La donna con quattro occhi e altre invenzioni del museo Buzzati
di Leonardo Sinisgalli
in Il dramma
A.46, n.2 (feb 1970)
Gli articoli che ho letti finora, perfino quello di Montanelli che timido proprio non è, e quello di Falqui che è buon intenditore e certo non s’impunta di fronte alle novità, sembrano imbarazzatissimi. Falqui lo dice chiaro e tondo: grazie, ma non è materia che mi riguarda. Montanelli racconta il fatto - una nuova versione della favola di Orfeo — ma non sembra molto esaltato dalla funzionalità del nuovo linguaggio, il fumetto. Non disturberemo i semiologi e neppure gli specialisti di «cultura di massa». Non credo che l’autore voglia rivolgersi a un pubblico semianalfabeta, quello culturalmente di «grado zero». Buzzati si serve del fumetto come Balzac si servì del romanzo d’appendice e Proust delle lettere d’amore della cameriera e dell’elenco dei telefoni. Fa un plagio dichiarato, un pastiche, un misto di caricatura e di esaltazione di una lingua nuova e universale. Ai suoi colleghi, letterati e giornalisti blasés, offre un campione della volgarità corrente, ma divertendosi anche lui, connaturandocisi, come fece Laforgue quando mise la maschera bianca di Pierrot fumiste e scrisse sberleffi alla luna.
Va preso dunque come un pezzo di bravura questo Poema di Buzzati. Egli non ha voluto gareggiare con gli specialisti americani e giapponesi, ha voluto dimostrare invece che si può dare una dignità alla vignetta, nel senso che non deve solo spiegare, narrare, fare da anello nella catena della vicenda, ma farsi godere a sé stante, come immagine. Sono dell’opinione che Buzzati ha voluto in una cornice svilita, spregiata, farci incontrare a sorpresa i prototipi del suo museo personale, «i Buzzati di Buzzati», come ci sono i Picasso di Picasso, i Burri di Burri e i Campigli di Campigli. Che importa se si tratta soltanto di cartoni elaborati con una tecnica sommaria, tinte piatte, clichés al tratto, contorni netti. Per ragioni tecniche e convinzioni personalissime, Buzzati rifiuta la mezzatinta, la velatura, il tono e simili scelleratezze. Non ricorre mai alla fotografia e neppure al documento. Ma al vero: specie quando si tratta di personaggi. Neppure ai modelli di pezza come faceva Piero della Francesca, o ai modelli di legno come ha fatto Carrà. Ecco una scelta delle tavole che considero in qualche modo autonome e cioè vive indipendentemente dal racconto. Pag. 31: ritratto di Eura (è una scoperta di Buzzati la donna con quattro occhi, che ci guarda,- che batte gli occhi, che ci incanta, che ci fa stravedere); pag. 43 : la testa che dorme (richiama certi disegni ultimi di Picabia, nello stile dei figurini e delle cartoline per i soldati); pag. 77 : ritratto di una giacca (di voluta parentela con Magritte); pag. 83 : le stelle hanno una luce fissa (magnifico affiche con le stelle che piacciono a Schifano); pag. 92: ma tu sei un morto? (ricordi di Saul Steinberg); pag. 113: il fiacre (omaggio a Seurat); pag. 163: nudo in scorcio rosa (tipico emblema buzzattiano con qualche debito verso Bellmer); pag. 172: Post coitum (buon innesto di stile identikit e stile pop); pag. 191: il signore desidera? (pudica esemplificazione di porn-art). Non c’è dunque il Buzzati poeta, c’è sempre il Buzzati inventore. Distici come quelli che stanno in apertura della Famosa invasione degli orsi in Sicilia (1945) egli non ne ha scritti più: [ «Dunque ascoltiamo senza batter ciglio la famosa invasione degli orsi in Sicilia». Versi che stanno a pari coi più bei couplets di Raymond Roussel, anch’essi a rima baciata, quelli di La Doublure e quelli, più folli, delle Nouvelles Impressions d’Afrique]. Il paragone con il suo primo libro illustrato è d’obbligo e Buzzati, quello del 1969, ci guadagna come designer tanto quanto perde come copywriter. Lì, negli Orsi, Buzzati aveva come modelli gl’illustratori di favole convenzionali, i vignettisti del «Corriere dei piccoli», i cartoni di Walt Disney. C’era una spiccata tendenza a fare scena, teatro, con una gran ressa di figure. Ma il segno peccava di rigidezza; il segno standardizzato, esplicito, il segno significante dei pubblicitari, duro come filo di ferro. Oggi la pop-art, il neoplasticismo, il liberty hanno rivalutato - a scapito del gusto impressionista - il contorno netto, l’oggetto inequivocabile. E Buzzati emerge puntuale, con le sue forme piatte, disanimate.
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