Biografia
Infanzia
Leonardo nasce a Montemurro, nella "dolce provincia dell'Agri", il 9 marzo del 1908, da Carmela Lacorazza e Vito Sinisgalli. Terzo di una numerosa prole, visse nel piccolo borgo un'infanzia tanto felice e spensierata da incidere profondamente sulla sua formazione e sulla sua personalità: la gran parte delle poesie e delle prose narrative verterà su questo indimenticabile periodo.
Nel 1911 il padre, come tanti, emigra verso le Americhe, Brooklyn prima, Barranquilla in Colombia poi, dove esercitò con una bottega propria e con discreto successo, l'attività di sarto; attività che svolgerà fino al rientro in Italia nel 1922.
Leonardo frequenta la scuola di don Vito Santoro, e fu proprio il maestro, affascinato dalle straordinarie capacità del ragazzo a consigliare alla madre che continuasse gli studi. Per convincere la madre, intervennero il notaio e l'arciprete. La decisione fu sofferta, sia per Carmela, che considerava Leonardo ancora un frùscule, un cucciolo, sia per Leonardo stesso, che dopo aver "perso" il padre, era ora costretto ad allontanarsi dall'intera famiglia e dal paese. E contraddire quella che pensava essere la sua vera vocazione: fare il fabbro presso la bottega di mastro Tittillo.
La partenza. Il periodo romano (1918-1932)
La partenza, "con le tasche piene di confetti", ma con il cuore in gola, nel 1918, alla volta del Collegio Salesiano di Caserta, fu una lacerazione drammatica. Dal Collegio di Caserta, passa, perché ritenuto più adatto al Collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane “De La Salle” di Benevento, dove prepara la "bellissima licenza" che conseguirà a Napoli nel 1925. La sua media risulterà la più alta dell'intera Campania.
Visti gli eccellenti voti conseguiti in matematica e in disegno (10), e in altre materie, si iscrive a Roma presso la facoltà di Matematica. Qui segue, rapito, i corsi di analisi, di geometria, di matematica di Fantappié, Levi-Civita, Castelnuovo, Severi, dei quali era allievo prediletto. Successivamente confesserà che fra i quindici e i vent'anni conobbe "giorni d'estasi" grazie alla matematica che gli offrì "modelli impenetrabili alla malinconia" e una "musica accorata" che gli quietava le voglie. Ma, ultimato il biennio, in preda ad una crisi, passa ad Ingegneria.
Si innamora di Sergio Corazzini, il più struggente dei poeti crepuscolari, e a tale poeta, che sempre verrà ricordato con affetto da Sinisgalli, si ispirò per i suoi primi componimenti che pubblicò in autoedizione nel 1927, con il titolo Cuore.
Invitato da Enrico Fermi, nel 1929, ad entrare nell'Istituto di Fisica di via Panisperna, preferì rinunciare allo studio dei "neutroni lenti e della radioattività artificiale" per seguire "pittori e poeti", ma non senza incertezze e dubbi: confesserà che non riusciva a vederci chiaro nella sua vocazione, e che gli sembrava di avere "due teste, due cervelli, come certi granchi che si nascondono sotto le pietre...".
Collabora all'"Italia letteraria" di Angioletti e Falqui. È del periodo romano la frequentazione con Libero de Libero, con Scipione, con Arnaldo Beccaria e Mario Mafai.
Il primo periodo milanese 1932-1940
Dopo la laurea in Ingegneria elettronica ed industriale, e l'esame di stato sostenuto, per l'abilitazione alla professione, a Padova nel '32, passa alla "conquista di Milano"; ma i primi tempi sono difficili, nonostante qualche collaborazione a "L'Italia letteraria" e a "La lettura". Determinante fu l'incontro con Ungaretti, poeta già famoso, che all'inizio del '34, urlò tutto il suo entusiasmo per il talento poetico di quel giovane ingegnere lucano, prima con una corrispondenza da Lucera, sulla "Gazzetta del Popolo", sui primi versi di Sinisgalli, poi a Torino, in occasione di una conferenza su Petrarca.
