Poesie lucane scelte e trascritte dai dialetti indigeni
III, n. 2 (marzo 1955)
Il viaggiatore, che si chiami Valéry Larbaud o Norman Douglas o Carlo Levi, lasciato il Tempio di Pesto alle spalle ed entrato nella gola degli Alburni, alla stazione di Sicignano, vede ristretto il suo cielo all'orlo delle montagne brulle. Tre tunnel gli si aprono davanti agli occhi: ha appena il tempo di prendere aria, di meravigliarsi della profondità dell'imbuto quando il roco appello del capostazione lo obbliga a una scelta: Taranto, la Calabria, Lagonegro. E un rumore d'acqua che diventerà lungo il viaggio uno scroscio impetuoso o un remotissimo brusio comincia a entrargli nelle orecchie. Da principio è il Sele, poi il Bradano, infine il Basento, fiumi cupi che appaiono e scompaiono tra una galleria e l'altra e danno al forestiero l'impressione di andare all'Inferno. La Lucania è una terra di passaggio: i soli viaggiatori che buttano fuori i sacchi e le bisacce sotto le tettoie di questi scali desolati siamo noi poveri indigeni. Gli altri si affacciano ai finestrini, un istante, e vanno verso l'Oriente o verso il Sud. Noi ci fermiamo qui, a mezza strada, nel retroterra. Noi non siamo animali d'acqua, non chiedeteci di parlare troppo a lungo, non fateci bere, non fateci ridere. Voi turisti non fate baccano. Vedete come i piccoli e i grandi qui vanno scalzi per non far rumore, guardate i calzari antichissimi e silenti, scarpe fatte di pezza o di corda o di saggina. La gente non cammina, stràscica, si trascina di qua e di là. Il grande strepito lo fanno i galli e gli asini. Il grande evento è la gallina che fa coccodè. Che sia nata quaggiù dal silenzio una religione e dall'uovo una scienza non è un mistero per nessuno. Non è meraviglia se Pitagora potè scoprire le leggi della musica e se il crudele Zenone mise gli uomini in sospetto contro il giuoco dei sensi. Ma io non voglio essere troppo sottile, queste cose non interessano tanti! Certo mi piacerebbe perdermi nelle argomentazioni in cui erano così versati i miei vecchissimi parenti che indagarono l'essenza dello Zero e dell'Infinito. A chi importa lo Zero, il Nulla? A chi importa l'Infinito? Lo so, c'è modo e modo d'intendere un paese. Gl'Imperatori di Svevia, i Prefetti Bizantini, i Re Borbonici capirono che i miei antenati erano di scorza dura ma di midolla delicate, capirono che dietro le montagne c'era una popolazione generosa di nascite, impaurita della Morte, taciturna, meditativa, lenta, ma vigile e scaltra. Le nostre Tribù hanno forse l'udito fragile, ma narici e pupille sono potentissime. Oh i miei cari dalle piccole orecchie di topo, dall'occhio di gatto, dal naso di cane! Chi poteva scoprire i loro vizi e le loro virtù? Non certo gl'Imperatori Svevi, i Prefetti Bizantini, i Re Borbonici che si tennero a debita distanza dai nostri tuguri. Non certo l'inviato speciale che va a guardare il porco sotto il letto. Credono di farvi felici facendo i conti dei nostri bisogni. Si provino a rimuovere le montagne, a mutare il corso dei venti, si provino a togliere i sassi, miliardi di sassi, a fermare i terremoti, le frane, le alluvioni. Non c'è riuscito Mosè, non c'è riuscito Giove, non c'è riuscito Orfeo, non c'è riuscito Maometto. Qualcuno sostiene che non ci riesce neppure Gesù Cristo. Dice che noi non lo abbiamo visto passare per i valichi della Serra, degli Alburni, del Senno. Eppure quando io ero bambino e arrivò in piazza un carretto trascinato da un immenso cane bianco, e nel carretto stava seduto un uomo monco delle mani e dei piedi che comandava a un pappagallo di scegliere una busta col nostro destino - me lo ricordo io, me lo ricordo bene - la gente disse sotto voce: "E lui! Ha lasciato le mani e i piedi sulla Croce!". Me lo ricordo io, me lo ricordo bene. Io ricordo ancora a memoria la canzoncina che i fanciulli gridano alla Luna:
Luna, Luna nova
Io non t'ho vista ancora.
