Manoscritti
di Leonardo Sinisgalli
in Alfabeto, quindicinale di arti scienze e lettere
A.XV, nn.9-12 (mag-giu 1959)
Ho pagine bellissime di Cecchi e di Ungaretti. Quelle di Cecchi sono su piccoli fogli staccati da un taccuino a righe larghe.
La scrittura di Cecchi è larga e chiara, obliqua, letteraria, di precisa tradizione italica, aldina. Sedici o diaciassette righe per pagina, una cartellina di poco più di un centinaio di parole. Il pensiero cammina orizzontale, si spezza per tornare a capo. Le cancellature sono fittissime. Ne conto, in media, almeno una per riga, poche aggiunte, molte sostituzioni. «Alla minima difficoltà, al minimo rifiuto» diventa, proprio in testa al foglio, «Al minimo intoppo» o «rifiuto». Non cade quasi mai un rigo interno, qualche mezza riga, molti nomi o una particella: «dirgli in aperte parole che non era aria, che girasse largo» diviene più spedito «dirgli in aperte parole che non era aria, girasse largo». Dev'essere il patetico pezzo dedicato da Cecchi al nipotino. Io ne possiedo un foglio solo scritto sul «verso» e sul «recto». Verrebbe davvero la pena di perderci la vista! Ci sono delle abnreviazioni forse tipiche nella sua scrittura, non so: la «p» iniziale si mangia sempre la vocale attaccata, per completare la sillaba, sta scritto «psta» per dire pasta e «prole» per parole. Il tratto della cancellatura è un unico riciolo con gli anelli strettissimi, tanto stretti da rendere spesso illegibile la prima stesura. Ci vorrebbero i raggi X. Ma proviamo a ricostruire una catena. «Il guaio è che il bambino non è affatto impermalito». (Segue una buca larga e profonda in cui non si riesce a vedere quasi nulla. «E' sempre consapevole, mestamente, ma serenamente consapevole, e non soltanto accetta, ma in certo modo...» Ecco l'altra stesura: «Il guaio è che il bambino non è affatto impermalito. E' consapevole di quello che succede dentro di me; mestamente ma serenamente consapvole di sentirmi svogliato, affaticato, distrutto...»
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Ungaretti cammina sbieco, scrive a raggi, cerca un punto di luce, lì nello spigolo destro del rettangolo. I versi volano attratti da quel punto di fuga. E' la traduzione di un sonetto di Shakespeare in caratteri minutissimi, corsivi. E le righe, come dicevano, si aprono come unventaglio.
«E in un galoppo che avesse ali, giurerei di non muovermi. Nessun cavallo allora darà pace al mio desiderio; E dunque, il desiderio formato di perfetto amore, Nitrirà...» diviene nell'altra stesura:
«E in un galoppo alato giurerei di non avanzare: Nessun cavallo allora terrebbe il passo col mio desiderio; E , dunque, il desiderio formato d'amore perfetto, Nitrirà...»
Le cancellature sono tratti decisi, come rasoiate. Il poeta non cancella, pota. Il ramo stroncato è visibile, leggibilissimo. Una pacchia per De Robertis!
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Ho la copia dattiloscritta dell'articolo su Nietzsche che Cardarelli mandò all' «Ambrosiano». Sulle righe del carattere «pica» spiccano le correzioni a penna, nerissime. Sono poche, molti apostrofi ribattuti, virgolr cancellate, «inspirazione» in luogo di ispirazione, «Ma nell'istantte in» anzicchè «Ma nel punto» (prima) e «Ma nel momento» (poi) ecc. Leggiamolo e ascoltiamolo: «Avere a che fare coi sui oensieri era per Nietzsche un martirio. Quando uno di essi lo assaliva si rinchiudeva in camera e non voleva veder nessuno come una donna che abbia dei dispiaceri d'amore. Ma nellìistante in cui Pascal si ripiega, lascia la penna e confessa la sua miseria, Nietzsche cade in trance e subentrano le allucinazioni».
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La più bella scrittura italiana è quella del critico G. C. Argan. Argan deve provare e riprovare, distruggere e copiare. Non c'è una virgola espunta o aggiunta. Sembra una pagina tirata dalla pietra litografica o la copia di un amanuense benebìventano. Si tratta di un saggista, non certo di un poeta. Oppure si può pensare alla pagina dettata, «dictée», frutto cioè di una irrevocabile spinta che dal cervello passa al polso. Ma Argan non è uomo da cadere in deliquio, l'ha dimostrato Michaux, in deliquio non si possono scriere che scarabocchi.
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Ho sotto gli occhi gli autografi dei poeti italiani di ogi raccolti dall'editore Colombo in una rara cartella del settembre 1947, tirata in 300 esemplari. Ahimè, i poeti hanno qui offerto soltanto una copia della loro scrittura! Lo fa De Chirico con quadri metafisici. Non c'è materia di analisi. Meglio correre in Vaticano ed ammirare Petrarca. Sono fogli, tuttavia, bellissimi, pagine di disegno di cui è superfluo penetrare il senso. Potrebbe essere utile individuare la forma del pennino o la marca dell'inchiostro. Luzi aveva certamente la penna spuntata nel settembre 1947, Gatto possedeva già una penna stilografica, quando ricopiava la «Sera di Versilia». C'è all'Istituto di patalogia del libro a Roma un bel campionario di antichi inchiostri. Potrei dare qualche ricetta agli amici poeti. L'inchiostro di Cina, l'inchiostro dei papiri, l'inchiostro bizantino, l'inchiostro regale: silice e lacca, nerofumo e olio, galla, sambuco ecc.
Ma torniamo alla mia raccolta. La più bella rarità che possiedo è un foglietto di Leopardi, piccolo come un biglietto da visita o un segnalibro. E' scritto solo su una faccia, dall'alto in basso, in verticale, e contiene solo prove di penna.
«Pregiatissimo signore», sotto: «Mio caro Eccellentissimo sig.»
Sul lato sinistro, quasi per tutta l'altezza, un'operazione aritmetica: 24+8+8+6+4+8+10+14+10+12+12+16+50+10+32+6+10+6. Un tratto di penna e la somma 258. L'operazione è esatta, al contrario di tante semplici operazioni sbagliate che si trovano nei taccuini di Leonardo. A riempire il foglietto ci sono dall'alto in basso altre prove, ma evidentissimamente scritte con un altro strumento, più sottile, nuovo.
Mes
amis
ne sont
pas pour
Più giù ancora qualche riga indecifrabile, in francese, e, poi, in fondo fino a toccare il bordo inferiore.
Canto l'armi pietose
e il Capitano
che il gran sepolcro
Non so se a qualcuno servirà questa minuzia. Una volta io tentai di separare in due gruppi le «Operette Morali»: quelle scritte (pensate) in piedi e quelle scritte (e pensate) seduto. Le «Operette» ilari e le «Operette» tetre.
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