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Leonardo Sinisgalli e il Teatro dell'usignolo

di Romeo Lucchese
in Atti del convegno di studi su Leonardo Sinisgalli, Matera-Montemurro 14-15-16 maggio 1922, tip. Liantonio, Matera 1987

Io ho avuto l’onore e il piacere di lavorare per e con Leonardo Sinisgalli in diverse occasioni, in particolare per monografia sul pittore Alberto Ziveri (edita da Luigi De Luca nel 1952) e, prima ancora, quando mi affidò, nel 1948, la traduzione de La Jeune Parque di PauI Valèry e, più tardi, di alcune liriche da Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand per il Teatro dell’Usignolo, rubrica radiofonica che ebbe inizio nel 1947 e aveva luogo il mercoledì alle 23,20 negli studi di Via Asiago a Roma.
Sinisgalli è stato uno dei rari poeti contemporanei che hanno saputo innestare, con buoni frutti, le due culture: quella umanistica e quella scientifica (più giusto sarebbe dire tecnologica, perché la scientifica fa parte dell’umanistica). Prima di lui un’operazione simile l’avevano tentata in Italia i futuristi, ma con risultati negativi perché essi operavano in un modo del tutto esteriore, cioè puntando tutto sul significante e trascurando il fondo, cioè il significato.
L’innesto fra le due culture era stato fatto invece felicemente, nelle prime due decadi del nostro secolo, in Francia, particolarmente da Apollinaire, Valery Larbaud, Saint-John Perse, Blaise Cendrars, Philippe Soupault, Jules Supervielle, Eluard; e Sinisgalli pubblicò nel ‘54 in “Civiltà delle Macchine” alcune poesie da me tradotte di questi precursori, memori degli Enciclopedisti e degli Illuministi.
Sinisgalli poeta, matematico e ingegnere, era uno spirito aperto alle conquiste tecnologiche; uno spirito umanistico, per il quale la macchina era — come dovrebbe essere sempre — un mezzo materiale al servizio dell’intelletto. Di questa sua tendenza ottimistica egli diede due splendide prove: la prima con la creazione della rubrica radiofonica chiamata “Teatro dell’Usignolo” (1947), la seconda con l’altra sua, più famosa, “Civiltà delle macchine” (la rivista bimestrale da lui fondata nel 1953).
Il mio intervento riguarda “Sinisgalli e il Teatro dell’Usignolo”, tema quasi dimenticato, che merita di essere ripreso in esame in un modo più ampio e approfondito di quanto posso fare io in questa occasione.
Poco tempo dopo la fine della seconda guerra mondiale, Leonardo Sinisgalli e Giandomenico Giagni si trovarono d’accordo nel ritenere la radio il mezzo più indicato per esprimere e diffondere i testi poetici. La loro idea prendeva spunto dall’esempio geniale del poeta surrealista Robert Desnos che, prima della guerra, animava certe trasmissioni francesi; inoltre la loro idea era confortata dallo spazio non indifferente che la BBC di Londra concedeva allora a poeti come Dylan Thomas e Louis Mac Neice, cosi come in America Radio City di New York dava modo ad Archibald MacLeish di realizzare importanti trasmissioni poetiche.
Sinisgalli e Giagni pensarono a una trasmissione radiofonica notturna in un orario propizio all’ascolto e alla meditazione dei testi poetici di grande levatura. Si rivolsero al Maestro Gino Modigliani per la scelta delle musiche da usare come sottofondo o nelle pause; e a Franco Rossi per la regia dei testi da trasmettere. Naturalmente, l’accordo tra i quattro fu completo, e, benché il lavoro fosse svolto in équipe, Sinisgalli operava come primo fra i suoi pari.
Essi esposero la loro idea a Sergio Pugliese, allora direttore del settore dei programmi radiofonici chiamati “Prosa”, e ottennero subito la sua adesione incondizionata. Cosi quest’uomo intelligente, nel Novembre 1947, presentava su “Radiocorriere” il Teatro dell’Usignolo con queste parole: “Il canto dell’usignolo è canto notturno; nella quiete magica della notte, entreranno nelle vostre case le grandi parole della poesia di tutti i tempi, delle parole che vivono nel subcosciente di tutti gli uomini, anche dei più sprovveduti, e dei più lontani da ogni ricerca cerebrale. Per questo crediamo che il Teatro dell’Usignolo, nato per gli intellettuali, troverà una più vasta eco anche nei cuori più semplici, anche nella grande massa dei nostri ascoltatori”.
Era nato così il “Teatro dell’Usignolo”.
Purtroppo il Maestro Gino Modigliani veniva strappato al grup¬po da una morte prematura; perciò, dopo la sua scomparsa, furono chiamati a collaborare, di volta in volta, i Maestri Roman Vlad, Ermanno Colarocco e Luigi Colonna per la scelta o la creazione degli accompagnamenti musicali.
Il “Teatro dell’Usignolo” cominciò esattamente il 12 Novembre 1947, trasmettendo il Dialogo di Cristoforo Colombo e Guitierrez di Giacomo Leopardi e si concluse il primo Luglio 1949 con il Dialogo di Tristano e di un amico, capolavoro del grande poeta di Recanati.
Dopo neanche due anni, purtroppo, come quasi tutte le iniziative belle, quel ciclo di trasmissionì incontrò gli ostacoli posti dai burocrati, che vollero creare, sulle ceneri dell’Usignolo, qualcosa di simile ad esso, ma di più organizzato, più ampio, abbracciante vari aspetti della cultura, e quindi, tutto sommato, per forza di cose, di un livello più vicino alla mediocrità. Così nacque il “Terzo Programma”, che non ebbe pochi meriti, ma per cui fu eliminata una rubrica viva, altamente educativa. I dirigenti della RAI avrebbero fatto bene a includere il “Teatro dell’Usignolo” nel Terzo Programma, chiamandolo magari “Teatro Poetico”. Quella eliminazione causò un profondo dispiacere in Leonardo. Il quale (come si può leggere nel prezioso libretto Un poeta come Sinisgalli, edizioni della Cometa, Roma 1982) per questo fatto ebbe con la RAI una vertenza “poi vinta”.
Verso il 1953, cominciarono le trasmissioni dei “Notturni dell’Usignolo”, ma erano piuttosto delle semplici letture senza le qualità espressive del precedente “Teatro dell’Usignolo”. Di questo ultimo eccovi un elenco di alcune trasmissioni:

Lamentazioni di Geremia dal Vecchio Testamento; Eupalinos di Valéry nella versione di Beniamino Dal Fabbro; Littie Gidding di Thomas Stearns Eliot; Micromégas di Voltaire; Il vaso rotto di Leonardo Sinisgalli; Natività dal Nuovo Testamento; Canto della strada maestra di Walt Whitmah; Esperienza americana di Garcia Lorca; Eugenio Onieghin di Puskin; Il Cantico dei cantici di Salomone; La signorina Felicita di Guido Gozzano; Palcoscenico girevole di Tommaso Landolfi; un’Egloga di Virgilio; Erodiade di Mallarmè, tradotta da Guido Barlozzini; Anàbasi di Saint-John Perse, tradotta da Ungaretti.

Io fui invitato a collaborare con le mie traduzioni de La Giovane Parco di Paul Valéry e di alcune liriche tratte da Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand. Fra le altre trasmissioni ci fu anche, in veneziano, Romeo e Giulietta di Berto Barbarani; Il Castello di Palazzeschi; Nella colonia penale radio-dramma tratto dal Messaggio dell’Imperatore di Kafka.

Sinisgalli, Giagni, e talvolta anche Rossi, facevano precedere la trasmissione da una breve nota critica illustrante le sue riposte significazioni, nota rivolta a un pubblico vasto, disperso, eterogeneo, ma toccato direttamente nello spirito dal “linguaggio auditivo” (così chiamato da Franco Malatini, studioso di radiofonia) basato “sulle originali ricerche autonome dell’espressione radiofonica” (come dice Adriano Magli), cioè del suo linguaggio specifico.

Ma è bene qui citare di ciascuno dei quattro fondatori dell’Usignolo un breve brano tratto da “Radiocorriere” alla vigilia dell’inaugurazione del loro Teatro.

Giagni: “... Farvi giungere l’ultima pagina di lettura, una pagina di poesia, un dialogo dove la parola diventa il centro di migliaia di immagini; una pagina celebre che conoscete o che vi è sconosciuta. Da tempo andiamo ripetendo che la Radio è una delle poche invenzioni moderne atte ad accogliere la voce dei poeti...”.

