I cari oggetti datati e firmati
di Leonardo Sinisgalli
in Corriere della Sera
27 luglio 1969
Spero proprio ch'egli torni spesso in via Rossini nello studio interno, oltre il bel cortil, dove credo abbia lavorato da sempre, perlomeno da quando io sono diventato «milanese», l'inverno del '33. Lì mi aspetava le volte che ho avuto con lui appuntamenti di lavoro: ora gli storici raccontano che una mattina Adriano Olivetti, in mia compagnia, diede l'incarico a Nizzoli di studiare la sagoma di una addizionatrice, che fu poi la Summa 40. Dio mio, non si trattava di inventare il cavallo. Ma quel mestiere così responsabilizzato era nuovo d noi, almeno nel settore dell'industria meccanica.
E' vero che Ginori aveva chiesto qualche anno prima a Giò Ponti di disegnare una tazza e che c'erano già stati tavoli e sedie firmati da architetti, così come già alle Triennali s'erano visti scalli, stoffe, arazzi studiati dalo stesso Nizzoli con precise intenzioni o presunzioni estetiche. Il vangelo del Bauhaus era diffuso già nel mondo, ma a beneficiarne era stata soprattutto l'architettura, poi la grafica e anche la pubblicità. Il design in Italia, che era stato decorativo e artigianale e s'era mosso al livello della bottega o della boutique, decollò con la Olivetti e con Nizzoli, e raggiunse prestissimo le più alte quote, tanto che, anche per merito dei carrozzieri, lo stile italiano riuscì a portare nel mondo l'industria italiana. Le cravatte, le valigie, fu detto, trascinarono le locomotive.
La famosa Cisitalia di Pinin Farina fu realizzata nel 1947 ed esposta al Museum of Modern Art di New York con la Lexikon di Nizzoli, la macchina per scrivere messa in produzione nel 1948 e diventata subito un monumento. Tuttavia prima della guerra si ricordavano i bei tentativi fatti da Van de Velde per ritrovare le impugnature dei cucchiai e delle forchette, si citava l'inno scritto da Loos a esaltazione della sella, ma nel campo della produzione di serie nessun esempio risultava più eloquente di quello del falegname prussiano Michel Thonet la cui seggiola di sei pezzi di legno curvato (2 gambe + 1 sedile tondo + 1 spalliera a ferro di cavallo che forma le due gambe posteriori + 2 doppie volute che riempiono il vuoto della soalliera e offrono all'appoggio una struttura elastica), fu prodotta in sei milioni di copie.
Chi vuole seguire una pista parallela può leggere la storia di Pinin Farina scitta dal poeta Ernesto Cabalto per l'editore Palazzi, pubblicata di recente. Certo i carrozzieri hanno fatto la parte dei leoni. La civiltà dell'automobile esaltata dagli uni (gl'integrati) è stata maledetta dagli altri (gli apocalittici). Al confronto la macchina per scrivere e la macchina da cucire sono tanto più innocenti.
La fortuna di Nizzoli non è stata quindi una fortuna mondana. Ancora oggi, a ottantadue anni di età, il suo nome e la sua opera sono conosciuti da una ristretta cerchia di addetti. Ho la sensazione che perfino la Olivetti, negli ultimi tempi, dopo la morte dell'ingegner Adriano, l'abbia giubilato e accantonato. Fece il giro del mondo, nel 1960, il suo tagliacarte di melanina, un piccolo oggetto che lega in un corpo solo la lama e l'impugnatura, scattante come un uccellino o come un pesce, una cosa da stringere come una mano e come un'arma, veramente una voce in più nell'inventario dei nostri tesori. Per me, e per mio fratello, Nizzoli è stato come uno zio, uno zio diverso di pelle, uno dei più cari doni che ci ha fatto la città di Milano.
Egli ci chiama di nome, ci manda i pacchi per le feste, parla di noi con il superlativo. Da una nota biografica stesa appunto da mio fratello qualche anno fa, e che vedo citata, ahimè col mio nome, nella recente monografia di gennaro celant stampata dalle Edizioni di Comunità, traggo qualche notizia.
Il primo progetto di Nizzoli è un lampadario di ferro buttuto disegnato per la Sala del Consiglio comunale di Boretto (Reggio Emilia), suo paese natale. A 22 anni prepara per sua sorella Matilde il disegno di un cuscino eseguito poi a punto raso, detto punto pittura. Nizzoli non ricorda a chi fu regalato il cuscino: per riaverlo darebbe in cambio dieci macchine per scrivere. Nel 1922 è a Milano nello studio di via Rossini, dove è sempre rimasto dietro il grande tavolo da disegno che sembra un tavolo da stiro, e dove ha ricevuto industriali, critici, artisti, circondato di ammirazione e di affetto da parte di tutti i suoi amici, collaboratori e discepoli. Io gli ho visto fare dietro quel tavolo dei gesti misurati, lenti, pensati, quasi ritmici come quelli di un prete: l'ho visto riflettere, l'ho visto genuflettersi per guadagnare per terra su un foglio di carta bianca l'effetto di una macchiolina nera o di una riga di colore. L'incontro con Persico avvenne nel 1932 quasi contemporaneamente all'incontro con terragni.
Il tandem Persico-Nizzoli, l'unione cioè di un intellettuale dotato di forte capacità inventiva e di un artistica-artigiano fornito di genio espressivo è ora diventato leggendario. In un certo senso avviò e convalidò la efficacia di simili accoppiamenti che in seguito sono diventati d'obbligo nella metodologia delle pianificazioni, nei casi cioè in cui l'invenzione non è libera ma condizionata e il progetto fa da tramite tra il programma e l'opera. Sono notissimi i lavori firmati insieme dai due amici: il castelletto di tubi e pannelli in Galleria, i due negozi Parker, la sal delle Medaglie d'oro alla Mostra dell'Auronautica del '34 il Salone della Vittoria alla VI Triennale del '36 in collaborazione con Lucio Fontana e Giancarlo Palanti. Persico direttore di Casabella presentava all'amico la sua esperienza fatta sui banconi della tipografia, righe, filetti, margini, interlineature. Ma questi elementi perdevano la rigidità, diventavano la rigidità, diventavano vibranti, irradianti. Il vuoto veniva calcolato come la cassa di risonanza di uno strumento, di un diapason.
Persico morì nel 1936. Nizzoli che aveva rinnovato completamente il suo bagaglio di gusto, di cultura, e anche di metodo è pronto per affrontare il suo compito più difficile, fatto di colpi d'occhio e colpi di pollice, di successive approssimazioni, di minime metamorfosi. La famiglia dei suoi mirabili oggetti destinati a vivere sempre meno come i figli dei purosangue, e a storpiarsi via via, è già estinta. Restano i simulacri.
Stampa | PDF | E-mail | Condividi su facebook