Ma ecco che t'ho visto!
Bacio il piede a Gesù Cristo.
Lo conosciamo dunque! Lo conosciamo, certo, ma ci fa un po' paura. Non è il Diavolo che ci fa paura: questo nessuno lo vuol capire. Il Diavolo è l'unica cosa che ci fa ridere, è l'unica cosa che ci diverte. Ci diverte il Monaciello, ci diverte il Papparom. Sono le due sembianze che ha preso il Diavolo tra noi, e non fanno paura neppure ai bambini. Due sorci sono, due puzzole, due donnole, non sono mica due persone, due spettri. E quando mai i bambini, in Lucania, hanno temuto i sorci, le puzzole, le donnole? Fermate un qualunque monello per le strade di Armento, o di Anzi, o di Montescaglioso, o di Picerno, o di Pescopagano, e fategli fare lo squittire del sorcio, il fischio della donnola, il canto della puzzola. I fanciulli imitano il diavolo, irridono al diavolo, scherzano col diavolo. Credetemi. Ma hanno invece, piccoli e grandi, maschi e femmine, una grande paura, una paura antica, una paura segreta di Colui che non può essere nominato invano. Quello che muove luce e ombra sulle nostre terre, che dà ai porci il mal rossigno e ai bimbi lo scorbuto. Quello che comanda le frane e le alluvioni, la buona e la mala annata, che fa spuntare tra gli sterpi la rosalonga e la serpapinta. Che cos'altro vuol dire quella canzoncina che io imparai a gridare al tramonto, appena caduto il sole, che cos'altro vuol dire se non il presentimento della morte che s'insinua già nella piccola anima, nella piccola voce di un bambino:
In alto in alto c'è la cassa
In basso in basso c'è il tamburo.
S'è tradotto quasi tutto da noi in questi anni: i lirici greci e i metafisici inglesi, i poeti americani, spagnoli e cinesi. Si potrebbe dire che "i poeti hanno letto tutti i libri". Io vi presento un mucchio di versi indigeni. Molti di questi canti sono familiari al mio orecchio. Qualcuno viene gridato, qualche altro è accompagnato dal lagno della cornamusa o del cupo-cupo, altri sono mormorati a bassa voce come le preghiere. Le parole che io ho trascritto nella mia lingua sono parole rustiche, sono parole volgari. Non sono state calcinate dall'accademia, non sono state munte e poi bollite. La nostra poesia indigena ha una struttura semplice e schietta. E un commento, un riepilogo. Non è mai un vaniloquio. Come nei canti delle chiese, come nelle testimonianze processuali, c'è soltanto un piccolo lavoro da fare volta per volta: distinguere le voci.
Per amore ai miei paesi io tradussi, anni addietro, un primo gruppo di versi lucani da una raccolta di canti curata da L. Andretta per una tesi di laurea. Ebbero buona accoglienza tra gli amici. Per questo approfittando di una vacanza straordinaria, mi son portato nella valigia il libro di G. Bronzini, "Tradizioni popolari lucane", stampato a Matera nel 1953. Devo dire che la spinta a queste affascinanti esercitazioni mi è venuta dall'esempio di due maestri insigni, Ungaretti e Paulhan. Non dimenticherò mai quel lontano pomeriggio della mia giovinezza quando mi accadde di leggere, in uno stanzone vicino al Pantheon, le poesie dei Malgasci in uno dei primi numeri di "Commerce". E il nostro caro Ungaretti, tornando dal Brasile, ci portò una merce altrettanto preziosa. Ho la certezza che anche queste immagini nostrane potranno arricchire la cultura dei poeti e sollecitare la conoscenza di un popolo ancora ignorato, malgrado le ultime razzie dei reporters e le ciniche infatuazioni dei politicanti. Questo mio tributo matura oggi al momento giusto. Ho conservato tutto quello che potevo di tanta adorabile "idiozia" ed ho evidentemente cercato nelle forme una stabilità sintattica più che una facile simmetria di accenti. In questi ultimi tempi si è parlato con molto calore della necessità di allargare i confini della cultura indagando oltre gli schemi stilistici tradizionali nel più vasto campo dell'arte spontanea. E un sintomo sicuro di una disposizione più comprensiva, più affettuosa verso i monumenti e i frammenti trascurati di una umanità relegata fuori della storia. Anch'io con animo nuovo e più simpatia ho compiuto un altro viaggio alle origini.
