
Vermeer che fa poesia di una ragazza
che cuce, di una mamma che s'affaccia
a una finestra, Che incanto!
Amici miei che vi aspettavate
da me un pezzo di bravura
sulle macchine e sui grattacieli,
sulla musica degli ascensori e dei water-closet,
sulle sotterranee e i fantasmi della Bowery,
sulle chitarre di Thompson Stree,
non mi guardate più in faccia,
non salutatemi più al mio ritorno.
Novembre 1961
PROFILO DEL POETA
Il poeta e scrittore Leonardo Sinisgalli è tornato in questi giorni dagli Stati Uniti, da dove ha fatto pervenire al nostro giornale - in esclusa - questa lettera in versi. Nei prossimi giorni pubblicheremo, sempre in esclusiva, alcuni articoli che Sinisgalli ha scritto in America per il nostro giornale.
Il poesta, nato in provincia di Potenza nel 1908, è arrivato alla poesia «per una sorte provvidenziale» dai difficile studi di matematica, meccanica, elettrotecnica. I suoi primi maestri sono stati dunque Severi e Fantappiè, Fermi e Levi-Civita, Krahl e Castelnuovo, luminari della facoltà di Scienza a Roma. L'istinto e la vocazione hanno potuto salvarlo dalle spire del Calcolo. Guidò l'ufficio pubblicità della Olivetti, della Pirelli, della Finmeccanica, si appassionò alle indagini tecniche, condusse a termine quella bizzarra combinazione di scienza letteraria e di passione matematica che gli presta una fisionomia così aperta e singolare nelle lettere cintemporanee. Nel 1940-43 fu ufficiale di artiglieria, del '43 al '48 abitò a Roma, lavorando per la Radio e producendo documentari cinematografici fra cio «La lezione di geometria» che a Venezia vinse il Primo Premio al Festival. Ha ak '58 la rivista «Civiltà delle Macchine» che ebbe consensi da tutto il mondo. Un affascinante saggio di Sinisgalli negli Stati Uniti è apparso su quella rivista nel 1954.
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