Alberto Alberti – Testimonianza da Alba (Cuneo)
Io vengo da Alba e adesso cerco di spiegare perché Sinisgalli venne a Bra, vicino ad Alba, tanti anni fa. Sinisgalli venne a trovarci perché era un grande amico di mio cugino Velso Mucci.
Sinisgalli descrive in un suo scritto il loro incontro nel 1943, al Caffè Greco, che faceva parte di quei caffé letterari dove si incontravano gli intellettuali di quel tempo. La descrizione che Sinisgalli fa di Mucci è piuttosto vivace. Dice: “Vedo Mucci confuso in un angolo della stanzetta laterale del Caffè. Non mi pareva giovane per via della testa quasi rapata. Si vantava di somigliare a Verlaine
… Era sempre in maglietta, pantaloni a tubo e scarpe di corda, oppure basco, maglioni e paltò, sento le sue risate e vedo i suoi vasti sputacchi per terra”. Comunque dopo che si conobbero cominciarono delle iniziative letterarie assieme. Nella fattispecie Mucci fondò con Sinisgalli una rivista che allora ebbe una sua importanza, il “Costume politico e letterario” che durò cinque anni, dal ’45 al ’50, quindi in un periodo abbastanza difficile. Nonostante questo riuscirono a riunire i migliori nomi di allora, e questa rivista purtroppo è caduta nel dimenticatoio come tante cose che invece i convegni come questo cercano di ritirare fuori. Più tardi, negli anni ’50, Mucci portò Sinisgalli a Bra, in casa mia e Sinisgalli volle girare un piccolo cortometraggio. Io so che ne aveva girati tre di cortometraggi. Due sono stati classificati, ci sono, e questo terzo purtroppo è andato perso. Adesso ho ricevuto notizie che dovrebbe essere stato ritrovato, e sarebbe bello come diceva l’amico Russo di riproiettarlo in un futuro convegno. Sarebbe il completamento di questo exploit di documentari di Sinisgalli. Comunque vennero a casa mia. Dice Sinisgalli: “Ho conosciuto bene la gloriosa zia di Mucci, la signora Margherita Alberti, sorella di sua madre, e suo marito e suo figlio Sandrino”. Sandrino era poi mio papà, che fu socio di Velso Mucci a Parigi dove tennero una libreria antiquaria, stamparono delle cose, scrissero poesie, un sacco di cose. “Io girai un documentario - prodotto da Marco Ferreri che allora non aveva la barba e neppure la taglia del sollevatore di pesi - dentro la immensa soffitta, intorno al 1950. C'era un mare di oggetti, avvolti nella ragnatela come dentro la garza o il muco. Venivano a galla per un momento attratti dalle luci potentissime, poi si nascondevano. Girai quel filmetto subito dopo i famosi cortometraggi sulla geometria e sul millesimo di millimetro. La zia Margherita portava da bere nebiolo alla nostra piccola troupe. Sandrino faceva i ciak. Altro che environnements! Quella soffitta bisognava trasferirla di sana pianta al museo. La pellicola fu proiettata a Roma davanti a Maccari e a Mucci e alle nostre donne che parlarono di quadri di Morandi, ready - made, bell'e fatti dal tempo, dal caso e dai ragni.”. Di questo cortometraggio esiste un testo che miracolosamente sono riuscito a conservare. Però l’ho dato da leggere alla signora che si offre a leggere, quindi lascerei il posto a lei e concluderei questa piccola testimonianza.
“Non ho dovuto forzare troppo la memoria per ricordarmi il luogo dove penetrai una sera, al lume di una lucerna. Gli anni lunghi delle province, nel loro corso lentissimo non riescono a consumare il profilo delle cose. Si può dire che appena le rimuovono da una stanza all’altra fino a spingerle in soffitta dove il tempo farà cadere molta polvere. Frugare in questo recesso, con gli ordigni che hanno così poca vista, accendere per una notte migliaia di candele, è stato forse un gesto sacrilego. Ma la tentazione era forte. In mezzo a tutta la roba buttata alla rinfusa ho cercato di scontornare quei gruppi che soltanto il caso aveva combinati per costruire delle tribù. Gli oggetti riescono meglio degli uomini a trovare una ragione di reciproca simpatia. Ma qui, in questa immensa camera, le affinità si sono rivelate così ricche da mettere in allarme i nostri poveri sensi. A nessuno di noi è venuto in mente di toccare sia pure con la massima cautela e con la punta di un dito uno qualunque dei tanti cadaveri appesi o ammucchiati davanti i nostri occhi”.
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