Figlie del fuoco
I, n.4 (luglio 1953)
NOI SAPPIAMO, ANCHE SENZA RICORRERE AD ANALISI TROPPO RAFFINATE, CHENEI METALLI LE CELLULE, LE GABBIE, I RETICOLI SONO ASSAI FITTI, CHE NELLE LORO FORME LA MATERIA IN UN CERTO SENSO CI E’ COSTRETTA, VI E’ SPINTA, VI E’ PESTATA DENTRO.
Mi par di giocare con le pulci già da tanti anni: ma devo dire che in questi mesi scorsi le mie pulci sono diventate obbedienti. Sono pulci ammaestrate, come nel balletto dell'ultimo Charlot. Conoscono gli umori del loro padrone, e basta abbandonarle in libertà perchè esse sappiano scegliersi le orecchie più sensitive, più suscettibili, più attente.
Non sapevo gran che sul principio di questa nuova avventura: vado indicando col dito dei paesaggi piuttosto brulli, degli spauracchi, una fauna che ha insieme qualcosa di preistorico e di verniciatissimo, di bruto e di delicato, un regno più arido del regno delle idee, che sono sempre sinuose, esitanti, invertibili.
Potrei sempre confortarmi col puntello di Platone a cui queste tebaidi, questi volumi ingombranti, offrirono il pretesto per inventare una poesia e una metafisica, la nascita dell'unicum, del modello. Ma Platone vedeva disegni, tracce, vedeva simulacri, non sostanze grevi. Gravide forme nel cui segreto agisce una forza tanto più attiva di quella che muove e sostiene tutti gli oggetti che cadono sotto il nostro dominio.
L'attrattiva dei metalli è la loro pesantezza, la loro compattezza, la loro omogeneità a vista d'occhio. Noi sappiamo, anche senza ricorrere ad analisi troppo raffinate, che nei metalli le cellule, le gabbie, i reticoli sono assai fitti, che nelle loro forme la materia in un certo senso vi è costretta, vi è spinta, vi è pestata dentro. Vi sta come insaccata. In un mondo soggetto a scosse, a tremori, a brividi, in un universo sbilanciato che cerca perennemente un assetto, i metalli ci possono pure restituire la promessa di una stasi, uno spunto di irremovibilità, di ottusaggine. Certo gli uomini hanno fatto di tutto per mettere in sussulto anche queste sostanze nate per vivere ferme come le pietre, di cui del resto sono figlie legittime. E le hanno costrette, sia pure su traiettorie fisse, a rotare o a slittare vertiginosamente. In confronto alla vita effimera, allo spazio vitale della più piccola, più pigra larva, voi sapete che tanto una valvola, quanto un pistone, o un cuscinetto, o una biella, o un albero, o una ruota dentata, godono di una libertà veramente irrisoria. Non si può dire però che se ne stiano in contemplazione. Tocca a ogni particella, quando è comandata, di compiere non un giro in 24 ore intorno a un punto come facciamo noi intorno al sole, ma 40, 50, 100 giri al minuto secondo intorno a un asse, e di sopportare accelerazioni di qualche centinaio di metri al secondo: e tutto questo dentro una placenta poco più grande di una mano o di un sacco. Possiamo dire che alla loro naturale inerzia, tanto più profonda della nostra, è stato trovato un correttivo di vita vorticosa, di fremito, di musica, che ha un solo veto nella forza di coesione dei grani.
Vita veloce dunque su orbite obbligate, quasi come le stelle, per le parti nobili, per gli organi in moto. Come questa bruta materia riesca a sopportare gli sforzi che vorrebbero ogni attimo sfasciarla, come riesca a vivere sempre in extremis, al limite di una caduta, di uno sfacelo, è cosa degna delle meditazioni più solenni.
C'è in giuoco una carica che assomiglia a un'estasi, c'è una vera e propria difficulté d'étre, una condizione anormale, uno sproposito che diventa una regola, un regime.
Io tento di spiegarmelo a modo mio, così come a modo nostro ci spieghiamo tante apparenti assurdità. Ecco. Le macchine, e più di tutto le loro membrature mobili, hanno subito una specie di processo di iniziazione, il graduale crescendo di un rito orfico. Il loro corpo è stato spogliato di tutte le scorie, di tutte le impurità attraverso bagni e cotture e fustigazioni progressive. La materia è passata al forno, la materia è stata fusa, la materia è stata colata, la materia è stata laminata, è stata forgiata, sempre ad alte temperature, è stata materia rossa, materia ardente, volume di fuoco. Come vedete non siamo molto lontani, dai simboli remoti, dai miti eroici. Probabilmente l'uomo imparò a scalfire le rupi, a trovare i primi segni della scrittura, a organizzare il suo linguaggio allora e quando aveva scoperto l'essenza del fuoco. Il fuoco non soltanto brucia e disgrega, il fuoco stringe e coniuga.
A dar vita alle macchine non sarebbe bastato il sole.
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