A proposito di modernità divagando attorno alla figura di Osvaldo Borsani (1911-1985)
di Maria Luisa Ghianda*
Tra i miei ricordi d'infanzia c'è anche quello di Osvaldo Borsani, l'industriale-designer e architetto, indiscusso protagonista della scena artistica italiana di Metà Novecento.
Sono nata nell'operoso triangolo d'oro del design, la Brianza, terra dominata dalla cultura del fare e, soprattutto, del fare bene.
Mio padre e suo fratello Giuseppe avevano allora una bottega artigiana - divenuta in seguito molto famosa - collaboratrice della Formanova, un’azienda che rivaleggiava unilateralmente con la Tecno, fondata, com’è noto, dai gemelli Borsani.
Eh, sì, perché la storia del design è fatta anche di antagonismi (a volte reali, altre volte supposti o millantati) non menzionati dai manuali, di competizioni e di emulazioni, certamente generate dal contagio delle idee. La Tecno e la Formanova sorgevano su due territori limitrofi in provincia di Milano (oggi di Monza Brianza), a Veredo la più prestigiosa Tecno, a Bovisio-Masciago la Formanova. Entrambe producevano mobili imbottiti e arredi dalla linea essenziale e dal design funzionare, in cui il metallo satinato si coniugava con il legno pregiato e il cuoio faceva a gara con il tessuto tinto nei toni acidi allora molto in voga.
Alla testa della Tecno c’era Osvaldo Borsani, "il signore senza pipa", mentre art director (come si direbbe oggi) di Formanova era Gianni Moscatelli, "il signore con la pipa", era questo infatti il modo in cui io, bambina, solevo allora distinguerli.
Gianni Moscatelli per Formanova
Osvaldo Borsani per Tecno, divano modello D70, 1954
Tra le due aziende, era ovviamente la Tecno a fare scuola, tant’è che ad ogni Salone del Mobile1, che si teneva alla Fiera di Milano in primavera, gli operatori di settore e non solo, andavano a spiarne le novità. Negli Anni Sessanta, infatti, il design e non ancora la moda richiamava a Milano visitatori da tutto il mondo. Vi contribuiva un pochino anche Monza, con la MIA (Mostra Internazionale dell'Arredamento) allestita nella Villa Reale (ahimè), ogni autunno dal 1944 al 1985, e poi (per fortuna) trasferita altrove.
Ciascuna azienda teneva segrete le proprie novità per presentarle solo al Salone, sicuramente con l’intento di stupire la clientela per aggiudicarsene le commesse, ma anche, e soprattutto, per un sano antagonismo con la concorrenza e per il gusto di fare scalpore. Ma la segretezza costava fatica. Ricordo riunioni carbonare nello studio della ditta dei miei, spesso a tarda sera, quando noi bambini eravamo già stati messi a letto dopo Carosello. Il suono delle voci dei convenuti risaliva fino alla nostra camera, spesso erano voci altercanti, altre volte bisbigliate che avevano sempre attorno a sé un’aura di mistero che ci intimoriva e ci affascinava.
Ho visitato lo stabilimento della Tecno, ideato da Osvaldo Borsani, pochi anni dopo la sua realizzazione, avvenuta nel 1962. Vi risuonava un’eco dell’edificio del Bauhaus progettato da Walter Gropius a Dessau, così come ‘bauhausiano’ è lo stile che connota tutta la sua produzione, ma questo lo avrei capito solo molti anni più tardi, quando mi sono iscritta alla Facoltà di Architettura.
In alto: Walter Gropius, edificio del Bauhaus, Dessau, 1925, 1926
In basso: Osvaldo Borsani, stabilimento Tecno, Varedo, 1962
Era raro incontrare il Borsani in fabbrica a Varedo. Sempre in giro per il mondo, era molto più facile incrociarlo a Milano, nel negozio aperto nel 1955 in via Montenapoleone o magari a Colonia, alla Koelnmesse, il salone internazionale del mobile, appuntamento obbligato di tutti i mobilieri della Brianza, che andavano lì per confrontarsi con la concorrenza teutonica e, spesso, per “tirà giò ül mudell” di qualche pezzo da riprodurre in patria, modificato qua e là per non dare a vedere.MARCO FANTONI CON GIUSEPPE UNGARETTI E LEONARDO SINISGALLI. FOTO UGO MULAS
MARCO FANTONI CON GIUSEPPE UNGARETTI E LEONARDO SINISGALLI. FOTO UGO MULAS
Che il Borsani sia stato un uomo colto e molto sensibile all’arte, lo dimostrano le sue frequentazioni e i collaboratori dei quali amava circondarsi a vario titolo: Lucio Fontana, Giandante X e Guido Tallone subito dopo la sua laurea in Architettura, quando frequentava l’ambiente delle Triennali, da poco trasferitesi da Monza a Milano. Poi, nel dopoguerra, gli artisti Agenore Fabbri, Aligi Sassu, Roberto Crippa, Fausto Melotti,Arnaldo Pomodoro, Marcello Nizzoli, Bruno Munari, i Cascella; e fotografi, tra cui Giulio Confalonieri, Guido Ballo, Ugo Mulas e ancora poeti come Giuseppe Ungaretti e il poeta ingegnere Leonardo Sinisgalli, fondatore della rivista “Civiltà delle Macchine”2.
Oggi i pezzi dei due contendenti - uno dei quali inconsapevole, il Borsani - si incontrano ancora nelle aste internazionali di design, ma non vi è ombra di scontro, perché il tempo è galantuomo.
1 Organizzato dal COSMIT (Comitato Organizzatore del Salone del Mobile) a partire dal 1961. L’anno di svolta fu però il 1965, quando la rivista Domus gli dedicò un lungo articolo che lo avvicinò alla cultura del design.
2 Gian Italo Bischi, Liliana Curcio, Pietro Nastasi (a cura di), Civiltà del Miracolo, Università Bocconi Centro Pristem - Egea, Milano 2014, pp. 463
* Maria Luisa Ghianda è storica dell’arte. È figlia di Pierluigi Ghianda, grande ebanista, che ha lavorato per Gae Aulenti, Sottsass, Castiglioni ecc. L’articolo è stato pubblicato sulla rivista on line “Doppiozero” (www.doppiozero.com). Si ringrazia Liliana Curcio per aver segnalato l’articolo e per aver sollecitato le fotografie sinisgalliane.
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