Sito ufficiale della Fondazione "Leonardo Sinisgalli"

Sinisgalli disegnatore

di Giuseppe Appella

Tratto da Leonardo Sinisgalli. Una galleria di ritratti. 70 disegni (a cura di Giuseppe Tortora), Associazione culturale L'albero di Porfirio, Napoli 1993. Lo stesso brano è incluso nel volume di saggi e testimonianze su Sinisgalli, curato da Giuseppe Tortora e intitolato Le vespe d'oro, Avagliano, Cava 1996.

Alcuni giorni prima della morte di Sinisgalli, avevo curato un piccolo portfolio contenente cinque cartoline a colori da suoi disegni e una succosa pagina sul Piacere del disegno già uscita sul "Mattino" qualche anno fa. Distribuendo agli amici la pubblicazione non mancò qualche ironico sorrisetto e la battuta, tante volte udita in queste occasioni: ancora un poeta che disegna.

Anche la gente colta, non solo in Italia, diffida dello scrittore o del poeta che disegna o dipinge. Preferisce classificarlo come lo ha conosciuto fino a quel momento, senza affrontare il problema dei rapporti letteratura-pittura o ridiscutere sull'unità delle arti che nei tempi passati non stupiva affatto. L'artista poteva esprimersi come meglio sentiva, senza doversi a tutti i costi mettere sotto una bandiera.

Nessuno ignora che Dante disegnò il profilo di Beatrice, che Leonardo usò penna e matita, che Victor Hugo era anche un buon pittore, e neppure ignoti sono i ritratti di Schönberg, l'opera di Strindberg, i disegni di Kafka e di De Musset, di Garcia Lorca e di Jean Cocteau, di Henri Michaux e di Raymond Queneau, di Puskin e di Gogol, di Laforgue e di Valéry, di Henry Miller, di Montale e di Carrieri, di Pasolini, di Luzi e di Gatto, di Zavattini, di Patti e di Petroni, di Bodini e di Belli, di Buzzati, di Joppolo e di Mezio, di Comisso e di Bernari, di Rodàri.

Forse che le opere d'arte di Bartolini, de Pisis, Levi, Savinio, Soffici, Carrà, Rosai, Maccari, Longanesi, sono da meno dei loro testi letterari?

Bisogna considerarli solo pittori? solo scrittori? o le due cose convivono perfettamente insieme? Con un opportuno gioco di scambi, l'una aiuta a capire meglio l'altra.

Sinisgalli si chiede: quale è lo scopo dell'arte? Risponde: trasformare una suppellettile in un idolo, una frase in un messaggio, una realtà frusta in un sentimento, Un disegno, come un verso, suggeriscono più di ogni altra nostra operazione l'idea di un lavoro ad libitum, ad infinitum. Essi provano l'intimità, la confidenza, che ognuno di noi offre a se stesso, ci dicono la frequenza con cui noi ci riconosciamo, dichiarano uno stato di grazia.

Henry Miller chiarisce: "Dipingere significa amare di nuovo, Soltanto quando si guarda con gli occhi dell'amore si vede quel che il pittore vede".

E Zavattini, convinto: "In mezzo al foglio smagliante, l'ombra della matita pronta a scrivere la nuova dolcezza verso ciò che esiste".

Carletto Bernari, sicuro: "Scrivere è descrivere, Descrivere è designare, designare è disegnare".

Conclude Michaux: "Lignes et coleurs: voilà les moyeurs primitifs, purs et directs, de l'expression".

Allora, è vero o non è vero che "i disegni dei letterati sono letteratura, interessano come una parte del lavoro letterario?".

Il primo a ridere dell'interrogativo e a scrollare le spalle è proprio Sinisgalli. Perché salta fuori il solito spartiacque tra letteratura e pittura che in lui coincidono sempre.

Tutto l'impasto della cultura di Sinisgalli tende all'arte, ad una organizzazione tipica dell'arte. La stessa collezione di quadri è il premio all'unico suo vero amore: la pittura.

Ecco i titoli delle sue pubblicazioni, con disegni e incisioni, Sono cinquanta anni di impegno sviluppato anche nella ricerca di quei libri d'arte che unissero indissolubilmente poesia, disegno e tipografia: Ritratti di macchine, Edizioni di Via Letizia, Milano 1935; Le finestre di Via Rubens, Bucciarelli, Ancona 1962; I miei inchiostri, Galleria Apollinaire, Milano 1962; Vanterie dell'arrotino, Le Noci, Milano 1962; Il tempietto, Pesaro 1972; Fiumi come specchi, Sacile 1973; Lavagne, Pesaro 1974; Dimenticatoio, Matera 1978; Come un ladro, Bernalda 1979; Imitazioni, Roma 1980.

Non bisogna dimenticare i due cortometraggi: La lezione di geometria del '48 e Il Millesimo di millimetro del '50 e neppure tralasciare l'impegno nella pubblicità.

È del 1954 Pittori che scrivono (Edizioni La meridiana), un'antologia di scritti e disegni che annovera, tra gli altri, Bartolini, Birolli, Campigli, Capogrossi, Carrà, Casorati, Consagra, Cremona, De Chirico, De Pisis, Donghi, Fontana, Gentilini, Guttuso, Levi, Maccari, Mafai, Messina, Morandi, Pirandello, Scialoja, Sironi, Turcato, Viviani. Un modo per dissimularsi e nascondersi, scomparire e salvarsi nell'opera d'arte, intrecciando, variando, dissolvendo e di nuovo riunendo idee e immagini. Infatti, i fantasmi, i ricordi, gli aneddoti che forse non avrebbero mai visto la luce il pittore riesce a scriverli, lo scrittore a disegnarli. È stato scritto e disegnato quello che tante volte fu raccontato per strada o in tram.

