L'età della luna
di Leonardo Sinisgalli
in Sud
Anno I, n. 4, novembre 1962
Ci confidava Sinisgalli che in questo suo ultimo libro di poesie (L'età della Luna - Mondadori editore) aveva definitivamente abbandonato i temi del Sud una volta a lui cari. Fu difficile nascondere il nostro disappunto per questa inattesa confessione. Dal Sud erano scappati via tutti i migliori, poeti e letterati, tecnici e pittori ed avevano lasciato campo libero alle automobili nere con gli autisti neri che portano i grossi vecchioni negli uffici delle presidenze e delle direzioni. Il dubbio, mentre scendevamo per le scale dell'ufficio di Sinisgalli, ci fece pensare cose nere. Facevamo bene a restare noi? Uno, due, tre, anche cento, contro diecimila, centomila, un milione; contro i capi del gregge, contro e per il gregge stesso.
Sinisgalli oggi vola su New York, sul Polo, andrà forse sulla luna e s'è scordato Montemurro? Forse noi siamo dei testardi a rimanere, o degli arrabbiati a credere e sperare che cambi qualcosa e a pensare di poterla cambiare.
I Parioli di seraci riproponevano la realtà diversa, gli alberi, le luci morbide e invitanti, le macchine lucenti, le strade così diverse da quelle buie e acciottolate, fetide nella terra battuta dei paesi del Sud. Dovevamo scappare via tutti? Abbandonare la Calabria, la Puglia, il Gargano, la Sila e l'Irpinia e lasciare alle nostre spalle le case scure e cadenti, le campagne e gli uomini cariati? Era possibile andarsene e dimenticare? Leggemmo poi il libro di Sinisgalli e fu come ricevere un solenne dirizzone che ci scrollò dubbi e cattivi pensieri: Sinisgalli era restato fedele al suo Sud. Anche se i suoi temi sono diversi, ogni volta che parla della sua terra si intravedono il suo amore, le sue intuizioni, la sua accoratezza.
Nella pagina di poesia che presentiamo ai lettori di Sud, l'amarezza vibrante del poeta racchiude i peccati storici del Mezzogiorno, identifica i colpevoli e ne addita gli effetti tragici. Non è solo una pagina di poesia, è un manifesto che sottintende un appello, un invito alla ribellione per chi ha preferito restare.
Chi sono i padri? Quanti sono? I padri presidenti, i padri podestà, i padri monsignori e quelli marescialli, i padri eroi, i padri prefetti, i padri gerarchi e onerevoli, i padri cattivi che bruciano tutto e tutti?
M.C.
Nonni canuti, vegliardi pieni di accaiacchi, carichi di saggezza. Nella Bibbia o nella Tragedia o nei grandi letti della tribù. La nostra civiltà di vecchioni ha fatto pagare a caro prezzo anche la più piccola disobbedienza. Civiltà tirannica. I popoli meridionali sono stati schiacciati dalla paturnia dei padri, dalla infallibilità dei nonni, desposti intorno al fuoco o intorno al desco. Nel Sud è mancato l'amore, il filo di speranza, la scappatoia ai guai di famiglia. I meridionali contano i giorni che mancano alla fuga. Crescono per fuggire fuori di casa, lontani dal paese, si sposano bambini, muoiono in guerra per ribellione alla potestà dei vecchi. Quando torna, il figliuol prodigo, consiglia al fratello di fuggire anche lui. Il ragazzo non conosce l'amore paterno, il figlio è soltanto un servo del padre. Un mercante di porci cieco faceva avvicinare i figli adulti, li chiamava accanto a se, imponeva loro di restare immobili per schiaffeggiarli uno dopo l'altro nel vano della porta. I compagni sparivano dalle case per due o tre mesi e vivevano spostandosi di notte da una colombaia all'altra o in fondo alle grotte. Scavalcavano balconi, cancelli, siepi per respirare un'aria diversa dalla fetida aria di famiglia. Non c'è passione o vocazione che non sia contrastata. La scelta di un mestiere, di un amico, di una moglie. I figli sono di proprietà del padre, prima di cederli a qualcuno, alla patria, alla chiesa, al maestro, al «ualano» (l'incettatore) preferirebbe vederli morti. Al padre spetta la testa e i figli rosicano la testa del castrato. La Bibbia e la Tragedia esaltano l'onnipotenza dei vecchi sugli adulti e gli adolescenti. Non c'è nessuna sorpresa se il padre rifiuta la sposa per le grazie della figlia. Accade sempre al Pallonetto, ai Sassi, a Gannano. Un caso raro di ribellione al padre, è stato celebrato tempo addietro a Matera: si concluse con l'impiccagione alla boccola di ferro della volta, la stessa che serve a sollevare il maiale scorticato. Le cronache sono piene di complotti, diserzioni minutamente elaborate dai giovani per liberarsi dalla tirannia familiare. Per il padre una figlia è una bocca immonda da sfamare, il figlio è un braccio da sfruttare. E chi non ha incontrato sulle Serre o sulla Sila o nei deserti, i guaglioni, i pastorelli di nove o dieci anni comandare col fischio o con la mazza il gregge di pecore o di annecchie? Ravvolti nella mantellina, il berretto sdrucito che copre le orecchie, i piedi nudi o stretti nelle bende e un piccolo strumento, una canna bucata, penzoloni sul petto. Prima o poi arriva qualcuno, un forestiero, uno sconosciuto, e chiede i pargoli per sè. Ne fa dei discepoli o dei schiavetti lubrichi. L'odio per il Padre diventa amore per il Maestro. Ma è breve la vita dei figli. Poche lune tra Natale e Pasqua, giusto il tempo per abbracciare una croce e per farsi sgozzare. Mio padre ci lasciò pulcini sotto le ali della chioccia. Non siamo fuggiti, fummo cacciati via per amore dalle nostre dolci mura. Ho avuto maestri teneri, pericolosi. Il Padre, quando tornò, chiese a noi un pò di affetto come un vecchio cane. Un pò di carità. Ci portò sacchi d'oro. Ma eravamo cresciuti in branco, senza rispetto dell'autorità e dell'esperienza. Siamo andati avanti a tentoni, animaletti col cuore in gola. Quanto ci è costato imparare a vivere, sopportare il prossimo! La poesia e la vita del Sud sono piene dei ruggiti, dei lamenti, delle grida dei padri. Anche dei rutti e dei peti, come ho detto altrove. Nelle case c'è una sedia col buco e il grande pitare sempre pronto per i patriarchi oltre che per i bambini.
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