CANTO DI UNA FANCIULLA IN ATTESA DELLE NOZZE
Io sono già molle
e mi voglio sposare.
Ho la casa lavata,
una treccia d'agli,
una cesta di cipolle.
E una zucca piena di sale pestato.
UNA GIOVANE SPOSA RECITA I VERSETTICONTRO IL MALOCCHIO CHE L'HA COLPITA ALLE MAMMELLE
Dentro il mio latte
il pelo dell'invidia s'è cagliato.
Madonna sii generosa,
il mio uccelletto strilla,fai felice una sposa.
Fai felice una sposa
che, priva di consiglio,
dimentica del giglio
ha vantato la rosa.
UN UOMO CANTA SDRAIATO SOTTO UN ALBERO
Come è amara la campagna
sotto l'albero di cotogne!
Se mi torni sotto le unghie!
Chi ha più voglia ci guadagna.
SERENATA
Vorrei essere un galluccio di gennaio
per cantare tutta la notte
dietro la tua porta, bella mia.
Non farla dormire, mio Dio,
fa che mi ascolti e si affacci.
«Chi sei tu che canti?» — E tu
viola che spunti tra i ghiacci?
Sono un galluccio forastico:
sei la pollastra che dorme sola.
INVITO
(L'innamorato suggerisce alla ragazza un pretesto per uscir di casa senza destare sospetti. Bisogna sapere che tra un uscio e l'altro, nelle nostre tribù, si operano scambi reciproci di cortesie. Si presta il lievito, si presta il fuoco, si presta l'acqua).
Esci con la paletta
ora che scuro è il giorno,
chiedi cenere e bracealla porta del forno.
Se il fuoco ti si spegne
dài la colpa alla legna,
se la gonna ti brucia
dài la colpa alla lucciola.
LA COLOMBAIA
(Nella nostra mitologia Eva non vive nell'Eden, vive in una colombaia)
Salirò sulla torre
per trovare il tuo nido.
Scosterò il sasso che ti nasconde.
Aprirò le tue ali.
E sulle piume virginali
cadrò col peso di una tomba.
IL CERCATORE DI UOVA
Ho dormito per sette settimane,
mi sono svegliato ch'è Sabato Santo.
E' tornato aprile e la tenera frasca,
anch'io ritorno per la buona Pasqua.
Ho portato due panieri, uno lacero
l'altro vacante.
Posso raccoglierne trenta e quaranta.
Palazzo fabbricato con le penne
è stato misurato con la canna.
Il gallo ha cantato, ha scosso le ali.
Andiamocene sfortunato suonatore.
Scendi bella, vieni pure in camicia.
Allunga il braccio, porgimi le uova.
Son qui davanti alla portellina del gatto*.
E' l'ora prima della Pasqua nuova.
* La gattara, il buco per i gatti e le galline scavato nella porta, poco al di sopra della soglia.
DISPETTO
(Si cantano in giugno, di notte, quando è nel pieno la stagione dell’amore)
Vieni alla finestra serpentina
Figlia nera del carbone veramente.
Vieni cenciosa, scarmigliata,
forforosa che hai pidocchi
grandi una ceresa.
ALTRO DISPETTO
Oh i tuoi vezzi son quelli d'allora!
Giri il capo da valle a monte.
Io ti cercavo quando mi eri amante,
ora che mi sei niente non ti trovo.
