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L'intelligenza è la mano?

IV, n. 6 (novembre-dicembre 1951)

 

LE GRANDI NAVATE, I MERAVIGLIOSI UTENSILI, GLI STRUMENTI DI ASSOLUTA PRECISIONE DELLE FABBRICHE MODERNE CONSENTONO DI METTERE IN DUBBIO L'ANTICA OPINIONE DI ERACLITO, CHE STABILIVA UN'IDENTITA' TRA L'INTELLIGENZA E LA MANO.

 

L'inverno è una stagione adatta per ritrovare nella memoria gli odori della mascalcia, aprire uno spiraglio ai perduti squilli delle mazze. Devo spingermi molto indietro, più di trent'anni, per segnare il principio della mia amicizia coi metalli. Posso indicare con la punta accesa di una sigaretta, sulla carta sghemba del mio borgo, le quattro fucine di Gagliardi, del Falotico, di Defina, dell'Infantino. Quattro ferrai, in un paese di duemila anime, possono significare molte cose: che i cavalli, i muli e gli asini erano tanti, e tante le zappe e le accette e le falci. Nelle giornate serene gli arnesi nuovi brillavano all'aria sulla paglia davanti alle botteghe. Perché il fabbro deve saper far tutto, da una ringhiera a una chiave, da un ferro di cavallo a un treppiede, dalle punte per gli aratri ai cerchi delle botti. Nei nostri paesi il fabbro è anche carbonaio e contadino.

Mastro Filippo Falotico era anche veterinario. Aveva comprato un magnifico asino che faceva da stallone per le nostre giumente. La valle dell'Agri sconvolta dalle frane e dalle alluvioni, con i viottoli che rasentano il ciglio dei fossi e danno le vertigini ha bisogno di muli. Con due muli il mio compagno Rapucci ha tirato su una famiglia di sei o sette figli. I muli lavoravano fino al crepuscolo a trascinare il carbone dalle montagne nei mesi di primavera: portavano quattro o cinque sacchi pesanti dall'Appennino ai bivi delle strade provinciali. Un tempo arrivavano fino al paese. Ora ci arrivano i camion. Veramente da qualche anno le imprese salernitane, che hanno saccheggiato tutti i belli boschi, hanno impiantato addirittura le teleferiche. I mulattieri sono in crisi.

I fabbri di Montemurro sanno scegliere il carbone adatto a cuocere il metallo, sanno dosare anche l'acqua e l'arena per la tempera rapida e la tempera dolce. Non è facile diventare mastro ferraio dalle mie parti, non è facile neppure essere accolto come discepolo nelle insigni mascalcie di piazza San Giacomo e del Ponte della Valle. I nostri vecchi maestri non fanno analisi grafologiche o psicotecniche. Basta un colpo d'occhio. Silvestro Mangialupini e Scipione Basitano, gl'idoli della nostra infanzia, erano famosi in tutta la contrada. Avevano il collo e i polsi e i petti possenti. Quando battevano la mazza sul ferro rovente noi bambini ci precipitavamo davanti alla bottega trascinati da un'ammirazione quasi selvaggia. Il vecchio maestro teneva nella morsa con la mano sinistra il rosso spezzone, nella destra brandiva il martello e indicava con un colpo il punto dove la mazza, con l'impeto accresciuto dal lungo braccio, doveva schiacciare il metallo. I colpi doppi e tripli si succedevano a ritmo incalzante e sempre più forti via via che il ferro ritornava a raffreddarsi e a indurirsi. Il maestro rigirava la sbarra dopo ogni serie di colpi, infine batteva col suo martello sopra l'incudine per dar riposo ai suoi aiuti e affondava lo spezzone sotto la brace. Il più piccolo de discepoli stava al mantice, un altro nutriva il fuoco con palate di carbone. Nella forgia c'erano raspe e lime, e c'era la mola per lucidare i pezzi. Nei mesi freddi, di neve e di pioggia, i contadini affollavano le botteghe dei fabbri. Stavano in circolo a fumare la pipa, sotto la scarica di scintille.

Corse la voce, uno di quegli anni, che mastro Vito Infantino aveva inventato un ferro di cavallo, che si applicava allo zoccolo senza bisogno di chiodi; si disse anche che una sua chiave poteva aprire tutte le porte. L'Infantino fu il primo a carpire agli zingari un segreto costruttivo che lo rese leggendario ai ragazzi di quel vecchio paese. Riuscì a forgiare un piccolo strumento armonioso. costituito da una sottile lamina incastrata in un arco di metallo a forma di omega, le cui estremità si rastremavano fin quasi a toccare la linguetta vibrante. Gli ultimi anni fu colpito da una sordità quasi assoluta. Non se ne rammaricò. Al lume di una lucerna, calata la sera, stringeva in bocca il suo scacciapensieri e modulava i suoi strani muggiti.

Solo più tardi, quando avevo già abbandonato la vita della mia tribù, più tardi la carrozza della neve cddette a una corriera i passi delle montagne. Il primo trapano a manovella arrivò nella bottega di mastro Antonio Gagliardi, il più giovane dei quattro. Arrivò con la serie completa delle punte che venivano lubrificate con penne di gallina. La Cooperativa Anonima decise, in una seduta memorabile, l'acquisto di un impianto per molitura del grano e frantumazione delle olive. Il motore a gas povero, regolato da un volano gigantesco, fece partire i suoi singulti; così i bei mulini dei preti, disposti a valle, furono trasformati in pagliai o in magazzini per le patate. Sul tronco della nobile arte fabbrile venne dunque la meccanica a innestarsi. E portò suoi primi frutti, facili frutti, meno sudati e un poco insipidi.

Mastro Titta Defina fece venire una trebbiatrice che si spostava da una contrada all'altra, da un'aia all'altra delle nostre contrade più accessibili, nei giorni del solleone da San Giovanni all'Assunta. Lasciò una gamba dentro gli ingranaggi. La gente disse che anche le macchine hanno bisogno ogni tanto di rompere la loro eterna quaresima, festeggiare il loro sabato grasso.

Non mi rammarico di questa piccola rivoluzione che ha coinvolto soltanto alcuni mestieri, ha trasformato le botteghe in officine. Mèmore della mia infanzia tra i fabbri, mi sono affezionato agli operai e alle macchine, alle grandi navate, ai meravigliosi utensili. Ho cercato di spaccarmi in due tra istinto e precisione. Ho rinunziato a credere di anno in anno all'universalità dello slogan di Eraclito: l'intelligenza è la mano. Ho riversato il vino in altre botti. Quanto aceto per un po' d'alcool!

Immagine di un fabbro mentre lavora. Didascalia1: Identici da secoli i gesti nella bottega del fabbro, anche se ora si complica di ordigni nuovi.

Immagine di un operaio ad un tornio industriale. Didascalia2: La fredda attenzione e un'intelligenza più astratta di quella dell'artigiano d'un tempo sono le doti richieste all'operaio specializzato di oggi.

16 Dicembre 2011

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