Il disegno di Caruso
di Leonardo Sinisgalli
in Sicilia
n. 74, 1974
Caruso portò a Roma dalla Sicilia un genere di lirismo che stava al polo opposto del lirismo di Scipione e di Mafai. Non era tanto una questione di continuti - giovani operai e giovani artigiani longilinei che sembravano generati da una simbiosi tra gli acrobati di Picasso e le contorsioniste di Much, il tutto candeggiato nelle vasche di Piazza Armerina - ma di segno, di grafica (che è poi il corrispettivo visuale della parola). Forse Caruso lo aveva attinto dai mori quel seo segno duro, tagliemte, o dalle vetrine di quella sublime profumeria liberty di via Maqueda, pendant mirabile della ormai distrutta farmacia floreale che fermava incantati gli stranieri di passaggio lungo il Corso di Catanzaro.
Il segno di Caruso, come lo ammirammo nelle mostre esplosive del '52, del '53, del 54 alla Galleria dell'Obelisco, era un segn artigianale, o se vi piace tecnico, possedeva cioè un ingrediente che lo induriva, come il nerofumo indurisce la gomma e il carbone indurisce il ferro. Un additivo metantale, logico, lo stesso che in quegli anni e negli anni fino allora trascorsi servì a correggere la linea morbida d'Annunzio-Ungaretti e a trasformarla in una tradizione nuova di secchezza, di precisione e, forse, di ateismo. E' la parola impoetica che scalza il sentimentalismo, il tenerume, e li sostituisce col calcolo, il rigore.
Caruso poteva così disegnare indifferentemente piedi e mani ma che scarpe e guantoni, non soltanto alberi foglie nuvole ma funi fiocine nasse tavole e forbici cesoie seghe. Arrivò a inserirsi, nel momento giusto, in quello straordinario evento che provocò come una saldatura tra due civiltà, quella del disegno e quella del design, e la sintesi di ispirazione e progetto. Oggi non è concepibile un atteggiamento succubo, estaticco, come fu quello degli impressionisti in pittura e in poesia. L'isteria della mano che si eccita, che trascrive, è corretta dalla coscienza della mano che inventa o che pensa. La mano può essere perfino la protesi, il moncherino elettronico fabbricato da Norbert Wiener e dai neurologi del M.I.T., qualcosa che assomiglia alle appendici dell'automa di Poe, mezzo arcangelo e mezzo bestia, e non più alla mano fatua che canta e cola.
Una storia del disegno, come una storia della parola, sono di là da venire: c'è solo qualche paragrafo annotato da Leonardo o da Mallermé.
Per il resto i filologi corrono dietro le strutture e dimenticano le apparenze. Un geologo che non conoscesse i fossili non arriverebbe mai a trovare il petrolio. Ma arriverebbe tardi lo stesso se non conoscesse l'elettromagnetismo. I critici che catalogano le carte da giuoco e le ninnenanne capiscono meno la poesia, e così i semiologi bravissimi a spiegare il meccanismo degli slogans, non certo la prosa dei "Prologhi", o lo stesso Freud capace di sviscerare la natura delle barzellette non i pensieri di Pascal.
Il segno di Caruso - segno pieno, non tremante, non puntinato, potrebbe essere tracciato da un tiralinee - non lascia margine alla sensiblerie. E' già nel dominio della tecnologia, ha superato l'area degli spasimi, dell'autobiografismo. Poco gli manca per diventare sagoma profilo schema. La sua originalità e la sua forza stanno proprio nel rifiuto dell'incerto, del vago,dell'ineffabie. Tanto è vero che accetta senza umiliarsi uno sforzo continuo di spersonalizzazione.
Caruso è cresciuto rifiutando ogni velleità di tipo mistico o eroico, battendo la strada della normalità non quella dell'eccezione. Il suo segno è il suo strumento non il suo scettro; egli vuole capire, riferire, persuadere piuttosto che incantare trascinare a una dimostrazione che a un raptus. Egli l'ha raramente piegata a scopi oratori. Quasi sempre, quando ha abbandonato il primitivo idillio (che lo condusse alla scoperta del compagno, del socio, e cioè della corresponsabilità ancora mitica, dell'omertà quasi fisiologica) si è mosso, contro ogni tentazione di narcisismo, verso il consenso unanime. Ha allargato la catena delle simpatie, il circuito dell'intesa, ha guadagnato fedeli: le sue tavole sono addirittura istruttive, ono utili: la mano che stringe la penna o il pennello deve valere per lui quanto la mano che stringe la tenaglia o la falce.
Molti si sono scandalizzati di questa maturazione e del coraggio che egli ha dimostrato nel resistere a tutte le lusinghe del decadentismo offrendo le sue capacità, la sua abilità, il suo virtuosismo a difesa di un programma che non gli dev'essere sembrato in disaccordo con l'opera che da sempre lo ha incantato, la immortale Encyclopédie.
Stampa | PDF | E-mail | Condividi su facebook