SCONGIURO PER IL MALE ALLA MANO
Tu non l'avvilire
non l'abbandonare,
tu la devi coltivare
per non farla morire.
La mano tanto dista
dal cuore dall'orecchio dalla vista.
SCONGIURO PER IL MAL DI CAPO
Guarda contro Gesù e non lo vede.
- Che hai Santo Simone, una rusca nell'occhio
o una spina nel piede?
- Ho una spina nel capo Gesù mio.
Giorno e notte non trovo giaciglio.
- Pigliati il capo mio, lasciami il tuo.
- Il mio è una patata che si ciglia,
il Tuo è una lucerna.
- Ma la Trinità Eterna
il verme dal tuo vaso toglierà.
SCONGIURO PER IL MAL DI VENTRE
Fugge l'acqua sopra la paglia
come fugge l'Onnipotente.
Come s'allenta la tenaglia
ti passerà il mal di ventre.
UN GIOVANE CANTA NEL MESE DI APRILE LA DOMENICA DELLE PALME
Salirò sopra l'ulivo,
farò una palma d'argento,
una piccola palma galante
perchè a tutti i vicini resti in mente.
Ecco la palma, amore, ridammi la pace:
non far ridere di me i miei nemici.
Ecco la palma, cara, ridammi la pace,
ora che sui fiori è caduta la croce.
UNA RAGAZZA SI DUOLE PERCHÈ HA PERDUTO IL DONO DEL FIDANZATO
Ieri sera tagliai una pera all'aceto
con il coltello dell'innamorato.
Coltello non t'avessi mai perduto
mi metti in guerra col Culopizzuto*.
* E' vezzeggiativo.
NINNA NANNA
Vieni sonno o non venire solo,
vieni a cavallo su un cavallo moro.
NOTTI DI FEBBRAIO
E' già quasi primavera quando l'euforia del Carnevale sta per spegnersi. Le notti sono già dolci. Le comitive di pastori bussano alle porte dei massari. Il suono del cupo-cupo — la membrana di vescica mossa da una bacchetta strofinata nel pugno — accompagna le sequenze di distici cantati al sereno. Poi la porta si apre.
1.
Carnevale è pieno d'olio
oggi maiale e domani foglie*.
2.
Vado cantando e piove a goccia a goccia
signor padrone dammi la salsiccia. **
*Si chiamano «foglie» tutte le verdure per la minestra. Mia madre era orgogliosa del suo piatto di «foglie 'mmesche». Raccoglieva a mucchietti in una cesta fino a dieci specie di verdure, e nella grande caldaia piena d'acqua bollente cominciava a buttarle una dopo l'altra, a intervalli calcolati, le più tenaci prima, poi le più tenere.
** I salsicciari di Montemurro sono ancora famosi a New York, in qualche strada vecchia del Greenwich Village.
FILASTROCCHE
Nei giuochi dei fanciulli, — per la scelta dei compagni e per l'attribuzione di un campo o di un colore, e per affidare alla sorte la prima mossa del congegno — si ricorre a questi versi che il mio amico Rotella potrebbe inserire tra i suoi testi epistaltici. L'ultima sillaba è decisiva come nel meccanismo delle decimazioni. I versi sono inconcludenti. Forse una caricatura dell'ambiguità degli oracoli e delle sentenze. O ancora una soggezione alla fatalità?
1.
Din don il campanone
quattro vecchie stanno al balcone,
una fila l'altra impaglia
l'altra fa coltelli d'argento
per tagliare la testa al vento.
2.*
Anda na grasio
anda fesciò
zappatigno branco
mio do u do
rosa scuntosa
alla bella i
alla bella i
chi mattò
chi mattò
u li iò.
*L'ho ritrovata nella mia memoria. Penso che sia d'importazione brasiliana. Per qualche tempo nella prima infanzia i nostri giuochi sentirono la presenza e il contributo di due bambini figli di emigranti tornati dall'America.
*E' la fidanzata che storce il muso al fidanzato itterico
PRIMAVERA
E’ tornata primavera in montagna.
