Sito ufficiale della Fondazione "Leonardo Sinisgalli"

Il "civile" Sinisgalli

La rivista "Civiltà delle macchine" è entrata nella storia della letteratura italiana del Novecento

Giuseppe Tedeschi

Il Giorno 26 novembre 1989

IL PRIMO numero della rivista Civiltà delle macchine uscì nel gennaio del 1953. La redazione era a Roma in Piazza del Popolo 18. Il formato era di cm 25 per cm 33. Le pagine, oltre le copertine, erano 80. Il prezzo, allineato a destra sulla testata, era di lire 400 (sì, quattrocento: mentre oggi alcuni numeri se li contengono gli antiquari a prezzi incredibili). La testata, Civiltà delle macchine, era composta, su una sola riga, in carattere Bodoni tutto maiuscolo. Sotto la testata, al centro, le date e, allineate a destra e a sinistra, le indicazioni della periodicità e della spedizione.

Tutto il resto della copertina era occupato dal famoso (e fantastico) disegno di Leonardo da Vinci Il volo degli uccelli. Disegno che, stampato al vivo, smarginava sul dorso e occupava anche tutta la quarta di copertina (meno una fascia verticale con le indicazioni delle aziende collegate alla Finmeccanica, editrice della rivista).

Nessuno sapeva, allora, (che, a partire da quel primo nunero, era nata una rivista-simbolo, una rivista che sarebbe entrata nella storia e avrebbe fatto storia, creando una catena ininterrotta di nuove locuzioni e di nuovi rapporti tra giornalismo, cultura, arte, scienze, tecnica.

A inventare tale rivista, e a volerla con tali copertine e così impaginata e così stampata dalla IIte di Torino, fu Leonardo Sinisgalli. Nel gennaio del 1953 Sinisgalli, compiendo i quarantacinque anni (li avrebbe compiuti il 9 marzo), si avviava, così, a realizzare uno dei maggiori exploit della sua vita e una delle migliori imprese giornalistico-editoriali di questo nostro cinquantennio.

Egli era già famoso. Era già il poeta-ingegnere, il poeta-matematico, il poeta-critico, il poeta-giornalista il poeta-scienziato che in ogni settore lasciava impronte inconfondibili. Aveva già pubblicato tanti libri di versi. Aveva già pubblicato il Furor Mathematicus. Aveva già inventato la nuova pubblicità alla Olivetti (è suo il famoso manifesto della portatile Olivetti con accanto la rosa nel calamaio). Aveva già diretto riviste aziendali per la Linoleum e la Pirelli. Aveva già organizzato grandiose fiere e mostre pubblicitarie, grafiche, tecniche in tante città. Aveva già fatto i documentari Lezione di geometria e Un millesimo di millimetro premiati al festival cinematografico di Venezia.

Per tutti questi motivi Giuseppe Luraghi, divenuto direttore generale della Finmeccanica, lo volle al suo fianco per fare una rivista aziendale tutta nuova, diversa, dalle commistioni più azzardate. Del resto, Sinisgalli aveva già scritto, a proposito della mostra Le macchine del museo, brani esemplari.

"Dire che abbiamo aspettato tanti anni questo giorno può sembrare un'esagerazione o una provocazione. Ma è senza dubbio un incontro memorabile che si vuole celebrare: le Macchine entrano per la prima volta in una Galleria d'arte accanto a pitture e sculture, vis-à-vis, finalmente, non dietro gli angolini come gli estintori alla mostra di Picasso, non appese al soffitto come i ventilatori alla mostra di Van Gogh, e neppure in latrina a svuotare i vasi. Non sono state portate qui a un concorso di bellezza o a una fiera campionaria, per essere premiate o per essere vendute. Sono offerte alla nostra riflessione... ".

"La gente conosce poco di ogni cosa, poca vita, poca arte. Non c'è da meravigliarsi se anche la cultura ha accantonato le macchine. Perché è superfluo ripetere la solita storia: i cinesi, i greci, gli alessandrini, i romani, goti, ecc. non trascurarono affatto i giochi. i congegni. gli automi. Così come non li ha mai trascurati il popolo, la piccola gente contadina, vignaiola, artigiana. E' sorprendente constatare quanto sia profondo l'abisso d'ignoranza dei dottori e come sia difficile trovarne uno capace di capire ed amare un bullone o un catenaccio".

