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Calcolo e immaginazione

di Leonardo Sinisgalli
in Vita Italiana
n.28-29 (1970)

Gli italiani sanno fare le macchine, allo stesso modo che sanno fare l'amore. Il giuoco dell'amore non è fatto di ombre e di fantasmi, non è tutto immaginazione. Le macchine sono frutto dell'immaginazione e della necessità. Dentro le maacchine accade perennemente un cataclisma; la natura viene sgonfiata, spompata, esaurita.
La meccanica non è solo matematica, e l'impeto non è solo una formula, una misura. La meccanica è calcolo, è giuoco. Ecco perchè ha bisogno di immaginazione. Leonardo da Vinci aveva più immaginazione di Cartesio, e difatti Leonardo disegnò delle macchine e Cartesio soltanto balocchi: la poupée Francine e il diavoletto idrostatico. Eppure la matematica di Leonardo è così primitiva al paragone della geometria di Cartesio!
Gli italiani hanno la dose giusta d'immaginazione necessaria a fabbricare macchine.
Che la macchina abbia rapporti stretti con la fantasia, più che con la raison ce lo conferma il fatto che persino i pittori e i poeti sono riusciti, in Italia, a conseiderare le macchine come fonti di ispirazione di suggestione, di emozone e a sposare, per primi, arte e tecnica, estetica e ingegneria.
Il Futurismo, la Poesia Tecnologica, la simbiosi Arte-Industria hanno trovato un fertile terrenodi sperimentazione. Non bisogna dimenticare che l'Italia ha contribuito potentemente alla liquidazione dell'aristotelismo, dell'oscurantismo, del dogmatismo con l'opera di Galileo Galieli e di Giambattista Vico, un fisico e un metafisico.
Un'altra conferma degli interessi, più vasti del semplice profitto, perseguiti dalla nostra idustria, ci viene dallo sviluppo qualitativo della stampa aziendale. Che in molti casi è riuscita a gareggiare con il giornalismo di professione, sollevandosi dal livello della mera informazione e della cronaca aziendale e indicando, alla stessa stampa indipendente, nuovi orizzonti e nuove conquiste dell'intelligenza e dell'ardire dell'uomo.vita italiana 28 29
Riviste come «Civiltà delle macchine», «Edilizia moderna», «Pirelli», «Italsider», «Esso» e molte altre ancora suscitano la meraviglia degli osservatori stranieri. Così è stato per la nostra architettura e per la nostra pubblicità molto ammirate, fino a ieri, in tutto il mondo. I nomi di Nervi, Ponti, Danusso, Morandi, Moreti, Marcello e le loro opere di architettura e di ingegneria (hangars, stabilimenti, grattacieli, ponti, dighe) sono conosciuti universalmente. Così come sono conosciuti i nomi e i prototipi dei nostri designers.
Ogni anno i grandi magazzini della Rinascente conferiscono in premio un «compasso d'oro» ai prodotti più utili e più belli comparsi sul mercato: poltrone, valigie, orologi, posate, vetri, giocattoli, apparecchi radio, frigoriferi, ecc.
Un esempio clamoroso delle genialità italiana è rappresentato dalla nostra industria automobilistica.
Le automobili italiane all'estero suscitano una simpatia che rasenta il fanatismo. Sono presenze armoniose, piene di grazia, piene di brio. Hanno la statura giusta. Si vede e si sente che discendono da stirpi di purosangue. E difatti ciascuna marca italiana vanta nel suo pedigree campioni indimenticabili che cinquant'anni fa avevano già superato i cento chilometri all'ora. L'automobile italiana uscita dalle officine di Torino e di Milano si rese subito celebre per le sue miracolose capacità dinamiche e per il coraggio dimostrato dai grandi piloti, Campari, Ascari, Varzi, Nuvolari, Farina. Con questa religione i collezionisti inglesi e americani conservano i nostri catorci, i vecchi e rari modelli dell'Alfa Romeo, della FIAT, della Lancia! La moda della vettura italiana ha talmente conquistato il mondo che le grandi industrie straniere hanno dovuto chiedere soccorso ai nostri stilisti, i famosi carrozzieri italiani Pinin-Farina, Bertone, Zagato.
Negli ultimi anni si è aggregato un outsider, Lamborghini, diventato col modello della «Miura» subito famoso.
Gli italiani devono coltivare sempre meglio queste loro virtù d'immaginazione e di calcolo, questa sublimazione della loro bravura artigiana. un artigiano «sublime» è da considerarsi Marcello Nizzoli, emiliano trapiantato a Milano, designato fin dal 1938, da Adriano Olivetti, allo studio della forma delle macchine per scrivere e da calcolo.
Ancora oggi girano per il mondo quadri falsi. vecchie patacche, falsi arredi. C'è chi riesce a vendere mille esemplari della sedia di Garibaldi, chi manda in giro calchi michelangioleschi, chi ha ridotto il Colosseo alle dimensioni di un portacenere. Bisognerebbe fare piazza pulita di quasi tutti i souvenirs diffusi dalle agenzie di viaggi.
Begli esempi di oggetti «preziosi» ma di costo minimo li ha offerti la Italsider con i piatti e i vassoi di ferro smaltato disegnati da Carmi e Vasarely.
