Sito ufficiale della Fondazione "Leonardo Sinisgalli"

Vidi le muse

VERDESCA (1931-1937)
In Verdesca, prima sezione, confluiscono le poesie scritte fra il 1931 e il 1937, in particolare le "18 poesie" pubblicate da Giovanni Scheiwiller nel 1938 su suggerimento di Quasimodo e Carrieri, "Poesie" edite da il Cavallino di Venezia nel 1938 e i tre microblocchi di "Versi per album", "Elegie", "Diario". Il titolo Verdesca deriva dall'epigramma di chiusura, dedicato ad una contrada di Montemurro, una "conca verde a valle del paese".

Prime poesie

Giorno aperto
Il sonno mi finge negli occhi
Quest'ansia di foglie che il melo
Rovescia dubbioso. L'ombra
Ha rotto la corteccia e si lascia
Scoprire all'alito ai passi
Inesperti. Il ramarro non la teme:
Fermo ai confini del sole esalta
Il suo verde ardore. Tortuosa
Si aggira ai fusti, cauta
Sale la sua pianta buia.
Nelle giunture più attente
Ne avverto il contagio:
Qui tra le piante colme la serpe
Sente la pelle guasta.

Non si consola di frondi
Non si consola di frondi
Questo corpo d'autunno
Che il vento morde. Nel cavo
Delle ossa la terra preme
Per mettere fiore. Prima
Voce (poi chiara un'ala
Che s'apre) la luce è sui rami
Deserta. Aggiorna sui tuoi passi.
Ora l'albero è potato
E il suo legame è più saldo
Alla tua legge.

Ventoso
Ore di bassa luce, di nutrita
Felicità. Sazio è il fuoco e sul volto
Lo stupore maturo di questo sole
Tenebroso, dissipato dalle piante
Distrutte. M'apre gli occhi l'insidia
Delle vicine cisterne. Chi mi dà
La misura dei cieli ora che muto
È il canto dell'allodola sulla brughiera?
Il giorno ha un fervore sordo;
Sotto le foglie cadute l'aria
Precipitata si apre in paludi di spugne.
Il tumulto si consuma in un latrato
Fedele. Mi bastano questi rimorsi:
Nella mia vigna secca la luce
Di un albero potata. Il cielo
È una roccia aperta e l'occhio
Un'ape chiara. L'orizzonte
Presente incanta le pietre.
Il vento sulle tempie ha il fiato
Caldo della serpe: resta
Come l'ingombro d'uno squillo
Nel sonno che perpetua la pianura.
In questa immobilità pesante
Di disastri il silenzio tiene i nodi
D'un equilibrio primordiale, il lamento
Del sangue, i suoi fermenti d'erba.
Sopra i sassi deserti
L'incertezza della luce
Ha una sospensione di palma.

La luce ha la tua statura
La luce ha la tua statura
E regge il gesto
Precisa, anche la pietra
Dà il petto al sole.
La tua voce questa mattina
Ci cresce nelle ossa,
In questo sangue
Che si ordina come le foglie.
E il giorno prende in terra
Misura dal tuo passo.

Tutte le cose sono quiete
In attesa della Tua voce
Che tiene gli astri sono io.
La Tua voce nasce nel vento
E l'alba preme sul petto.
Si rovescia al colore
La foglia, Ti annunzia
E passa a farmi rumore.

L'aurora appena
L'aurora appena
È uscita dai forni.
Nasce allora dal sonno
Al primo vento
Il lamento delle spighe.
Non più vigile la grazia
Ti cade dalla mano
Falce d'oro. Al suolo
Il seno ti accalora.
La testa in luce prende altura.
Grave ora è la terra
Al sole, forte il sesso.

Al tempo delle vigne
Al tempo delle vigne
Carica di furore ai nostri occhi
Si scopriva la terra e nelle mani
Ancora al gesto acerbe e serene.
Si torceva alle giunture
Sotto il peso del fiore
La pianta del fico dolente.
Infanzia gridata dagli uccelli
Ti cacciava la sete a gola aperta
A piedi nudi sulle crete
Il passo lesto all'insidia delle serpi.

Tra noi è il tanfo della terra
Tra noi è il tanfo della terra
E il sangue fa ressa col sereno
Che ci lava dopo la pioggia
Di questo lungo giorno.

Nel sonno che ti calma
Nel sonno che ti calma
Assorta ti ritrovo distese
Al fianco la terra e l'ombra
Del mio triste sangue. L'erba
È aspra di gemme.
La luce cova seme di scelta.
Dai nostri corpi nasce
Il giorno in quest'ora.

Faceva piena nei canali
Faceva piena nei canali
La sera fiorita di eriche
E cresceva fino a toccarti il piede.
Chiamavi l'ultima luce
All'inganno della fonte e la rondine,
Il petto molle dei primi
Voli sugli orzi, ti garriva
Nelle vesti.