"Ma qui si voleva sottolineare un fatto più grosso: si voleva documentare una consanguineità, una parentela grafica, plastica, viscerale fra le creazioni disinteressate degli artisti e le utili invenzioni degli ingegneri. Non voglio andare per le lunghe. Le viscere del radar, lo scheletro della centrifuga, la mandibola dell'utensile, l'uovo del reattore, l'arteria telefonica, l'albero a gomito possono stare benissimo nello stesso tempio che accoglie Arp o Brancusi o Consagra o Kandinsky o Klee o Prampolini. E non c'è da spaventarsi se le nostre chimere faticheranno ancora un poco per acclimatarsi con questi freddi ordigni".

Numero dopo numero Civiltà delle macchine si rivela, così, l'esaltazione e la decantazione di tali concetti, ma sempre commisti e accoppiati alle ricerche tecniche, alle scoperte scientifiche, alle intuizioni culturali più complesse. Con il numero del maggio 1954 la rivista si sposta da piazza del Popolo a via Torino 44 (in questa sede cominciano le mie prime e mai dimenticate collaborazioni a Civiltà delle macchine, anche se la primogenitura, del febbraio 1953, spetta sempre e soltanto al Giovedì di Vigorelli).

Furono mesi e anni incredibili, splendidi, indimenticati: a centellinare una rivista che a ogni pagina offriva sorprese e sugli argomenti più diversi da parte di personalità scelte in tutti i campi della conoscenza: poeti come Ungaretti, De Libero, Solmi, Caproni, Gatto, Villa, Parrella e Rafael Alberti; matematici e scienziati come Somenzi, Wiener, Vaccarino, Ceccato, Pannaria, Cuzzer, critici d'arte come Argan, Crispolti, Maldonado, Carrieri; letterati come Fortini, Bo, Pampaloni, Comisso, Moravia, Gadda, Buzzati; artisti come Burri, Mafai, Consagra, Fontana, Canoprossi, Scialoja, Turcato, Perilli, Vedova, Colla, Pomodoro; architetti come Portoghesi, Candela, Neutra, Oud; filosofi come Paci, Assunto, Dorfles; giornalisti come Tofanelli, Ansaldo, Stefanile, Vegliani, De Franciscis; economisti come Carli, Saraceno, Ezio Vanoni; imprenditori come Leopoldo Pirelli e lo stesso Giuseppe Luraghi. Un insieme strepitoso di nomi: unico, forse irripetibile.

A tali nomi (ma l'elenco completo sarebbe stato ancora più lungo) corrisponde, ovviamente, una altrettanto vastissima gamma di argomenti. Ne cito alcuni: aerospazio, agricoltura, architettura e urbanistica, arte, automobile, cibernetica, design, economia, energia, fabbrica, filosofia della tecnica, fisica e matematica, industria, macchine, navi, pubblicità e, naturalmente, la letteratura e la poesia (ricordo perfettamente per esempio che all'uscita di Onore del vero di Mario Luzi, Sinisgalli mi spedì subito a Firenze per intervistare, tra i primi, il poeta: che pure non era tra i suoi più amati).

Tutto ciò è, ora, documentato in buona parte, e attraverso una attenta scelta, nel bellissimo volume intitolato Civiltà delle macchine / Antologia di una rivista. 1953-1957. Curato da Vanni Scheiwiller per la sua collana dedicata alle Antologie delle riviste (caro Vanni, perché non curiamo tu e io anche le antologie di L'Europa letteraria e di Il dramma fatte a Roma da quell'altro terribile genio della cultura di questo cinquantennio che si chiama Giancarlo Vigorelli? E' un'idea?) questo volume meriterebbe troppi elogi.

Non mi ci ingolferò, limitandomi alla elencazione dei soli dati bibliografici. Essi, alla fine, saranno più eloquenti di ogni elogio. Il formato del volume è lo stesso della rivista (cm. 25x33). Anche il Bodoni tutto alto del titolo è lo stesso. Le pagine complessive sono 532 e le illustrazioni sono 57 a colori e 334 in bianco-nero. La rilegatura è in un robusto cartone telato, mentre la sovraccoperta, pur con una splendida "griglia" colorata di Capogrossi, non è in sintonia con la semplice ma concatenata grafica sinisgalliana (ci faceva impazzire con la teoria degli "allineamenti concatenati e allusivi...").