Nel '34, su suggerimento di Zavattini, partecipa ai Littoriali per la gioventù a Firenze, e una giuria composta da Ungaretti, Bacchelli, Palazzeschi decreta a Firenze la vittoria di Interno Orfico, la poesia di Leonardo Sinisgalli. Attilio Bertolucci è secondo, mentre Alfonso Gatto è primo nella prosa. L'essere primo littore di poesia non gli giovò: le poesie di Sinisgalli e di Bertolucci furono attaccate da un feroce articolo di Telesio Interlandi su "Tevere", giornale di punta del Fascismo, il quale, invece, elogiò, perché politicamente più impegnato, il componimento del quinto classificato, Pietro Ingrao.
Si rifugia a Montemurro, dove nel '35 scrive Quaderno di geometria e molte delle 18 poesie che pubblicherà l'anno successivo. Ma le insistenze di Cantatore, di Zavattini e altri amici, lo riportano a Milano dove iniziò per lui una stagione particolarmente fortunata. Le 18 poesie furono pubblicate per le edizioni dell'amico Giovanni Scheiwiller su un libricino rosso, non più grande di un francobollo: il formato 7.5 per 9.5 non era da tasca, ma da taschino, e la ragione non era soltanto estetica, ma anche economica essendo la carta, ai tempi dell'Impero, razionata. E aprirono la prestigiosa collana "All'insegna del pesce d'oro", dal nome dell'osteria toscana presso cui Sinisgalli, Cantatore, Quasimodo, e Scheiwiller si incontravano la sera. Quelle poesie si imposero all'attenzione di critici quali De Robertis, che gli dedicò un famoso saggio sul primo numero di "Letteratura", ed Emilio Cecchi.
Luciano Anceschi scrivendo del periodo milanese di Sinisgalli e degli incontri al Savini, un caffè frequentato di sera da artisti e letterati, dirà: "Sinisgalli era veramente uno dei più pronti a dominare la situazione e la conversazione, nei giochi propri dei caffè letterari. Ricordo ancora, con una certa emozione, l'uscita delle 18 poesie. Fu uno dei libri che allora ebbero una accoglienza sicura da parte dei giovani e della critica più sensibile. Subito ci si accorse che si era davanti ad una figura rilevante della civiltà poetica di quel tempo".
Nel contempo intensificava la sua attività pubblicistica su riviste d'architettura e d'arredamento, interessandosi d'arte, d'allestimenti, di grafica. Nel periodo milanese, così prodigo di occasioni e di amicizie, aveva frequentato lo studio Boggeri e la Galleria del Milione, era diventato amico di Persico, di Pagano e Terragni, di Lucini, di Nizzoli, di Munari, di Veronesi, di Giò Ponti, il grande architetto, con cui pubblicò Ritratti di macchine, per le Edizioni di Via Letizia, e Italiani.
Ritratti di macchine e Quaderno di geometria rappresentano il primo tentativo di Sinisgalli di superare la dicotomia tra le due culture.
Su consiglio dell'amico Alfonso Gatto, risponde ad una inserzione: all'inizio del '37 viene assunto dalla Società del Linoleum per organizzare convegni e collaborare alla redazione di una rivista specializzata. Nasce così il lungo sodalizio che legherà Leonardo Sinisgalli al mondo della grande industria fino agli anni Settanta. L'anno successivo, il grande Adriano Olivetti, affascinato dalla lettura del Quaderno di geometria lo chiama a sé alla Olivetti, con il prestigioso incarico "di cui andò sempre particolarmente fiero" di responsabile del'Ufficio tecnico di pubblicità.
I due anni passati alla Olivetti sono segnati da una straordinaria vitalità creativa: l'umore di Sinisgalli è alle stelle. Le sue vetrine a Milano e a Roma, così come i manifesti pubblicitari, che anticiparono le tecniche della pop-art, diventano un evento mondano, atteso e commentato: la sua rosa in un calamaio accanto alla "moderna" macchina da scrivere "Studio 42" è emblematica del suo modo poetico di reclamizzare i prodotti dell'industria, e di comunicare, contestualmente, il cambiamento del gusto e l'ansia di trasformazione. Quei poster e quei manifesti hanno ormai un valore storico, presenti in tutti i repertori e in qualche museo.
