Il ragazzo che dorme in me
XXVIII
Io cercavo il ragazzo che veniva a dormire dentro l'ombra delle foglie. Egli non si è mosso mai di qui, non se n'è mai allontanato: quale ansia avrebbe potuto distoglierlo dal suo amore per questo limpido cielo, per queste stanze così partecipi della sua svogliatezza? Io ricordo ch'egli era felice. Oggi, non mi fa spavento la certezza che egli aveva della sua felicità, se riusciva a resistere giorni interi in un continuo stato di estasi, insensibile a tutti i richiami che potessero allontanarlo dalla stretta cittadella in cui s'era chiuso. Di quell'epoca ci ha lasciato una memoria assai labile. A sfogliare i suoi quaderni, a leggere i suoi versi non si riesce assolutamente a capire qualcosa che non sia la sua stessa presenza in ogni cosa. Non si trova alcuna ragione della sua felicità. Ci ha detto che ha toccato il cielo, che si è specchiato nelle foglie, che ha sentito distintamente il grido della luce, che è arrivato in cima alla collina delle Muse; ma egli stesso, involontariamente, ha cancellato ogni traccia. (O la verità che sapeva di toccare con la mano è per sua natura irreversibile?)
Certo gli anni mi hanno portato sempre più lontano da lui; e qualunque mia domanda rivolta a lui resta oggi disperatamente senza risposta. I suoi scritti si sono rimarginati, si sono fatti impenetrabili al mio occhio. Io non ci posso più leggere dentro. Sono diventati talmente palesi che a guardarli intensamente non rivelano più che la immagine di questo momento, la mia. La presenza del ragazzo non è più che un suono dentro la vecchia casa, non è che questo incessante moto delle foglie, dell'ombra delle foglie sulla mia faccia. Veramente egli si è allontanato per sempre da me, senza lasciare una parola che, appena pronunciata, potesse aprirmi la porta dove egli è scomparso. Io non gli avrei domandato niente altro che il segreto della sua felicità, la felicità che non gli si è mai negata tutte le volte che l'ha voluta, la felicità di esprimersi o semplicemente di esistere che lo faceva crepare di ebbrezza, come crepa l'ape nel miele. Forse non avrebbe potuto rispondermi nulla, forse partecipava naturalmente a un mistero che nessuno mai ha saputo rivelare. Solo la nostra amara rimembranza ci può illudere qualche volta di poter vivere un attimo a imitazione di quella che fu la nostra vita. Non ci resta che assistere alla fine di ogni illusione con una sola speranza ormai, vederle sparire a una a una nel loro più bel momento, aspettare l'ora prescritta in cui si fermerà il girasole.
Camminare col terrore di un rischio perpetuo, soffrire di ogni emozione, di ogni mutamento di aria, di ogni voce, col palpito di tutto il corpo. Sentirsi il cuore grosso nella gola, nel petto, nel ventre, come quella lucertola che è lì, al confine dell'ombra dove il ragazzo veniva a dormire.
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