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Leonardo Sinisgalli. Un geniaccio tuttofare tra poesia e scienza. Atti del Convegno di Studi Matera-Montemurro 14-15-16 maggio 1982, Osanna Edizioni, Venosa 2015

un geniaccio tuttofare a cura di Biagio Russo.
Osanna Edizioni, Venosa 2015
FLS, Montemurro
pp.460, euro 25,00

Sinisgalli poeta venne al mondo sotto il patronato di Giuseppe Ungaretti. Ebbi già occasione di narra-re come, la prima volta che incontrai Ungaretti, a Torino nel '34, gli sentissi tessere l'elogio di un solo giovane collega, Leonardo Sinisgalli. La cosa a prima vista più singolare é ; che, nonostante l'amicizia strettissima con Ungaretti, egli stimava Cardarelli il miglior poeta del tempo. Era certo la sprezzatura, la vicinanza alla prosa, l'ambizione di depositare un ritratto di sé come un calco, a operare in questa prefe¬renza. Sul piano della maggior vicinanza, se non della perfezione formale, altri a me vicinissimo avrebbe potuto associarsi all'affermazione di Sinisgalli; e uno stesso giudizio provocai pure un giorno da Alfonso Gatto. Comunque, il patronato era quello di Ungaretti: del secondo Ungaretti barocco e (per citare una sua parola emblematica) «sontuoso» che aveva appena licenziato Sentimento del Tempo e frequentava lo specialissimo, elgrechiano manierismo di Scipione. Ma Sinisgalli non appariva isolato: era l'ultimo arrivante di un gruppo di poeti meridionali erranti per l'Italia, Quasimodo siracusano, Gatto salernitano, più prossimo di tutti De Libero ciociaro di Fondi, con la mente poetica gremita dei luoghi natii, trasposti da un'incessante analogia." Sinisgalli amava parlare, per quelli di sede romana e per i loro sodali pittori (i cosiddetti tonalisti), di «surrealismo» romano: in un certo senso, ad accentuarne le locali amicizie, il loro organo ideale era in fondo il lussuoso Commerce.
[...] In qualche modo anche lui transfuga delle matematiche, Sinisgalli, che aveva sterzato verso l'applicazione dell'ingegneria industriale (leggo che tra i maestri delusi dall'abbandono di Sinisgalli fu anche Enrico Fermi), instaurò una vera e propria bigamia con la musa poetica e con la musa matematica. Quest'ultima rimase per lui non il contenuto d'un'alta specializzazione tecnica, ma una matrice d'invenzione, una enorme riserva euristica.
Di qui la sua indulgenza verso noi nostalgici d'un'aurea strada appena intravista, il fresco persistere del suo entusiasmo (Furor mathematicus, l'itinerario su cui il rigoroso umanista De Robertis si rifiutava di seguirlo), il parallelismo immaginativo tra invenzione poetica e calcolo. Seguitava a vivere giovanilmente lo stupore o anzi la vertigine con cui i matematici dei grandi secoli, dal Seicento in giù, penetravano i mondi numerici da loro stessi costruiti, e metaforizzando l'una con l'altra delle sue muse, si rappresentava la poesia come un a + bj, cioè la somma d'un numero reale e d'un numero immaginario (j, l'unità immaginaria, è la radice quadrata di -1), un'entità «silvestre». La volontà d'introdurre queste immaginazioni nella vita d'ogni giorno è alla radice della sua adesione al design, della sua dominazione, mediante il potere della fantasia, sugli utenti di alcuni fra i più giganteschi complessi produttivi della nostra industria (Pirelli, Olivetti, Eni ecc.). Chi sfogli le annate di «Civiltà delle macchine», la principale delle riviste di cultura industriale da lui fondate e lungamente seguite, si accorge benissimo come a Sinisgalli non importi il contenuto della produzione, ma la sua formalità: che resta stabile nel vorticare inarrestabile delle forme singole, invenzioni fulminee ma contingenti, richiedenti sempre nuove quote di fantasia.
dall'Introduzione di Gianfranco Contini

20 Gennaio 2016

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