Pubblica nello stesso periodo, sempre per le edizioni del Pesce d'Oro di Scheiwiller, Campi Elisi (1939) aderendo pienamente al gusto ermetico. Di Campi Elisi, scrissero subito Contini, Anceschi e Bo. Quest'ultimo pose in risalto la "leggibilità estrema e la concretezza dei sentimenti", così da smentire le accuse di gratuità e di oscurità di cui erano fatto punto le liriche ermetiche.
La guerra
Con lo scoppio della guerra, Sinisgalli viene richiamato alle armi con il grado di ufficiale, prima in Sardegna e poi a Roma, dove nel '42 pubblica sulle riviste "Primato" e "Prospettive", alcuni racconti dei Fiori pari, fiori dispari, nonché gran parte di Horror Vacui e alcuni saggi di Furor mathematicus.
Contemporaneamente conosce Giorgia de Cousandier, la bionda baronessa, ammiratrice di Trilussa, e in seguito traduttrice, pubblicista, poetessa e narratrice. Separata dal marito diventerà la compagna di Leonardo che sposò nel 1969.
Un mese prima che sua madre morisse esce per i tipi di Mondadori, Vidi le Muse, con la prefazione di Gianfranco Contini, nella prestigiosa collana dello "Specchio". Ignaro della morte della madre, in una Roma ancora frastornata dalla firma di Cassibile dell'8 settembre, inizia la convivenza con Giorgia. Il 13 maggio del '44 viene tratto in arresto dalle S.S. che vogliono informazioni su un amico scrittore. Solo la prontezza di Giorgia, e la sua discreta conoscenza del tedesco, lo salvano. Liberata l'Italia definitivamente, si dirige alla volta di Montemurro, dove apprende della morte della madre e dove si ferma fino ad inverno inoltrato con Giorgia e Filippo.
Rientrato a Roma, inizia un periodo di grande attività: pubblica Furor Mathematicus (la prima versione è piccola), Fiori pari, fiori dispari, "28 capitoli di prosa confidenziale" come ebbe a definirli, e Horror vacui, si dedica a traduzioni e a collaborazioni giornalistiche, pubblicando, fra le altre cose, un quaderno di appunti di un giovane montemurrese allievo del De Sanctis; partecipa alla redazione del periodico "Il costume politico e letterario". Non tutto gli riesce; molte delle sue proposte scientifiche e letterarie agli editori romani non vanno in porto, così come l'idea di una collana di classici della scienza che aveva maturato insieme all'amico Sebastiano Timpanaro, direttore della Domus Galileiana di Pisa.
Aperto ad ogni nuova esperienza, crea con il conterraneo Giandomenico Giagni una rubrica radiofonica culturale, all'insegna dell'eclettismo, che avrà notevole successo, il "Teatro dell'usignolo"; il programma, popolato di musicisti e poeti, e che ancora oggi può essere considerato come uno dei migliori esempi della capacità innovativa della Radio di quei tempi, era diretto da Leonardo insieme a Rossi e Modigliani. Nel 1947 pubblica I nuovi Campi Elisi.
Il secondo periodo milanese (1948-1952)
Nel 1948 Luraghi, divenuto direttore generale della Pirelli, ed estimatore del poeta-ingegnere già dai tempi della Linoleum e della Olivetti, lo assume come Art director. Insieme con Arturo Tofanelli, Sinisgalli fonda l'house organ "Pirelli", la rivista aziendale del gruppo e laboratorio sperimentale per "Civiltà delle macchine" del 1953.
Segue, quindi l'attività di propaganda dell'azienda, sia attraverso la pubblicità dei prodotti, sia attraverso conferenze e mostre. L'enorme suola con lo slogan "Camminate Pirelli", campeggiò su tutte le strade d'Italia sul finire degli anni Quaranta: per un fine poco poetico Sinisgalli non esitò a servirsi di una licenza poetica, trasmutando il verbo da intransitivo a transitivo, con una straordinaria innovazione linguistica.
