Inediti di Rocco Scotellaro
di Michele Abbate
in Avanti
3 agosto 1974
Il volume degli inediti di Rocco Scotellaro Uno si distrae al bivio, pubblicato a cura di Leonardo Sacco dall'Editrice Basilicata con una introduzione di Carlo Levi, viene a riverdire la memoria dello scrittore lucano a vent'anni dalla morte e a riproporne l'opera alle generazioni più giovani. Nella storia culturale e politica del nostro secondo dopoguerra la figura di Scotellaro è rimasta a simboleggiare una stagione particolarmente ricca di lotte e di speranze, in cui sembrò che, caduta la dittatura, il meggiogiorno stesse per scuotersi definitivamente dalla secolare immobilità e in cui dirsi meridionalisti significò più che mai farsi fautoni di una concezione che vedeva nel riscatto del Sud, nella sua uscita dall'isolamento e dall'abbandono, la via maestra per la soluzione dei più gravi problemi dello Stato e della società italiana.
Uno dei fattori più significativi e culturalmente trainanti del risvegluo meridionale sembrò allora che venisse offerti dalla nascita dal seno stesso della società contadina di un tipo nuovo di intellettuale, diverso da quello tradizionale perchè intimamente partecipe delle aspirazioni popolari e perchè condotto dalla propria stessa formazione a identificare i suoi problemi di espressione e di libertà spirituale, di civiltà in una parola, con quelli dei contadini, al cui mondo appartenva. E Rocco Scotellaro, il sincado-poeta diTricarico scomparso nel 1953 a soli tent'anni, fu appunto visto come l'esemplare incarnazione di questo tipo di «intellettuale organico» e si vagheggiò che attraverso di lui il contadino meridionale, «la creatura che doveva ancora parlare», avesse trovato la propria voce e fosse entrato da protagonista sulla scena della nuova cultura in formazione. In effetti, come dimostra il suo primo libro Contadini del Sud, edito postumo nel 1954, l'arte di «far parlare i contadini» faceva tutt'uno in Scotellaro con l'amore nativo per la realtà contadina colta nel suo primo atteggiarsi come valore autonomo di civiltà e, al di qua dell'estro dello scrittore e del poeta, trovava forza in una profonda capacità d'intuizione e nell'intrinseca comunanza di linguaggio coi protagonisti dei suoi racconti,i quali, sia che si esprimesseri direttamente sia che parlassero per tramite dell'autore, usavano sempre «quella lingua che - come egli stesso ha lasciato scritto - è la misura di tutto il paesaggio, degli uomini e delle cose» della sua Basilicata.
D'alto canto, non è mai sfuggito ai lettori più attenti delle opere di Scotellaro, di Contadini del Sud, dell'Uva puttanella e del libro di poesie E' fatto giorno che, così come la generosità di combattente per il riscatto sociale dei suoi fratelli contadini era nutrita in Scotellaro da una coscienza veramente moderna e innovatroce delle esigenze di una lotta che non poteva e non doveva risolversi romanticamente in uno sterile conato di rovolta, la sua opera letteraria e poetica, da cui è lontana ogni forma di idoleggiamento sterile del mondo contadino, non si presta ad essere racchiusa in una formula di stampo più o meno schematicamente populistico. Il giovane scrittore socialista che divise le attese e il pane con gli umili che si scaldavano alla sua ansia di vivere e di cantare e che per amore di essi si fece capo di popolo, organizzatore studioso, non era un primitivo un naÏ e neppure una figura riconducibile tout court a quella di un contadino combattivo, fornito di una forte coscienza dì classe e impegnato nel tentativo di dar vita ad un tipo di letteratura peculiarmente contadina. Molte prospettive sono mutate dai giorni in cui egli operò, tante cose sono cambiate da allora, eppure a riaprire le sue pagine si sente che la dimensione essenziale e culturale entro la quale egli condusse il suo lavoro non ha perso di attualità e di validità, ma conserva una risonanza universale, per nella particolarità degli accenti e dei condizionamenti storici. La verità è che, Scotellaro non espresse una sottocultura, ma fu poeta e scrittore nazionale, come Alvaro, Sinisgalli, Jovine e Strati e la sua opera va letta e valutata in questo ambito.