Le selve sono fresche fresche.
CONSIGLI A UN RAGAZZO EPILETTICO
Tutto il bene non vale
Contro un male che conta.
Stringi in mano la chiave mascolina,*
Hai testa di gallina
Avrai cuore di gallo,
ginocchia dure
e i posdi netti** per alzare le scure.
*Il+ e il – delle chiavi, come delle viti, come del sesso, è nella natura dl meccanismo dare-avere, entrare-uscire.
**E’ attribuito inatteso, nato in bottega, per definire un gesto preciso, senza esitazioni.
RECITAZIONE CONTRO L’ITTERIZIA DETTA ANCHE MALE DELL’ARCO
Arcobaleno mio stretto parente
A te costa poco o niente
Restituirmi la mia aria.
Ho bisogno di simpatia,
devo incontrare per la via
la luna-civetta* a mezz’aria
*E’ la fidanzata che storce il muso al fidanzato itterico.
PREGHIERA PER UN DENTE CADUTO
Santa Apollonia
santa nostrana
santa contadina
ti dò la zappa vecchia
dammi una zappa bambina.*
*Ci sono le zappe madri per i terreni teneri, lo zappone padre per le maggesi sull'appennino, le zappette per gli orti. Zio Giovanni trentenne, oltre i forti canini, aveva davvero sull'arco dentario superiore due zappe, due denti cavallini.
VERSETTI PER L' INFANZIA*
Passava la nonna dietro un muretto
sentì cantare la tartaruga.
Un topo suonava l'organetto
il gatto imparava a ballare.
Un riccio in fuga si ruppe il naso
e la gatta crepò dalle risa.
*E' un quadretto minuzioso come certe oleografie ammonitrici per i negozianti che vendono a credito, diffusissime, ma di provenienza indefinibile, nelle nostre contrade. La bravura nei commerci in una popolazione analfabeta viene spiegata dal Racioppi con i residui irriducibili di sangue fenicio. Il lettore si abitui alla ressa dei sostantivi.
GIROTONDO GROTTESCO
Ti daremo un sorcio* imbottito
sui monti e sulle valli,
lo cucineremo con l'origano
sui monti e sulle valli,
ti daremo due scarpe rotte
sui monti e sulle valli,
le mangerai con pane cotto
sui monti e sulle valli,
ti daremo un gran pitale**
sui monti e sulle valli,
ci mangerai la cacarella
sui monti e sulle valli.
*Non sorprendano i tanti topi che cacciano il musetto tra i versi. Le nostre case sono anche magazzini di grano, di avena, di lardo, di olio, di noci. I topi ci campano bene. I gatti dormono sulle pietre della focagna.
** Sotto i pitali rotti crescono, difesi dal gelo, i buoni carciofi.
ALTRA FILASTROCCA
Tup tup stanno alla madia
tre zitelle su tre sedie.
Una guarda, l'altra invidia
e la terza crepa d'odio.
Crepa d'odio per la gazza
che ha rubato una ragazza,
la ragazza poi s'è cotta
per rubare una pignatta,
dalla pignatta lo scorpione
fugge a nascondersi dentro un melone.
Dentro il melone attinge la bella
grasso di serpe e si unge i capelli*.
*Le trecce fino al tallone delle nostre sorelle! Nuccia decise di venderle al capellaro di Moliterno in cambio di lenzuola per il suo correda.
NENIA
Figlia del mio destino
cresci come la rosa nel giardino.
Dormi figlia mia, dormi e cresci,
dormi come cresce il grano appena nasce.
SAGGEZZA *
Spine letali, spine pungenti
tali sono le zie e le parenti.
*E' la risposta volgare al nepotes ne putes.
BALCONE
Pianta di basilico
pronta per ogni foggia
stai bene al maschio sull'orecchio
e in bilico * sulla loggia.
*I vasi e le zucche, oltre che poggiati sui davanzali e i parapetti, si tengono anche so-spesi come le culle agli archi e ai soffitti.
VERSI D'AMORE
I tuoi sospiri mi hanno chiamato.