Non pochi si scandalizzarono. Come quando compose versi per reclamizzare le singolari caratteristiche di uno pneumatico. Nel 1949 realizza un sogno, gira un documentario scientifico, una sorta di Quark ante litteram, dal titolo Lezione di geometria, sui solidi "superiori": il documentario viene premiato alla Mostra del Cinema di Venezia. Stessa fortunata sorte avrà Millesimo di millimetro, cortometraggio, anch'esso scientifico, che gira con Virgilio Sabel e che di nuovo viene premiato alla Mostra del Cinema del 1950. In quest'anno esce il Furor mathematicus presso Mondadori: è una versione ampliata del primo Furor ed include tutti gli scritti di matematica, di geometria, di architettura, di arte e artigianato, di tecnica e storia della scienza, antesignana della Civiltà delle macchine, la prestigiosa rivista che inventò nel 1953 e diresse per cinque anni (32 numeri).
Il ritorno a Roma (1952-1963)
Con un unico redattore, il fratello Vincenzo, due segretarie e un fattorino, inventò per la Finmeccanica, ispirandosi al "Politecnico" di Cattaneo, la rivista delle due culture, la rivista che apriva agli umanisti il mondo delle macchine, e ai tecnici lo spirito delle litterae. Ferveva la ricostruzione. La rivista, la cui eco travalicò i confini nazionali, divenne perno di una immensa tavola rotonda a cui parteciparono le più grandi menti del secolo, senza preclusione alcuna.
Presidente della Finmeccanica era sempre quel Luraghi che aveva lasciato la Pirelli nel 1952.
Nell'agosto del 1953 muore il padre, l'eredità viene divisa; le due vigne (tremila viti), curate personalmente per 30 anni da Vito, senza alcun aiuto, vengono vendute. Grande è il rammarico del poeta, soprattutto per la "vigna vecchia": la vigna che la madre aveva portato in dote al padre con il matrimonio e che, pur essendo un fazzoletto, era stata particolarmente fertile, come fertile era stato il suo grembo, che aveva fatto dei Sinisgalli "una delle tribù più prolifiche della Val d'Agri". A lui rimane solo a casa sul fosso di Libritti, dove è nato.
Sono anni di grande movimento e di grande impegno; per le aziende della Finmeccanica (che raggruppa 29 aziende) cura slogan, escogita nomi ("Giulietta" e "Romeo" dell'Alfa sono suoi), cura mostre tra cui nel 1955 quella dedicata all'"Arte e industria", in collaborazione con Enrico Prampolini presso la Galleria d'arte moderna di Roma. Collabora assiduamente al "Corriere d'informazione" su invito di Gaetano Afeltra. Con l'uscita di Luraghi, suo nume tutelare, dalla Finmeccanica, e con il passaggio della testata all'Iri, inizia la ristrutturazione e con essa il lento declino. Nel 1958, con il numero di marzo-aprile, S. abbandona la direzione, indignato e amareggiato, non senza aver lottato per mantenere integra la fisionomia.
L'uscita di Sinisgalli dalla rivista, che continuò le pubblicazioni fino agli anni '80 mutando però indirizzo, coincide con il suo ingresso all'Agip, dove è chiamato da Enrico Mattei. Il lavoro di propaganda pubblicitaria è frammezzato, in questi anni, da una frenetica attività di viaggio (Iran, Marocco, Austria, Francia, Cecoslovacchia, Stati Uniti, Inghilterra, Giappone, Tailandia ecc.), sia perché legata alle dimensioni internazionali dell'azienda volute da Mattei, sia perché, nel '61 diventa consulente part time dell'Alitalia. È al Cairo con Ungaretti, ma non per vacanza, bensì per seguire il Congresso e la Mostra del petrolio arabo.
