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La donna barbuta

Noi conoscemmo molto tardi la storia di Nandina. Ne parlo, oggi, perché la guardia forestale è morta e la vedova è sorda. I genitori di lei non capitavano più in piazza da una ventina d'anni. Il grande bosco di proprietà del nostro Comune, per un debito contratto dal Sindaco d'allora col Municipio di Grumento, fu ceduto in usufrutto per mezzo secolo ai meschini saltafossi del Pantano. Così anche la guardia forestale passò sotto l'amministrazione di quei ranocchi e dovette farsi costruire una passerella sopra l'Agri perché il passaggio sul ponte non gli fu consentito dalla Giunta del nostro paese. Nandina era nata nel bosco di Vallerano e il suo nome è segnato sul registro battesimale della Chiesa di Sant'Antonio. Furono i pescatori di trote Fanuele e Marra, fornai di Montemurro, a portare le prime mirabolanti notizie nelle case del rione della Valle. Il piccolo Fanuele ne parlò a scuola con noi: " Nandina", ci disse "la figlia del guardaboschi ha la barba sul mento". La pesca nel fiume con le bombe era proibita, ma i due fornai l'avevano sempre passata liscia. Entravano di sera nelle nostre case col canestro di trote e fu allora che il piccolo Fanuele cominciò a dirmi che sua sorella usava ungersi i capelli col grasso dei pesci. Sua sorella aveva veramente le trecce più belle di tutta la tribù.

"Gliele abbiamo misurate" mi disse un giorno; "arrivano sotto i piedi!" Le contese tra i ragazzi sulle virtù delle sorelle, delle zie, delle mamme duravano intere stagioni. Per noi il termine di paragone era soltanto la ricchezza delle criniere. Non so se questo sia da intendersi come un vizio barbarico. "Una testa senza una grande capigliatura non è una testa, è una zucca."

Pettinatrici ce n'erano per ogni rione. Manipolavano con grassi animali le trecce delle ragazze. Un anno persino i serpi furono pagati a caro prezzo: un grosso affare per i fornai che si videro di ritorno dalla Serra senza i monumentali fasci di ginestre, ma con curiosi trofei di rettili sulle spalle. Un vecchio ameno, Paolo Nicola De Masi, mise riparo a quelle follie. Ad alta voce, davanti al circolo, mentre sfilava la processione per la strada, pronunciò la frase sacramentale: "Faranno tutte la fine di Nandina".

I giovani dei vicini paesi, da Viggiano, da Spinoso, da Armento e da Moliterno, venivano per San Giorgio, che è la prima fiera dell'anno, a portare le vacche e i buoi infiocchettati a Montemurro. Spingevano con la mazza puntuta le scrofe con 14 mammelle e i minuscoli porcellini. In verità cercavano una ragazza da sposare.

Le nostre donne godevano una grande reputazione in tutta la Valle dell'Agri, accresciuta dal fascino leggendario del loro superbo cuoio capelluto. Ecco perché appena si sentiva, lungo i vicoli, un passo forestiero, le fanciulle si sporgevano alla finestra e con la più grande naturalezza del mondo scioglievano al sole le chiome lucenti. Cominciavano a passare il pettine dal di sotto e i capelli scintillavano al contatto di quei denti di osso, di quelle dita dolci. Ma la sventura toccata a Nandina, la figlia della guardia forestale, fece subito il giro delle chiese del mandamento. Dissuase i maschi dai loro propositi. Servì alle donne di Viggiano, di Spinoso, di Armento a rivalutare le loro zucche, i loro spinaci.

"Le donne di Montemurro sono state punite nella loro vanità. Faranno la fine di Nandina." Noi ragazzi non riuscimmo mai a figurarci il volto di quella bellissima ninfa nata tra le piante di querce e di castagno del grande bosco di Vallerano. Il piccolo Fanuele asseriva che Nandina, a detta del padre, aveva una barbetta nera come quella delle capre. Altri invece parlavano di una peluria crespa che le copriva le guance.

E altri ancora di un semplice ciuffo lunghissimo spuntato intorno alla fossetta del mento. Ma, quando il taglio della legna e la raccolta dei funghi nel bosco furono ceduti al demanio di Grumento, il mito della ragazza barbuta era già cancellato. Non se ne volle parlare più, perché nei paesi limitrofi correva già come una diceria a danno delle nostre sorelle.

Ed è veramente strano il fatto: da quell'epoca non solo io non ho più sentito pronunziare il nome della figlia della guardia forestale, ma anche quella straordinaria tradizione di cui andavano superbe le nostre donne si è spenta nel giro di pochi anni. Io penso qualche volta che davvero qualche diavoleria ci deve essere stata. In tutte le case del mio paese, se riuscite a guadagnare la fiducia delle famiglie, a una vostra richiesta fatta con la religione che merita, vi mostreranno dentro una scatola di latta, conservati gelosamente, due o tre lunghissimi torciglioni di capelli. Avrete l'impressione di trovarvi davanti a dei serpenti in letargo, o a dei serpenti morti. Perché al contatto dell'aria e della luce quella materia arida e filiforme si avviva all'improvviso. Ha dei leggeri tremiti elettrici, delle lentissime contorsioni e perfino delle scariche. Lo sanno gli incettatoti di capelli che verso l'autunno si annunziano con la loro soave cantilena: "Capelli vivi capelli morti, capelli dritti capelli storti, capelli rossi capelli neri, capelli lunghi capelli corti... ". Vengono da Napoli e offrono in cambio "aghi spille matasse rocchetti". Una volta riuscivano a riempire dei sacchi.

(1946)

09 Dicembre 2011

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