Abbiamo, per foruna, industrie attente ai problemi tecnici ma anche sensibili alle correnti del gusto. I migliori critici d'arte nostrani, Argan Zevi, Dorfles, Rogers, Eco, Assunto, Battisti, Portoghesi, Veronesi, Alfieri, Crispolti, Maltese, menna, Volpi, sono anche profondi analisti di fenomeni legati alla produzione di serie e al consumo. La loro funzione di stimolo, di controllo, di chiarificazione, di scelta, dovrebbe essere ininterrotta.
La tecnica dev'essere continuamente nutrita di cultura. E i pioneri dell'industria italiana non avevano mai minimizzato questo scambio. Naturalmente non basta il battesimo degli esteti per fare una bella macchina.
Da qualche anno c'è da noi un forte interesse per gli studi di sociologia, portati in auge dai pionificatori (politici ed economisti) e dalle analisi di Mercato. L'industrializzazione del Mezzogiorno è stata preceduta da vaste e penetranti esplorazioni che hanno suggerito i piani di bonifica e gl'interventi primari (strade, borghi, scuole di avviamento) necessari all'insediamento dell'industria. Si parla molto di programmazione. Si scrivono romanzi, versi, reportages, ispirati alla vita nelle fabbriche. Si combatte l'alienazione. Questo fervore d'interessi giova certamente alla cultura e giova anche all'industria. La cultura deve salvarsi dai pericoli insiti nell'accesso di potere dato alle macchine e difendere la sempre più precaria libertà dell'uomo.
Il nostro paese ha difficili problemi da risolvere: la qualificazione della mano d'opera, il rapido e violento trapasso della civiltà contadina o artigiana alla civiltà industriale, il dissidio tra istruzione tecnica e istruzione umanistica, l'urbanesimo.
Le figure dell'ingegnere, dall'architetto, del diringente industriale vanno ridimensionate.
Eppure il nostro paese è passato, di un balzo, della miseria al benessere. C'è stato davvero il miracolo. L'improvvisazione, lo scarro, il puntiglio non sono sempre deplorevoli. Anche la frenesia che ha accompagnato il boom e le crisi subito sopravvenute (vedi i films di fellini e di Antonioni), vanno considerate come punte febbrili in un organismoper troppi anni anemico e malnutrito. Mettiamo nel conto anche un certo snobismo della classe borghese, e la fortuna improvvisa dei bottegai ringagliarditi dai liberi contatti e dai liberi scambi.vita italiana 28 29 1
Nell'immediato dopoguerra l'Italia diede al mondo un esempio della sua fertile ingegnosità trasformando fabbriche di areoplani in fabbriche di scooters, fabbriche di siluri in fabbriche di micromotori, fabbriche di cannoni in fabbriche di trattori, fabbriche di esplosivi in fabbriche di insetticidi e di detersivi, spolette in orologi. La Vespa, la Lambretta, il Cucciolo, il Paperino portarono l'allegria sulle strade del mondo. Fu la nostra fantasia a risollevarci.
La nostra industria è diventata adulta. La siderurgia con i grandi complessi a ciclo integrale di Cornigliano e di Taranto si è portata ai primi posti della comunità Europea. Le nostre centrali termiche, dopo i collaudi di Chivasso, di Cortemaggiore, di Civitavecchia tentano records di potenza quasi incredibili. I cantieri navali riorganizzati hanno arricchito la flotta mercantile e cisterniera di superbe unità. Gl'impianti petrolchimici di Ravenna, di Brindisi, di Gela hanno portato lavoro e progresso in aree lontane dal triangolo cisalpino. La chimica e l'industria delle fibre artificiali e delle materie plastiche hanno dato prestigio ai nostri lavoratori e ai nostri opifici. E' dii ualche anno fa il conferimento del Premio Nobel al Prof. Natta del Politecnico di Milano e della Società Montecatini, ora diventata Montedison. La ingegneria nucleare, sviluppatasi sul robusto tronco della fisica romana che vide un giorno uniti un gruppo di enfants prodiges come Fermi, Segre, Rasetti, Pontecorvo, Amaldi, non è la seconda a nessuno, anche se le immerse riserve di petrolio greggio, scoperte negli ultimi anni, hanno leggermente annacquato l'euforia dei nuovi alchimisti. Esportiamo impianti industriali (raffinerie, cementifici, turbine, trasformatori, centrali, draghe, grues, mulini, plastici, telai, ecc.) e costruiamo dighe, ponti,, strade ferrovie, oleodotti, cavi, condutture ad alta tensione, ecc. per molti paesi che stanno per uscire dal limbo di civiltà arcaiche e tribali. Lanostra merce cammina sulle piste aperte dai nostri muratori dai nostri agricoltori, dai nostri operai. Ho conosciuto ingegneri e periti che vantavano la resistenza fisica d oltranza dei nostri operai in ardue condizioni climatiche che riuscivano insopportabili agli stessi indigeni. L'operaio italiano ha rinsanguato l'Europa e il contadino italiano ha trasformato i deserti in vigne, in orti, in giardini. Il prodotto del nostro lavoro, del nostro ingegno, delle nostre mani, della nostra immaginazione rassomiglia ai nostri frutti, ai nostri figli. Non è mai insipido.

 

23 Gennaio 2021

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