Per Sinisgalli "il disegno è stato un'espressione naturale, quando io e la poesia abbiamo litigato in modo più violento del solito. Forse è anche una questione di gelosia: la poesia pretende l'amore assoluto, è soffocante. Il disegno no, è confortante, amico, ti aiuta quando ne hai bisogno e non ti chiede nulla in cambio". E ancora: "Come ingegnere ho avuto amore per il segno, e la mano abituata e pronta; e poi, occupandomi di pubblicità e frequentando i pittori, ho assorbito tutto, ho capito tutto".

Sembra tutto spiegato. Ma c'è, in verità, anche la voglia di comprendere certi meccanismi strutturali del segno, l'alto valore dello scarabocchio; di verificare le intuizioni immediate, di afferrare il balenìo continuo di visibile e invisibile, di riprovare l'estrema libertà di movimento nella profonda unità tra poesia e disegno; disegno della poesia, poesia del disegno. Nulla più del disegno lo aiuta ad esercitare la memoria, ad affilare la sottile lama dell'ironia, a meditare sull'essenza dello Zero, a rivoltare i simulacri, a sottolineare la visività della sua poesia, il primo piano che sfuma nel particolare, il particolare che si ingigantisce nel primo piano e le concentrazioni allusive, il segno filastrocca privo di qualsiasi apparato scenografico, teso a rendere l'immagine nitida e visionaria conservando il reticolo dei nessi. Dove questi scompaiono ecco la parola che indica, suggerisce, chiarifica, definisce formalmente.

L'antico amore per il disegno traspare anche in "Civiltà delle macchine" che opta per il segno e il colore a scapito della foto. Disegni a penna, schizzi su foglietti incollati sopra il fondo, disegni di uccelli dalla raccolta del Comandante Giacomelli (l'interprete più acuto degli studi leonardeschi sul volo), di architetture supersoniche, di trattori, di calanchi, di teorie dei giochi, di macchine utensili, di case del futuro, di macchine comiche, di fornaci, di ferri e di legni, di lucerne - lanterne - oliere, di manufatti arcaici, di poesie figurate, di navi mitiche, di fanta-tecnica, di città nate in mezzo agli alberi e alle acque, di città a girasole, di bolle di sapone, alveari e epidermide sono in ogni pagina della rivista.

La fulmineità dell'atto creativo, la "registrazione di tutta l'immensa vita dell'universo in sussulto" (Furor Mathematicus 1944), Sinisgalli l'affida alla poesia ("Sarò una linea sulle tue lastre") e al disegno, Il disegno è il "compagno fidato", un libro da riempire per diletto e per noia, per consolazione, è il "gioco del Paradiso" di cui parla Giani in un libretto degli anni '40, che rende fervida la gara con la poesia, riscrive un'autobiografia reale e immaginaria (Fiori pari fiori dispari del '45, Belliboschi del '49, due gioielli di prosa, sono stati riscritti disegnandoli), fa più stretti i legami con il paese, recupera gli affetti smarriti, i Parenti illustri che de Libero elenca in un cataloghino del 1962, soppesa cilindri rotelle e macchine, rende omaggio a Picasso e a Dubuffer, a Scipione e a Boccioni, ai giapponesi e a Bacon, a Giorgia e a Filippo, agli alberi, alle nuvole, agli uccelli.

Il disegno, sempre all'insegna di innocenza, disciplina e regola, viene in aiuto per rinverdire le immagini del mondo ("la quotidiana scoperta degli oggetti, degli ambienti, delle strade che fanno il suo dominio", scriverà Sereni nel 1940), per richiamarle a nuova vita. Si passa, così, dalla illuminazione fredda e geometrica dei primi anni alla disarticolazione incantata delle materie, alla rilettura di tutti i capitoli della storia dell'arte, delle avanguardie storiche e delle neo-avanguardie (cfr. le carte assorbenti, le poesie manoscritte), all'ironia su fatti e personaggi della cultura.

Più la poesia è un inno "al vuoto, al nulla a cui riducono la vita e le cose sempre più in fretta" e i testi si fanno "brevi, secchi, scarni, disseccati", più il disegno diventa itinerario esemplare del momento poetico. Con un continuo richiamo alla classicità, alle sue radici più antiche e profonde, La classicità diventa lo specchio del segno, il filtro dell'immagine, mantenendo intatta la capacità di osservare, di meravigliarsi, di scoprire e riscoprire nelle antiche cose nuovi aspetti.

Il disegno, come la poesia, non è un mestiere e neppure una mania ma sempre e solo un flusso d'amore, Dà sostegno a un modo di narrare che ricorda i puzzles, i rebus, gli scarabocchi dei bambini, le stampe orientali, le scritture non alfabetiche. Il disegno, e la poesia, trovano un buon lievito nel disordine e nella disperazione, " Se potessi ridurre tutto il mio lavoro al movimento di una mano! Se potessi riprendere alla cieca il mio ininterrotto 'infinito'". Ecco, allora, sulla stessa pagina, convivere la parola elevata e logica con il disegno illetterato e zampillante, in contagi da mozzare il fiato, ma senza cadere nell'ovvio, sempre pronto a cogliere il passaggio della Grazia, per trovare la verità. "La verità come le streghe fugge via a colpi di scopa. Per trovarla bisogna stare quasi immobili". Dire e disegnare è più necessario che vivere.

29 Gennaio 2012

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