Sinisgalli prosatore

Importante edizione di due volumi a cura di Renato Aymone per le edizioni Avagliano

Sinisgalli prosatore

Un ricco apparato di note rinvia ad altre prose e versi

Franco Vitelli

Basilicata, 3 aprile 1994

È tempo di un ritorno a Sinisgalli, cresce nella distanza il contorno della sua figura, implicata in risvolti che per vitale contraddizione si trovano ad esprimere il pieno della storicità vissuta e la forza sacrale dell'anticipazione, che sempre pone il vero artista un po' fuori contesto; un destino di voce per la posterità che ne garantisce la costante fruizione di "classico della contemporaneità". E classico Sinisgalli è stato per la poliedricità del suo ingegno che racchiude ad unità le istanze diverse di questo secolo ormai in declino di stagione e per il quale bisogna cominciare ad abbozzare un consuntivo.

Sempre più stretta mi torna la prioritaria attenzione al poeta, per giunta fissato nel limite della fase ermetica, e, si badi, ciò non deve suonare come giudizio di valore proprio quando, superato il gioco delle contrapposizioni militanti nel fervore del dopoguerra, si è ora disponibili al discorso pacato delle ragioni della storia.

Non voglio far mio il rilievo di Muscetta che attribuiva alla poesia di Sinisgalli un deficit di realismo in quanto espressione appartata di chi nell'esilio dei Parioli non sa "dove il tempo va o viene"; astrazione di contesto che gli faceva preferire il "discepolo" Scotellaro, il quale almeno aveva capito che "non erano più tempi quieti per 'cacciatori indifferenti' di occasioni figurative e eleganti montaggi". Si tratta solo di guardare ad una totalità di rappresentazione che la parabola sinisgalliana suggerisce più complessa di quel che si pensi.

Una registrazione di tiro, dunque, ed un superamento della posizione critica che vede la prosa in funzione ancillare rispetto alla poesia e come suo segreto nutrimento. Le qualità del Sinisgalli prosatore sono ancora da portare in luce nelle loro reali dimensioni, le diverse tipologie ancora da individuare soprattutto per mancanza di un indispensabile censimento delle fonti.

Nell'azzardo di un giudizio che può apparire estemporaneo, ma in realtà fa conto su una diffusa consuetudine, Sinisgalli a me appare tra i prosatori più originali del Novecento, soprattutto per quel registro espressivo innervato sull'estro di una fantasia razionale che può tradursi addirittura nella proposizione di un genere attestato sulla "stravaganza". Un viaggio ininterrotto che sul filo del ricordo resistente mescola realtà, fantasia, scienza in una specie di ideale romanzo di formazione, nel quale è giocoforza il taglio del soprappiù di retorica; lo stile si trova ad essere perfettamente conforme alle cose in ossequio ad un dettato di stampo illuministico.

Alla luce di tali premesse si deve salutare con soddisfazione l'iniziativa dell'editore Avagliano che, in una veste di grande finezza grafica, ci ha dato di fresca stampa due volumi di prosa sinisgalliana: Intorno alla figura del poeta e L'indovino. Ambedue le opere sono a cura di Renato Aymone, studioso collaudato di Sinisgalli (a lui si devono numerosi saggi ed anche la raccolta dell'Odor moro, sempre presso lo stesso editore) e profondo conoscitore della letteratura del Novecento. Per la verità, i due volumi non raccolgono scritti inediti, ma ciò non inficia minimamente il valore dell'intrapresa.

Il volumetto Intorno alla figura del poeta, terzo della collana "Il miglio d'oro" diretta da Atanasio Mozzillo, oltre al testo eponimo raccoglie testi dispersi o usciti in plaquettes non facilmente reperibili per il lettore comune: La serpapinta e la rosa longa, Tre pietre trovate, Modernità di Leopardi, Le vigne a monte, La foglia 'mmesca, Autoritratto con scorpione.

La serpapinta e la rosa longa, altrove anche con titolo Cristo e il diavolo, nasce come premessa alla traduzione dei canti popolari lucani, approdati poi nella Vigna vecchia; bellissima prosa che conduce in sottofondo un'arguta polemica nei confronti di Carlo Levi in nome - e qui sta la singolarità - di un comune e diverso tratto mitologico. A guardar bene, nonostante la remora di populismo, talvolta rinfacciata a Levi, Sinisgalli partecipa del medesimo processo conoscitivo della realtà lucana, sol che cambia gli elementi oggetto dell'analisi, relegando per esempio a distanza gli aspetti politico-sociali. È interessante rilevare che per evitare la collisione di una brusca e diretta polemica Sinisgalli lascia solo all'inizio il nome di Levi unito fabulatoriamente a quello di Valèry Larbaud e Norman Douglas mentre poi lo trasforma in locuzioni del tipo "Non certo quel tale", "Qualcuno sostiene".

Spetta a Michele Dell'Aquila il merito del recupero dell'incredibile saggio su Leopardi, che fu oggetto di un'acclamata relazione al convegno materano del 1982, poi circolata in varie sedi: si stabilì allora tra il critico e il poeta una scintillante sinergia compositiva una volta sottratto il formulario algebrico.

Le ultime quattro prose, già nella plaquette Tre pietre trovate, voluta da Elio Filippo Accrocca, avvolgono al piano della rievocazione autobiografica notevoli spunti di poetica e ricostruzione intellettuale, che sono anche l'ossatura portante del "saggio" Intorno alla figura del poeta.

I dieci dialoghetti dell'Indovino - poi confluiti nel Furor mathematicus (di cui or non è molto l'editore fiorentino di Ponte alle Grazie ha dato un'infelice riproposta) - in forma autonoma furono la prima volta pubblicati nel 1946 dall'Astrolabio; e questo testo in verità sarebbe stato opportuno seguire.

L'importanza dell'edizione di Avagliano sta nel ricco apparato di note che Aymone vi ha apposto: il criterio adottato punta anzitutto sul rinvio ad altre prose e versi di Sinisgalli, una sorta di intertestualità all'interno del medesimo autore, senz'altro da condividere per la larga messe di elementi significativi indotti.

Declarano i dialoghetti la loro intrinseca matrice leopardiana, non disgiunta da un 'gusto maieutico" di tipo socratico e dalla tecnica conversativa della prosa trattatistica del Cinque-Seicento: così opportunamente collocato da Aymone nelle suggestioni e referenze storiche L'indovino protrae una capacità alta di paradosso che facilmente s'accende in vena surreale.

L'"umore bestiale" che prese Sinisgalli tra l'agosto e il settembre 1944 quando a Montemurro compose l'opera è colpa di "queste paginette" e dei "due spettri che per tutto il tempo [gli] tennero compagnia"? L'interrogativo del dubbio lascia aperta la questione e sembra suggerire, complice l'autore, per lo meno l'ipotesi del contrario: nelle contrade mitiche dell'infanzia incombe il senso del disadattamento e dell'insoddisfazione, da Belliboschi comincia il viaggio per le "fole dell'intelletto"; i "secchi colpi di scure" e "gli schianti degli alberi lasciano il cuore amaro", si apre intatta la possibilità dello spirito per divagare in "protratta oscillazione tra fisica e metafisica".

29 Gennaio 2012