Modigliani: “... il gioco dei due piani sonori per cui la Radio e solo la Radio è in grado di riunire poesia e musica in maniera comprensibile e gradevole risulterà così avvincente che non si potranno più concepire i concetti espressi con parole separati da quelli espressi con note".

Rossi: “... ‘Se c’è una speranza da coltivare, è questa: che la parola, il verbum antico ed immutabile riottenga la sua funzione chiara ed inconfondibile di suprema espressione: nulla, infatti, è tanto chiaro nell’arte, come la parola. La quale è canto, musica, pensiero, descrizione, avvenimento, azione, tutto. La Radio ha da restituire alla parola la sua mirabile potenza’. Queste parole non sono mie, sono di Alberto Casella ed hanno una data: millenovecentotrentadue...”.

Sinisgalli: “... Questo strumento che tra la luce e i rumori del giorno perde i suoi attributi miracolosi, riattinge nel cuore della notte, simile a certi fiori e a certi mostri, le sue incantevoli virtù. Direi che in quel silenzio la radio diventa qualcosa come un medium, un medium cosmico che stimola non solo il nostro udito, ma sommuove la nostra coscienza nelle facoltà più indecifrabili: la me¬moria e il presentimento. Quella ch’è l’alba per i sensi è la notte per l’anima. Si direbbe che la stanchezza del corpo giovi a dare al nostro spirito una maggior vivacità, una effettiva acutezza. Per questo forse l’uomo rimanda a tarda sera il suo esame di coscienza. Nelle ore notturne ci è sempre riuscito più agevole parlare con noi stessi, con le persone, e intendere la parole dei poeti. I nostri libri più cari stanno lì, accanto al letto. E noi ci siamo chiesti: non potrebbe la radio periodicamente sostituirsi al libro che teniamo sul comodino? Portarci tra veglia e sonno il conforto di parole assolute, legarci, senza filo, a un cielo suggestivo, il cielo animato dalla Poesia?..”.

Dopo breve tempo, nel 1948, la rubrica del Teatro dell’Usignolo, contava già centocinquantamila ascoltatori; ed erano molti quelli che chiedevano per lettera commenti esplicativi dei testi trasmessi. La diffusione della cultura non sarà mai nociva al progresso umano, anzi siamo convinti che essa, propagandata attraverso radio e televisione in orari meno sacrificati, potrebbe essere riparo solido al degrado generale d’ogni valore a cui assistiamo oggi.

E’ bene chiarire che il Teatro dell’Usignolo non si proponeva la banale funzione di un qualsiasi teatro radiofonico riproducente attraverso le onde, le commedie, i drammi, le farse alla radio invece che sulla ribalte teatrali, ma si serviva della radio, di tutti i mezzi espressivi della radio: parole, rumori, musiche per dare l’interpretazione più vicina alle qualità precipue della poesia.

Quali elementi portava alla Radio quella che fu chiamata la “felicissima rubrica” del Teatro dell’Usignolo? Che cosa lo caratterizzava? Un brano di una relazione di Cesare Vico Lodovici (autore molto stimato da Sinisgalli) ce lo spiega:

“A chi osservasse che la Radio vive di forme costituite, cioè musica, teatro, letteratura, scienza, politica ecc... ‘più la radio’ si potrebbe rispondere. E con questo si vuoi dire che, per esempio, il teatro radiofonico è qualcosa di diverso dalla ripresa radiofonica di una commedia normale da palcoscenico, che esiste una prospettiva sonora, un ritmo radiofonico, analogo al ritmo del film oppure del tutto differente. La Radio ha nella sua limitazione la sua definizione formale: essendo limitata al puro mezzo auditivo ha in questo suo limite il suo carattere, che è quello di opporre una sua tipica trasformazione alla realtà su un piano di fantasia, fidando musicalmente sul suono come fattore evocativo. Si è per molto tempo creduto che il divario sensibilissimo fra una produzione teatrale e la corrispondente ripresa radiofonica di essa fosse dovuto soltanto alla mancanza dell’elemento visivo nella radio. Il divario nasce piuttosto dalla differenza fondamentale che passa tra la parola in teatro (e il parlar di presenza, in genere), che potrebbe chiamarsi parola integrale, ed il puro elemento sonoro della parola che potrebbe chiamarsi “fonema” e che corrisponde alla parola radiofonica. L’uomo quando parla impiega il fonema con le intonazioni, la mimica, il gesto: ovvero con tutta la sua presenza fisica tangibile all’espressione. La radio non ha di coessenziale  al fonema che l’intonazione e la modulazione. Pertanto il linguaggio del teatro riesce dimostrativo, laddove quello della radio deve riuscire sostanzialmente evocativo. Astratto e immateriale che sia il linguaggio del teatro radiofonico possiede una sua intima logica assai più libera e sciolta della logica teatrale e cinematografica. Poggiando sul visivo, teatro e cinema devono giustificare i precedenti che portano ad una presenza sulla scena, mentre la radio consente anche il sorgere improvviso di una voce che quando sia logicamente legata alla verità interna dell’azione, può avere un eccellente effetto evocativo”.