Nello stesso anno vince, insieme a Tristan Tzara il premio Etna-Taormina e inizia la collaborazione a "Paese sera". In questo periodo la Musa ispiratrice dei suoi versi, così generosa negli anni della gioventù, sgorga con crescente fatica, senza però comprometterne gli esiti, ed è per questo che si volge ad un'altra passione: quella del ritratto e del disegno, che iniziata come ludus, insieme a Filippo, suo figlio, lo accompagnerà, sempre più intensamente, fino alla fine dei suoi giorni. Nel maggio del 1962, a Milano nella Galleria Apollinaire, inizia ad esporre i suoi lavori.
L'ultimo periodo
Il 1963 è un anno di difficoltà, anche per i problemi di salute del figlio Filippo: abbandonata l'Eni, ritorna a Milano, ma questa volta la "città tecnica" di Gadda che sempre aveva soddisfatto e apprezzato il suo genio, non gli tributa le attenzioni sperate. Dopo qualche piccola consulenza (Bassetti e Alfa Romeo), ritorna a Roma dove fonda e dirige la rivista di design "La botte e il violino" (8 numeri), a cui affida anche le sue riflessioni, sulla scia dell'Età della luna.
Collabora al "Mondo" di Pannunzio e al "Tempo Illustrato". Sul quotidiano milanese affronta una rubrica di critica d'arte. Gli articoli confluiranno poi nei Martedì colorati, Immordino, Genova 1967. Chiusa "La botte e il violino" perché troppo costosa per i proprietari dei Mobili Mim, affronta la direzione e l'ideazione di un nuovo house organ, l'ultimo, "Il quadrifoglio", una rivista d'automobilismo che l'Alfa Romeo dedica agli "alfisti". La proposta dello stesso Sinisgalli venne accettata dal direttore dell'Alfa, ancora Luraghi, e S. in perenne spola tra Milano e Roma, la dirige fino al compimento del 65° anno d'età.
L'anno precedente aveva pubblicato per Mondadori Le poesie di ieri, un'antologia tratta dalle sue precedenti raccolte che viene premiata a Castel S. Angelo con il Premio Fiuggi.
Il 1967 è l'anno del pensionamento, ma è anche l'anno dell'infarto occorsogli mentre era in compagnia di Cantatore a Bari. Nonostante i pressanti consigli dei medici non riduce il ritmo delle sue attività: ritorna alla radio con un programma settimanale che cura insieme a Vincenzo dal titolo "La lanterna". Il programma monotematico e di circa mezz'ora raggiungerà le 98 puntate e i due anni di programmazione.
Contemporaneamente, viaggia per lavoro, disegna e scrive articoli, poesie, prose.
Gli anni '70 sono gli anni del dolore, (prima la laringectomia totale di Giorgia nel 1970 poi la sua morte nel 78), ma anche dei riconoscimenti letterari. Nel 1971 vince, alla sua prima edizione, il Premio Gubbio-Inghirami per la poesia; nel 1975 vince il Premio Viareggio per Mosche in bottiglia e il Premio Basilicata per Un disegno di Scipione e altri racconti. Con Dimenticatoio nel '78 vince il Premio Vallombrosa.
Nel 1975, il nobel a Montale, invece che a Ungaretti, è motivo di grande delusione, ed è motivo di scontro con Vanni Scheiwiller che gli indirizza una focosa Lettera aperta. Ma lo screzio durerà poco. Collabora al "Settimanale" con una sapida rubrica d'arte, e al "Mattino" di Napoli a cui invia memorie rielaborate, scritte anni prima, e nel 1980 pubblica le Imitazioni della Antologia Palatina per le Edizioni della Cometa. Non meno intensa è la sua passione per il disegno che ormai coltiva con assiduità e con non pochi riconoscimenti: espone a Milano, a Matera, a Roma, dove fonda nel 1980 con Ida Borra e Roberta Du Chene la galleria d'arte "Il millennio". La mostra d'apertura, che ha uno straordinario successo, è dedicata ai pastelli e agli acquerelli di Sinisgalli.
È proprio durante la seconda personale presso la sua Galleria che un infarto il 31 gennaio 1981 stronca la vita di Leonardo Sinisgalli. Viene sepolto, come espressamente chiesto più volte, a Montemurro, nei suoi Campi Elisi.
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