Muse sportive. Le figure femminili di Tozzi
di Leonardo Sinisgalli
in Corriere della Sera
8 novembre 1970
Con Bontempelli e Pirandello la pittura si trova a suo agio. Dovrebbe trovarsi bene anche coi nuovi fantasisti. Piovene per esempio, e i maniaci dei «tableaux vivants» rimessi in onore da Pierre Klossowsky. I suoi compagni parigini più fortunatihanno quasi tutti segnato il passo, non fanno che tristi caricature di se stessi. Tozzi ha preferito sprangare il suo museo, ha rifiutato di cantare messa davanti all'altare del passato. Come Goethe attinge freschezza alla fonte dell'eterno femminismo.
Avevo tanto desiderio di incontrarmi con un uomo come lui, appartato, schivo, un uomo che ha molto patito nello spirito e nella carne. Ero arrivato la scorsa estate un pomeriggio di domenica sul Lago Maggiore fino alle soglie della sia casa a Suna Verbania; ma poi lo sciacquio delle sponde, il brusio delle foglie e un colpo improvviso di folle timidezza (che nella vita mi ha giocato tanti brutti scherzi in momenti decisivi) m'hanno paralizzato. Sono tornato indietro come un sannambulo, e quando mi sono svegliato m'è venuta l'idea di fargli recapitare in omaggio dal garzone di un bar un mio libro comprato all'edicola della stazione. Nel profondo io devo aver temuto uno scontro con un personsaggio che so sicuramente gentile ma distaccato, superiore. Una ventina d'anni di malattia a un uomo sensibile e coltivato danno una grandezza che può mettere soggezione. Mi accorsi in un attomo, come deve succedere a quelli che spariscono all'improvviso il giorno delle nozze, di essere impreparato.
Avevo visto disegni di Tozzi netti come hanno saputo fabbricarli certi scultori, Arckipenko o brancusi, proprio quelli che come lui hanno pensato la donna come un idolo, si, ma anche come un oggetto, un utensile, una bottiglia, una tegola. Avrei chiesto a Tozzi se è vero che con gli anni la mano può diventare più precisa, più lucida, come un buon arnese usato. Poeti e pittori di razza non finiscono mai, sbracati, se mai s'irrigidiscono. Il segno perentorio di Tozzi è già una garanzia di inflessibilità.
La sua opea non nasconde il duro lavoro dei calcoli, la parte lasciata all'arbitrio è minima: giusto, forse, l'alternanza delle bande di colore sui corpi nudi delle nife sfaccettate come ventagli. Fanciulle di grandi scendenze spirituali e sportive, commiste di riserbo e di sfrontatezza, di animalità e innocenza. Possono far pensare alle bizzarrie della natura, ai coleotteri, agli imenotteri, ma anche a Raffaello quando disegna le divise delle guardie pontificie o a Piero Dorazio quando intreccia i nastri delle sue anamorfosi.
Il colore doppio inventato da Tozzi, la zebratura araldica che distingue le modelle della sua scuderia, del suo vivaio, suggeriscono una simbiosi tra sport e religione tra poesia e cosmetica. Tozzi non ha voluto fare archeologia ma attualità nel senso spiegato da baudelaire nella lettera a Houssaye che fa prefazione al «Petits poèmes en prose». L'artsta ha rasentato le frontiere del «Kitsch», non ha temuto la degradazione della sua teologia in catevhismo.
Tozzi si è convertito a una mitologia minuta e al «plein air», ha diradato le visite al Tempio e ha invece inflitto i suoi sopralluoghi ai bar, alle piscine, alle boutiques. Si potrebbe fare di lui il ritratto di un peripatetico, ma sarebbe falso. Tozzi trova tutto nella sua camera, nella sua mente. sa leggere negli specchi.
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