Sono sceso dalla pietraia
nel vento e nell'aria.
Non ho contato i passi e le cime,
ho inseguito il tuo fischio di canaria.
SCHERMAGLIE
Uccello spennato
perchè giri nei miei paraggi?
Non hai polpa nè ossa,
cerca un altro vicinato.*
*Nelle nostre piccole tribù i vicini di casa si apparentano nel corso delle generazioni.
DISPETTO *
(voce maschile)
Che ne fai di un trentasette,
di uno che porta a spalla sacchi rotti,
muso di capra e mustacchi di gatto?
* L'antico fidanzato sputa alla ragazza il suo dispetto per il nuovo stortignaccolo. O la ragazza ha preferito l'adulto all'adolescente?
ALTRO DISPETTO
(voce maschile)
Sei zoccola * di mulino
che con la coda insacca la farina,
Sei volpe pollaiola
che ruba le uova delle galline,
sei capra di sacrestìa
che suona con le corna il mattutino.
*E' la moglie del topo di fogna, di stalla, di grotta.
RITORNELLO AL SERENO
La scala è lunga, la mia sposa è bella
vado cantando all'aria delle stelle.
PROVERBIO
Al tempo delle olive
Fidanzate ce n’è tante.
Quando la gobba è a levante
Perdi la luna e perdi l’amante.
A maggio le ginestre
e ragazze alle finestre.
DISPETTO
(voce d’uomo)
Sei un grappolo di sambuco
colma di nero veleno.
Eri bianca come il sambuco
in fiore.
ALTRI VERSI D'AMORE
1.
(voce femminile)
Ti voglio fare un letto galante
un letto fresco nel fresco ponente.
2.
(voce maschile)
Beati voi che siete i vicini,
siete i vicini da sera a mattina.
Vicini alla palma argentata,
al fusto di velluto carmusino.
E' bello l'amore vicino,
se non lo vedi lo senti parlare.
Lo senti quando chiama le galline.
L'ALBERO DI ROSE
C'è un albero di rose
accanto alla mia casa.
Il vento del meriggio lo accarezza,
il vento di sera lo scuote
e l'odore' mi arriva da ogni lato.
Geme di notte il vento,
l'odore torna in mente.
QUARTINE INFANTILI
1.
Galletto rosso
quante penne tieni addosso?
Ne tieni ventitre
per la corona del re.
2.
Piove piove piove
le vecchie fanno le uova
il grano va a cinque carlini
i buoi tornano dalla marina.
ANCORA UN DISPETTO
(voce femminile)
Ti portavo ciliege mature
nel mio fazzoletto.
Eri chicchirichì.*
Ti porto ghiande dure
per dispetto.
Sei cuccurucù **
* Vorrà dire: eri un galletto con me.
** Vorrà dire: sei un gufo con l'altra.
VADO SEMPRE FUGGENDO
Vado sempre fuggendo
notte e giorno,
vicino a te ritorno.
Mi spingo avanti un passo
e un passo torno indietro.
Palazzo bello di nera pietra.
PASSA LA BELLA
Passa la bella sulle punte
Come una cavalla da sella.
SCHERZO NOTTURNO
Canterò tutta note.
Farò notte tonda.
La ragazza mi aspetta
morta di sonno alla finestra.
Amore richiudi i vetri,
t’ho amata tanti giorni mesi e anni,
non posso perderti per un’ora di sonno.
POST SCRIPTUM. — I lettori perdoneranno lo scempio di tanto spazio dedicato ai nostri parenti, ai vicini di casa e di campo, ai compagni. La spinta verso il sud doveva cominciare, per gli amici, con un invito a casa nostra. Di primavera i vecchi paesi sono gremiti di fiori, ma le strade sono deserte, le case vuote, le porte e le finestre sprangate. Potrebbe accadere al viaggiatore di camminare tra i muri e non sentire anima viva. I versi che gli mettiamo in tasca possono fargli compagnia e convincerlo ad aspettare la sera, a non fuggire come fuggono tutti i forestieri
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