Il Teatro dell’Usignolo, da parte sua, svolse sulla poesia quell’operazione che sentii dire a Bruno Barilla riguardo al musicista Riccardo Strauss: “Il suo romanticismo era un osso spolpato, da cui egli, cane famelico, cavava le ultime miracolose fibre, le ultime cartilagini”.

Il Teatro dell’Usignolo, agendo con tutti i mezzi radiofonici, analizzava frase per frase, parola per parola di un testo fino a rivelarne i recessi più profondi, quelli che nella notte, attraverso le lontananze avrebbero trovato altri echi negli animi e soprattutto nelle anime solitarie.
Per esempio, la mia traduzione, de La Giovane Parca di Valéry, che è un lungo monologo di più di cinquecento versi, fu interpretata da diverse voci femminili e da qualcuna maschile (là dove il monologo era un modo di esprimersi soggettivo del poeta ed oggettivo della Giovane Parca). Quelle voci passavano da uno stato d’animo all’altro della protagonista con un’adesione, una vivacità, una profondità che davvero non potevano non suscitare nel modo più sensibile le sensazioni, i sentimenti, e le idee voluti esprimere dal poeta.
In realtà la preparazione di ogni trasmissione dell’“Usignolo” veniva fatta in équipe, e talvolta erano gli attori stessi a intervenire con qualche suggerimento, finché, al momento della trasmissione, il testo veniva diretto definitivamente “dal vivo” da Franco Rossi. La visione chiara di Sinisgalli, l’equilibrio critico di Giagni, il buon gusto del Maestro Modigliani, l’abilità tecnica del regista Franco Rossi (che molti anni dopo, — ricco anche delle esperienze fatte col Teatro dell’Usignolo — avrebbe diretto per la Televisione, con tanta bravura, film difficili come quelli tratti dall’Odissea e dall’Eneide), l’entusiasmo, la passione, l’impegno approfondito con lo spirito e col cuore dagli attori fecero sì che quasi tutte le trasmissioni risultarono di livello straordinario fino a toccare il sublime dei testi eccezionali che erano stati scelti da Sinisgalli e talvolta da Giagni.
Il “Teatro dell’Usignolo” disponeva di alcuni ottimi attori fissi: Carla Bizzarri, Renato Cominetti, Adriana Parrella, Gemma Griarotti, e Solieri, Pirani, Pucci, Zanini, oltre alla Tettoni; e delle partecipazioni saltuarie di Antonio Crast, Achille Milbo, Luciano Mondolfo, Antonio Bonucci, Tonino Pierfederici; e talvolta collaboravano come dicitori alle sue trasmissioni anche i poeti (ad esempio, Libero De Libero, partecipò ad una Egloga di Virgilio), oppure i traduttori (io partecipai alla dizione di qualche poesia tratta dal Ga¬spard de la Nuit di Aloysius Bertrand).
Nel linguaggio radiofonico dell ‘Usignolo risultavano particolarmente suggestive le trasmissioni cosiddette “su due piani”, cioè con la dizione del testo in lingua originale (Virgilio, ad esempio, fu interpretato anche in latino) e nella traduzione italiana.
Si può dire che quel fenomeno dei “due piani” generasse qualcosa di simile a quello generato da un’apparecchiatura elettrica che sprigionando campi elettro-magnetici alternati tiene sospeso un disco metallico; il disco corrispondeva all’animo dell’ascoltatore di fronte all’“Usignolo”, animo che, misteriosamente, in levitazione, come San Giuseppe da Copertino, godeva di una vera estasi.
Nato con tendenze d’avanguardia e in un clima spirituale d’eccezione, l’“Usignolo” ricorse ad alcuni sperimentalismi che s’imposero nella tecnica radiofonica: sperimentalismi tenuti presenti più tardi dai concorrenti italiani all’internazionale Prix Italia, tipico concorso per testi auditivi e tecniche radiofoniche.
Regista e attori dell’“Usignolo” disponevano di poco tempo per le prove, ma spesso risolvevano i problemi per quanto riguardava i suoni, secondo la buona tradizione italiana della “Commedia dell’Arte”. E’ un vero peccato che, siccome le trasmissioni avvenivano “in diretta” e senza una sola replica, non ne sia rimasta alcuna registrazione. Il Teatro dell’Usignolo — nella sua settimanale trasmissione di circa quaranta minuti — aveva trovato un suo stile, una sua dimensione perfetta, con i toni, le voci, gli accenti, le sfumature, i silenzi, i rumori che si alternavano nell’interiore illuminazione spirituale degli ascoltatori.
Desidero ringraziare tutti coloro che hanno risposto alle mie richieste telefoniche e alle lettere da me scritte per ottenere dati precisi riguardanti l’attività dell‘“Usignolo”: Sandro D’Amico, Giuseppe Appella, Ida Borra, che sta mettendo in ordine le carte di Leonardo Sinisgalli, Olga Giagni, vedova dell’amico Giandomenico, gli attori Antonio Crast e Carla Bizzarri, e, soprattutto Franco Malatini, autore di Cinquant’anni di teatro radiofonico in Italia 1929-1979, pubblicato dalle Edizioni ERI, Torino 1981, libro preciso e prezioso sotto molti aspetti, da cui ho tratto alcune citazioni.
Cito qui un brano di una simpatica lettera della brava attrice Carla Bizzarri:

“... Ho poca memoria per le date, di più per le emozioni: quando, ad esempio, recitai una poesia con la testa ficcata nell’interno d’un pianoforte a coda, per ottenere risonanze musicali attorno alle parole... Non credo che troverà registrazioni: tutto veniva trasmesso dal vivo e in condizioni avventurose, anche per mancanza di tecnici, dato l’orario: forse non volevano pagare gli straordinari! Facevamo da soli anche i rumori: ..passi, porte, finestre ecc...”.

Infine chiudo con un brano da una recensione di Salvatore Quasimodo sul “Teatro dell’Usignolo” (“Tempo”, settimanale, Milano, 30 luglio 1949). Evidentemente, il futuro Premio Nobel, era al corrente delle vicissitudini della creatura del suo amico Sinisgalli e scriveva:

“... Qui volevo, oltre l’elogio di chiusura per la stagione dell’“Usignolo” fermarmi a considerare queste trasmissioni, fra le più intelligenti del mondo, per differenziarle da quelle del teatro radiofonico. Le ragioni della poesia hanno nell’“Usignolo” un diritto di cittadinanza assoluto: il teatro trasmesso per Radio lavora su un piano non meno sensibile e importante dell’altro, ma diverso. Ma ecco quello che mi premeva dire: in questi giorni si parla del “terzo programma” della R.A.I. e non vorrei che, per amore di accentramento o per misure di coordinazione, il “Teatro dell’Usignolo” finisse travolto o assorbito in altre manifestazioni generiche di alta cultura o, quel che è peggio, considerato come vero e proprio teatro radiofonico. L’“Usignolo” merita di essere lasciato alla sua sorte  senza paragone felice, con gli stessi nomi che lo resero famoso. Questa preghiera rivolgo, alla Radio italiana, proprio ora che essa dedica la sua attenzione alla cultura, perché non deluda quella parte di ascoltatori che non lamenta come disordine i desideri sonori degli altri”.

Nella sua continua, straordinaria vitalità, Leonardo Sinisgalli, come sempre, anche nel “Teatro dell’Usignolo”, aveva proiettato la luce del suo spirito, rispettoso dei progressi della scienza, ma soprattutto conscio della necessità d’un nuovo umanesimo.
Nell’epressione tecnica dell’“Usignolo” era vivo e toccante tutto ciò che è atto a rendere visibile, attraverso l’udito, quello che non è visibile sullo schermo radiofonico. Attraverso le parole e i suoni, esso arrivava sovente a coincidere con l’essenza della poesia — che èsintesi, essenzialità — e ad esprimere l’inesprimibile.

10 Novembre 2020

Fondazione
Leonardo Sinisgalli

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