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I figli dell'uragano

di Leonardo Sinisgalli
in La Basilicata
n. 273 (19 novembre 1925)

 

A proposito dell'articolo «Uomini di domani» di Elio Brando – da noi pubblicato giorni fa – il sig. Leonardo Sinisgalli ci manda da Montemurro un suo scritto, cui volentieri diamo ospitalità.
Non tutti i giovani d'oggi – egli dice – appartengono a quella categoria di arrivisti e superficiali senza l'ombra di una intima spiritualità – di cui parla il Brando.
Altri ve ne sono, cui assilla un intenso e nascosto travaglio dell'anima, che non si appagano di vuote apparenze ma nell'affannata ricerca del
vero si consumano.
Questa lotta che sostengono in sè medesimi, li fa forse apparire inerti. Li fa forse anche soccombere – nella gara più banale per la concorrenza della vita – dinanzi agli esteriori, ai pratici.
Ma sono in pochi e quasi fuori del loro tempo.
Il Sinisgalli stesso lo dice. Non li chiama forse i
figli dell'uragano?”

Dagli orizzonti dell'Europa parassitaria e dormiente – il figlio del mare lanciò la folgore – che lacerò i nembi della morte e aprì a l'azzurro luminoso l'isole del cielo.
I fantasmi della notte confusi nella tenebra – fugati dall'imperversare della bufera si appartarono negli antri dell'Infinito.
Napoleone vegliava.
I popoli si erano riscossi.
Gli adoratori del passato; dopo la vendetta degli elementi, che nella «morne plaine» - la lugubre pianura – mostrarono a Napoleone che l'avvenire, l'avvenire è mistero – vollero avvolgere l'Eroe in una nube nera: l'Oblio. Ma l'Oceano levò la sua voce per il figlio morente – nell'ora di maggio – fra il verde dell'Isola Generosa – e mormorò il suo inno al ritmo eterno dell'onda – la sua canzone di gloria all'Uomo – che l'Immensità del Cielo e del Mare – riconobbero sublime.
Dopo lo sfolgorio della luce – i primi crepuscoli – cercarono l'ombra, cercarono la pace romita, e i poeti nella comunione con la natura semplice e grande e con sé stessi trovarono ispirazione pei canti.
Romanticismo.
Da quegli adoratori del Silenzio, vennero fuori i primi ribelli – gl'innovatori dell'anima del popolo – i patrioti – che con l'olocausto di sè stessi riconsacrarono per la terra Europea un ideale: la Patria.
E l'Italia con il martirio e l'Eroismo risorse più splendida nella luce del miracolo.

***

L'ultima tragedia d'Europa non è stata adombrata da un individuo, è stata guerra di popoli.
Nella marea tumultuosa e ruggente, l'onda decumana non si è levata sulle altre onde.
Ma ha forse l'ultima guerra il fascino delle passate lotte di rivoluzione, di risorgimento?
Forse nella moltitudine delle vittime, martiri, eroi della trincea più grandi perchè oscuri, vediamo i fiori morti e sparsi ad aiuole in un sentiero dove rifulge una meta?
Vincitori e vinti han forse inalberato perchè garrisse con la furia dei venti la bandiera d'un'idea?
Ed abbiamo visto i naufraghi i figli dell'uragano, vagare sperduti nel mare dell'Essere. E sono pensosi, sono tristi, senza l'entusiasmo d'un tempo, si.
Chi sono?
I cercatori d'ombre e i crepuscolari nuovi, i malinconici, i giovani d'oggi, gli uomini di domani. Manca in essi la forza di lottare? Manca la bellezza d'un fine, la purezza d'un ideale comune.
Nella baraonda causata dalla «guerra atroce del piacere, dell'oro, dell'alloro», essi trovano meglio vivere di sogno nella intimità del loro mondo. Vili?
No. La loro lotta, il loro dramma straziante è nel loro Io.
E quando come oggi è sembrato terribile: «le fantôme muet - notre ombre - notre hôte spectre toujours masquénans suit côte à côte et qu'on nomme Democin!»?
Non si guardino i residui di «cicideimo» [?, n.d.r.], si guadino [guardino, n.d.r.] gli occhi.  
Fissano il vuoto.
Penetrano il mistero.
La lotta più terribile è sempre quella che si combatte nel piccolo cuore immenso, e che si trova «nella storia, più grande e più vera delle nostre piccole storie frammentarie, in quella storia che non sarà mai scritta, ma dove tutto rimane scritto».

**

«Un uomo è là, che sfoglia della prima carta all'estrema e pian piano va dall'estrema a ritrovar la prima.
E poi nell'ira del cercar suo vano volta i fragili fogli a venti, a trenta, a cento, con l'impaziente mano.
E poi li volge a uno a uno lentamente, esitando; ma via via più forte, più presto i fogli contro i fogli avventa.
... Trovò? Non gemono le porte più; tutto oscilla in un silenzio austero. Legge? Un istante; e volta le contorte pagine, e torna ad inseguire il vero».
È l'uomo delle passate età – il giovane d'oggi.

Montemurro, 16 novembre 1925.

 

25 Marzo 2021

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