Di ciò offre più di una conferma la raccolta di inediti Uno si distrae al bivio, riconducendoci alle prime matrici del discorso letterario di Scotellaro e insieme aiutandoci a ritrovarne certe costanti. Il libro contiene nove racconti, del quali il più lungo e il più antico è quello da cui trae il suo titola il volume. Scotellaro compose Uno si distrae ai bivio a Tricarico tra il 1942 e il novembre 1943, cioè quando aveva vent’anni. Gli altri otto racconti risalgono tutti ad un periodo compreso tra il 1948 e il 1952. Completano il volume i frammenti dell'Uva puttanella che non fanno parte del libro edito da Laterza.
La prima impressione che si ricava dalla lettura è quella di un senso favoloso e dolente della realtà cui si accompagna un fresco impeto inventivo. Uno si distrae al bivio, il racconto lungo o romanzo breve che è senza dubbio il pezzo più significativo del libro, sembra in particolac portare conforto alla tesi di Natale Tedesco sulla «crepuscolarità»
di Scotellaro una crepuscolarità scevra di compiacimenti decadentistici e di malinconiche nostalgie, anzi venata da un sottile sentim nto di autoironia, ma non perciò meno avvertibile in tutta l’atmosfera del racconto.
Al momento di entrare nella vita e di affrontarne le battaglie, il giovanissimo poeta sente il bisogno di commemorare l’adolescenza ormai finita ed è il suono delle campane e morto che entra nella sua stanza a propiziargli i primi ricordi e ad assecondare l’operazione del distacco dai fantasmi della fanciullezza. Fermo al bivio da cui si dipartono cento strade e incerto su quanle prende e, Rocco colloquia con la sua immagine e le confida sofferenze e timori, amori e indecisioni, sgomenti e speranze. «Scrivendo un racconto si deve ammettere l’implicita conoscenza dei fatti — osserva lo stesso Scotellaro in uno dei frammenti dell’Uva puttanella compresi nel volume — che sono quelli e potrebbero essere infiniti altri, della realtà; l’aria, invece, del racconto costituisce un'allettante realtà della fantasia, ed è la sola che conti.
Ora è proprio l’aria, insieme stranita e allegra, di Uno si distrae al bivio a dare la sua unità al racconto privo di trama e di personaggi e tutto inteso alla celebrazione della fanciullezza morente attraverso una foresta dì simboli e archetipi tra cui si dibatte la volontà di vita dell’io narrante; il Padre morto, che viene a visitarlo l’ultima notte di convitto e lo accompagna in volo sulla strada del paese mentre urli selvaggi li inseguono e i preti escono in processione col braccio d’argento di un santo, il Vecchio elle si lascia morire nel fiume, il Treno che «sembra una corsia di moribondi», la Strada, il Cimitero, lo Specchio, la Straniera. Ma, osserva giustamente Levi, si tratta di una simbologia già tutta concreta di fatti reali - e «le vicende intese come simboliche sono già tutte realmente avvenute, è anche i sogni e le immaginazioni sono quelli reali, come i treni, gli amori sulle panchine coperte di neve, la profonda amarezza della vita, i confini della condizione contadina».
Di fronte alle insidie di un mondo di disamore e di violenza che fanno riaffiorare l’antico senso di angoscia, il legame con i fratelli contadini che sentono in lui il loro capo naturale è per Rocco inestinguibile fonte di sicurezza e di ardire, motivo di orgoglio e di raggiunta consapevolezza. «Io e il mio paese meridionale siamo l’uva puttanella, piccola e matura nel grappolo per dare il poco succo che abbiamo... L’uva puttanella: c’è un momento di fede comune, come di felicità comune e tutti vediamo fino ad una certa misura. La forza iniziale di ognuno condiziona la spinta comune. Noi siamo degli acini maturi ma piccoli in grappolo di uva puttanella» Sono ormai fugati i pensieri di morte, il sentimento profondo di comunione con la sua gente dona a Rocco la coscienza del proprio vero essere, la pudica fiducia che è finalmente «fatto giorno». A questo punto egli può veramente dire di essersi lasciati alle spalle i bivi tormentosi dell’adolescenza. La sua breve ma intensa stagione di vita operosa è cominciata.
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