Ville dell'estero
di Leonardo Sinisgalli
in Edilizia moderna
n. 32, ottobre-dicembre 1939
Queste immagini, a una a una, queste ville sul verde, questa campagna che entra a far corpo con l'architettura, e il cielo e la luce, ci ripropongono il mito romantico della nuova architettura. Il mito laico del benessere che si sposa con la felicità in uno scenario che è più finto quanto più è naturale. Un albero davanti a una casa non è più un albero ma un oggetto metafisico, spoglio di ogni suo senso, vivo solo nella sua forma e nel suo colore. La borghesia di tutto il mondo stanca delle grandi città illuminate, stanca di questa magnifica invenzione degli uomini, di questo superbo artifizio che è la città, tenta ancora il suo ritorno alla natura. Una volta abbiamo scritto che tutta una segreta linfa corre tra Rousseau e Le Corbusier, due svizzeri, due rivoluzionari che hanno tentato una soluzione tecnica più che sentimentale della felicità dell'uomo. Persico, quando ebbe occasione di parlare delle ville di Wright, si ricordò di certi racconti di Andersen, scoprì nell'impressionismo una fonte di memorabili idilli. E che cosa ci resta infatti del "Moulin de la Galette" della "Promenade à da (sic!) Grande Chatte", del "Ponte di Arles", vale a dire di Rènoir, di Seurat, di Van Gogh, se non il ricordo di tre giornate straordinarie? Forse la "provincia" letteraria, quella di Flaubert e di Alain Fournier, quella di Nievo e di Julien Green, è più intima, certo più drammatica. La provincia europea, che queste ville sottintendono, non è purtroppo abitata da personaggi di romanzo, piuttosto da banali protagonisti di una vicenda cinematografica. Sono ville si sa troppo comode, troppo luminose, perfino troppo bianche. Ecco: questo colore è forse il vero indice di tutto un gusto più che di uno stile. Il gusto per i colori chiari e per i materiali trasparenti, un vero sposalizio dell'igiene con la bellezza. Ma una villa in campagna è un tema troppo illustre per tentarne un'approssimazione capricciosa come è la nostra. Né abbiamo voglia di fare delle acrobazie per giustificare neutra con palladio, come dire De Chirico con Carpaccio o Cecchi col Bembo.
Nessuna giustificazione si può dare del nostro "gusto" partendo da premesse troppo lontane, né le nostre abitudini, la nostra vita potranno mai essere rinnegati da noi stessi. Il fatto poi che una stessa inquietudine, una stessa tecnica, e la simpatia per le stesse forme abbiano steso così lungo il passo da Oslo alla Florida, dalla Costa Azzurra a Sirmione, non turba assolutamente la nostra fede di giovani chierici che sui banchi di scuola lungamente sentirono parlare di categorie e di "universali". Nelle carte di Leonardo torna insistente un aggettivo: "mondile": è un aggettivo che va meditato da tutti i reazionari.
Sarebbe interessante sulla scorta delle piante e dei prospetti distinguere quelle che sono le "costanti stilistiche" e le partiture spaziali più ingegnose di qualcuna di queste costruzioni. Sarebbe utile vedere come i materiali adoperati rispondono ai vincoli imposti alle singole membrature degli edifici. È un'analisi, diciamo così, logica e stilistica, che s'impone per un esame giudizioso di un'opera di architettura allo stesso modo che per una pagina di prosa. Ma il nostro voleva essere un semplice commento a una serie di illustrazioni. Tutt'al più, data la enorme fioritura di ville, villini e villette alle periferie delle nostre città, questi pochi esempi valgono almeno a creare degli scrupoli, se non proprio delle conversioni.
[In "Edilizia moderna" n. 32, ottobre-dicembre 1939, pp. 48-55. I numeri 31 e 32 erano stati previsti come un fascicolo doppio ad illustrazione del tema monografico della villa moderna, per ragioni editoriali sono stati, viceversa, pubblicati due fascicoli pur se il secondo, cioè il numero 32, segue la numerazione del precedente, tant'è che l'articolo di Sinisgalli già previsto nel sommario del numero 31 appare ad apertura del 32.]
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