Il volume si avvale, inoltre, di una breve ma documentatissima prefazione di Giuseppe Glisenti; di una introduzione pertinente e dottissima di Gillo Dorfles; di una dettagliata cronistoria di tutti i rapporti Sinisgalli-industria scritta da Vanni Scheiwiller (il degno figlio di quel Giovanni Scheiwiller che pubblicò nel 1936 il primo libro poetico sinisgalliano). Dice difatti (e giustamente, a mio parere) Vanni Scheiwiìler che Civiltà delle macchine "fu anche la risposta, un tentativo di risposta, alla provocazione di Elio Vittorini sull Politecnico: "Occuparsi del pane e del lavoro, è ancora occuparsi dell'anima. Mentre non volere occuparsi che dell'anima lasciando a Cesare di occuparsi come gli fa comodo del pane e del lavoro, è limitarsi ad avere una funzione intellettuale e dar modo a Cesare (o a Donegani, a Pirelli, a Valletta) di avere una funzione di dominio sull'anima dell'uomo"" (La nuova cultura, 29 settembre 1945).

Elio Vittorini con Il Politecnico, dapprima settimanale (settembre 1945-aprile 1946) e poi mensile (maggio 1946-dicembre 1947), intendeva realizzare un'opera di divulgazione culturale popolare e immediata. Al tempo stesso il settimanale si proponeva di "portare la cultura a interessarsi di tutti i concreti problemi sociali, in modo da giovare all'opera di rigenerazione della socità italiana" (dalla lettera circolare inviata ai possibili futuri collaboratori e lettori). Da notare anche tra i collaboratori del Politecnico alcuni nomi presenti poi in Civiltà delle macchina: Argan; Caproni, Ferrata, Fortini, Gatto, Sinisgalli e altri. Era stato, inoltre, Franco Fortini a scrivere sul n. 17 del 19 gennaio 1946: "Per noi cultura è sinonimo di civiltà, la disputa guadagna ad allargarsi e civiltà e per noi l'insieme dei modi nei quali, in un tempo e in un luogo, gli uomini producono". In seguito, grazie a Sinisgalli e alle sue riviste, "Cesare" tentò dunque di occuparsi non solo del pane e del lavoro ma anche dell'"anima".

Il 1957 è, comunque, l'anno dei primi disamori, poi dei distacchi, infine della rottura tra Sinisgalli e Civiltà delle macchine. A lui, che non sopportava il pur minimo mutamento nelle strutture che lo interessavano, capita, invece, il nuovo assetto aziendale del Gruppo Iri con Luraghi che cambia dirigenza e con Civiltà delle macchine che cambia "mecenate".

Ricordo benissimo, difatti; che proprio nell'estate del '57, dopo aver fatto su di lui, per La fiera letteraria, un servizio da Monternurro (il suo paese lucano di nascita) mi preannuncia la fine della rivista, anche se insieme con altri progetti. In effetti, con l'autunno-inverno del '57, esce l'unico numero doppio (anzi quadruplo) di Civiltà delle macchine. Quello datato: settembre-novembre 1957. E' la fine di Civiltà delle macchine della gestione sinisgalliana.

Ma lui (il grande, il furbo, il capace) si era già assicurato, voluto da Enrico Mattei, la dirigenza dei servizi pubblicità e propaganda delle aziende del Gruppo Eni. Come dire che finiva un trionfo e ne iniziava un altro. Essendo stato io stesso partecipe diretto (ero il redattore pubblicitario) del trionfo sinisgalliano all'Eni di Mattei, non ne elencherò qui le tante benemerenze. Posso dire, però, e per conoscenza diretta (e irrefutabile) che Mattei chiamava quasi quotidianamente Sinisgalli per studiare sempre nuove strategie propagandistiche capaci di dare all'Agip e alle altre aziende operative del Gruppo la supremazia su altre aziende petrolifere in Italia.

Mattei, da pragmatico e da figlio di artigiani e contadini marchigiani, sentiva che Sinisgalli, figlio di artigiani e di vignaioli lucani, era in sintonia con lui. Io, che di questo rapporto sono stato testimone diretto, dagli inizi del '58 al giorno dell'assassinio di Mattei nel 1962, posso testimoniare che è la sacrosanta verità. Ma ciò fa parte di un capitolo che non riguarda Civiltà delle macchine e l'Antologia scheiwilleriana che l'ha documentata.

29 Gennaio 2012

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