La confienza e le corse a Chilivani
di Leonardo Sinisgalli
in Prospettive
A.VI, n.32-33 (15 agosto – 15 settembre 1942)
Trovo in data 25 settembre, sera, 1941, in mezzo ad alcuni appunti sulla dispersione del tiro, sulla forcella di due strisce, queste righe stravaganti, scritte in caratteree minutissimo. «Una poesia che puzza di museo può essere anche quella di D'Annunzio o di Valéry; non lo è mai la poesia di Rimbaud o di Leopardi. Per un eccesso di ripugnanza per il classico, Rimbaud può apparire perfino liberty - in Mètropolitain e nelle diverse Villes delle Illuminationes - e qualcuno ha detto siderurgico, un poeta dell'età del ferro:
MANGEONS L'AIR LE ROC, LES CHARBONS, LE FER.»
Poi, sempre in data 25 settembre: «L'errore stimola le figure, i segni, le immagini più suggestive. LA LINEA RETTA E' VERAMENTE UN SOGNO DI EUCLIDE. E' la sola improbabilità tra le infinite vie che portano al Signore, le infinite curve che conducono alla Verità». Tra una meditazione - come dire? - estetica ed un'altra metafisica, ecco il ricordo sul quale volevo fermarmi questa sera, 25 settembre 1942. «LA CONFIANZA di Goya è lo sposalizio di due forme che potrebbero essere il
RE FEDERICO E PIER DELLE VIGNE
o
DUE VITI, MASCHIO E FEMMINA
o
DUE SASSI,
queste arenarie grandi come case, erranti per le valli dell'isola, che s'incontrano sempre a coppie come due farfalle immerse e che fanno pensare all'INCUDINE E IL MARTELLO, a una coppia cioè tra le più piene che io conosca. I due corpi, due scafandri, presentano dei fori su tutta l'estensione della tunica, dei fori anche sui gomiti e sulle ginocchia, dei fori sul petto, sul ventre, in forma di SERRATURE. L'una forma affonda un braccio dentro l'altra e, si capisce, hanno in mano una chiave: sono strette, e si aprono il cuore. Questa è la CONFINZA. Non è amore, è di più; non ha accenti, è una vena che gorgoglia dentro l'acqua. Io vorrei sapere esprimere questi sentimenti che sono comuni agli esseri inferiori, alle galline (quando si appartao in due), ai porci che tubano».
Devo aggiungere, stasera, che una riproduzione della CONFIANZA io l'ho sempre portata in tasca, da quando la staccai, anni fa, dalla pagina di una rivista illustrata. L'avevo in tasca anche il giorno delle corse nella steppa di CHILIVANI. Tutta l'isola era accorsa nella valle, tutti i piccoli allevatori di cavalli. La gente in costume dietro lo steccato faceva uno spettacolo incredibile. Si pensava a generazioni di assiri, di atzechi, di gauciosa, di indios, di etruschi, a rezze potenti e dissolute. Erano i sardi di MACOMER, di FORDON GIANUS, di SANTU LUSSURGIU, di SAMUGHEO, che avevano trascinati i loro puledri alla fiera di Pentecoste, puledri dalle zampe madre, dalle gentili narici, dalle lingue rosce. Noi amici riuscimmo appena a salvare i soldi per il ritorno ad ABBASANTA. Puntavamo sui cavalli più racchi, e naturalmente senza fortuna. Ma mi accadde peggio. (Gli amici intimi lo sanno già, l'ho già raccontata l'inverno scorso in casa .... Avevo fatto un'indigestione di ciliege e non mi trovai in tasca al momento giusto neppure un biglietto da mille da sacrificare, neppure una lettera d'amore, neppure una foglia di ortica. Nulla. Dovetti sacrificare addoloratissimo, disperato, la CONFIDENZA di Goya. Chiedo scusa).
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