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Il passero e il lebbroso

La memoria è stanca, la stessa poesia sgorga con difficoltà. Il furor di un tempo non c'è più. Resta la tecnica, una splendida tecnica, che lo sorregge ("La carta rifiuta le bubbole"). Nel volume si accentua lo stile epigrafico. In pochi versi, ritaglia sapidi quadretti, "delicati frammenti colti nella realtà o dentro di sé", in cui qualche volta affiorano fantasmi del passato: di sé, della madre, di qualche amico che non c'è più.
Sono materiali poveri che raccoglie sulla pagina, in una poesia lineare, semplice, quasi prosa ("Memoria"). È una poesia che registra, che enumera (Ho escluso dai miei fogli la passione / Voglio solo guardare / guardare come un deficiente" - Le finestre di via Rubens).

Autobiografia quinta
Crebbe per terra carponi
sulla creta e sulla cacca.
Si affilò il becco
tra gli interstizi dei mattoni.
Soffriva di emicranie e di dissenterie,
avido di romanzi, allergico alle poesie.
Divorava a puntate La mano
del defunto. Dal soffitto d'inverno
cadeva a gocce l'unto delle vesciche.

Ex-voto
I vecchi non sanno a chi parlare
dei figli lontani,
si sfogano coi poveri
che vanno e vengono per casa.
Mia nonna consegna ogni domenica
una puparella di pane
a ciascuna delle sue fide mendiche.
Nomina Caietano
Iacinto Romualdo Peppe
Antonio: li vede sempre in pericolo
tra i coccodrilli del Maddalena.
Le visitatrici si portano via le sue lacrime
e una fetta di lardo.

In memoria
L'uccellino a tre ali
cardillo o canario
fischia sulla ringhiera:
tu ridi cogli occhi sfocati
e i dentini laschi
Vincenzino scellato
nel mio cuore che non ti ha sotterrato.

I vezzi dei fanciulli
Qualcuno si rovescia le palpebre
per darsi importanza,
riesce a far centro con uno schioppetto
caricato di stoppa e di saliva.
Mira a distanza in un occhio
e colpisce. Porta in tasca
un peperoncino, ne stacca
la punta coi denti, la sputa
fulmineo non visto
in faccia alla gente.

La memoria stanca
Busso alla mia memoria,
non apre.
Mi tocca ripassare.
Mi metto a divagare.
Infilo finalmente otto lettere,
Escurial.
Ma ho dovuto attraversare
un sonetto di Nerval
per avere via libera.

Pasqua ai giardini
Ti siedi intorno al lago
al mattino presago
del tuo declino.
Giri a vuoto nei viali,
ti appoggi alla palizzata,
cerchi requie sul prato.
La Bellezza è invecchiata,
l'hai riconosciuta e abbracciata.
Anche se la spuma la polvere
il polline non bastano
a farti credere a una resurrezione.
Tanta libertà gratuita ti fa vergogna.
Cammini sulla ghiaia e incespichi,
sull'erba scivoli come il povero
sui tappeti. Rifiuti quest'oro
che non sai spendere.
Meglio un pugno di lupini
che una moneta in un giardino
dove tutto il tesoro non si vende.
Sei qui per nasconderti,
non vieni per ispirarti.
Hai la commiserazione
dei giardinieri e dei soldati.
Il sole affratella i malati.
Un piccolo lago in città
è come la neve conservata
dentro un sacco. Gli alberi
chiari sempre più leggeri.
Le parole non vengono sulle labbra,
solo un alfabeto da carcerati
parlato con le dita.
Tu ti penti di aver perduto
la vita per dovere.
Puoi trascorrere ore e ore
a guardare le foglie nuove.
Il mondo è lontano di là.

Memoria
Gli utensili bruciati le croste
di fumo delle padelle
dei treppiedi la foglia fritta
i peperoni le budella
il tegamino per un uovo
le cuccume le molle
per i tizzoni.

Tecnica
La carta rifiuta le bubbole
gli sfoghi i puntigli
le poesie scritte a mente
scritte in sogno scritte
a cavallo.

La macchina inutile
Per guardare da vicino
la pioggia fitta cadere
mi sono alzato a mattutino.
Ho raccolto i miei pensieri,
mi sono chiuso nei miei panni.
La pioggia torna da tanti anni
e il vento e le tempeste.
Ho spalancato le finestre e la furia
ha sconvolto le cicche, ha spezzato
il filo della macchina appesa.
Non ho mai fatto progetti da bambino
per legare la pioggia al mio destino.
Non ho sporcato la pagina
con le lacrime delle cose.
Se un gemito è entrato di riflesso
è il suono di uno spino
tra le fiamme, un dialogo
tra gli insetti.

09 Dicembre 2011

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