Ora non so non dolermi
Ora so non dolermi
Se la mano nel buio
Tocca il fondo e tu non ci sei.
Allora cercavo la tua ombra
In quella del muro
Sulla terra bianca d'infanzia.
I compagni gridavano a perdifiato
Freschi di capelli nell'afa.
Tu muovevi la polvere dietro le spalle.

Fredda alita la sera
Fredda alita la sera
Su questi prati che toccai con la fronte
Calda e felice della corsa.

A bel vedere sull'aia
A bel vedere sull'aia
Tante notti abbiamo dormito,
Le mani affondate nel grano,
Il sonno guardato dai cani.
Più mansueti erano i tuoi piedi
Dei colombi fatti per burla
Col panno bianco dei fazzoletti.
Avevi fili di paglia nei capelli:
Alle spalle muovevi il prato
A una trepida suoneria.

18 poesie

1
I cani allentano la corsa
Tra i pali arsi delle viti.
Così bassa è Orione
Queste sere miti di fine d'anno.
Oscilla il Carro d'oro a questa svolta.
Tu guardi l'alba della luna rossa
Nell'uliveta. La collina è scossa
Da un rumore di frantoio.
Fresca è la ghiaia: sui passi tuoi
La ruota non la spezza.
Perduta alle spalle la fanciullezza
Si fa più lontana, ombra
Cieca nella polvere.

2
La luce era gridata a perdifiato
Le sere che il sole basso
Arrossava il petto delle rondini rase.
Ora e sempre più viva
Sarà la smania di far notte in me solo
E cercar scampo e riposo
Nella mia storia più remota.
Ogni sera mi vado incontro a ritroso.

3
L'amico tradito mi chiama
Dal fondo del cuore e s'avvicina.
Sento nel sonno che sale.
Io grido all'ultimo passo
Perché mi calpesti.
Poi mi dorme leggero sul petto.

4
Caldo com'ero nel tuo alvo
Mi attacco alle tue reni
Madre mia. Io sono
Il tuo frutto e a te ritorno
Ogni notte e nell'ora della morte.
Dormiremo come una volta,
Le mie piante premute
Contro il tuo cuore.

5
I fanciulli battono le monete rosse
Contro il muro. (Cadono distanti
Per terra con dolce rumore.) Gridano
A squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
E dolcissime ingiurie. La sera
Incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
Vicino all'altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
La sua mano vittoriosa.

6
Su queste alture
È fiorito il cardo di settembre
E mi accoglie il cielo con un grido.
La mia vita è questo esilio
Che chiama le dolci erbe,
Le locuste pietose dei profeti.
Ma è sterile la pena
Se pure a scuotere le pietre
Valse la voce di chi grida nel deserto.
Solo, sentirmi vivo,
Quanto l'argilla è qui vigile e sposa.

7
Mi difendo a questa raffica
Che spolvera la luce della piazza
Sulle cime dei pioppi.
Nel debole riverbero uno stormo
Di foglie risale il ciglio della murata.
Batte qui dove mi duole
Questa voce tutta notte:
Mi ritorna la triste
Vocazione ad esistere,
La brama di cercarmi in ogni luogo.

8
In quest'ansa dell'Agri,
Ai limiti bassi della terra,
Fiduciosa la sera mi consente
La pace casta delle acque.
Di luce arida, un'ala
Che appena turba lo stagno, si avviva
La vena in cuore, fuggitiva.
Torno da pascoli magri
E mi fu cara pena
La faticosa attesa:
Al buio seno ti ascolto
Sera stremata in rive morte.

9
Custode di nuovo rumore
Ci accoglie l'albero. Stasera
Scirocco risale arido la costa.
Il pastore ha perduto la mandria
Sulle peste della pecora ferita.
I cardi ne rimordono la traccia.
Il sangue fa oscura siepe
Alla nostra estate sulla terra.

10
Eri dritta e felice
Sulla porta che il vento
Apriva alla campagna.
Intrisa di luce
Stavi ferma nel giorno,
Al tempo delle vespe d'oro
Quando al sambuco
Si fanno dolci le midolla.
Allora s'andava scalzi
Per i fossi, si misurava l'ardore
Del sole dalle impronte
Lasciate sui sassi.

11
Mi appartieni oscuro amore.
Non c'è stimolo più forte
Di questa sazietà. Né la luce
Promessa dall'albero celeste
Può fingerci altra calma
Se a noi intorno è già sera.
Tu covi nuova fioritura
E il cielo è sospetto
Di quest'ansia che ti cresce in petto.

12
Il sole ti apre la mano superba
E la noia del giorno
Prende un calore carnale.
L'albero ha rotto i legami dell'aria.
La terra ne è tutta partecipe.
Disseminata è la luce
Per crescere sulle pietre.
La bestia assapora la rara erba.

13
Intatta alba ti avvicini
Sulle sabbie prudenti,
Né ti minaccia la violenza dei frutti
Che la luce ti porta in ostaggio.
Sul greto ritrovi giaciture
Solenni ai tuoi riposi
E se l'acqua si tace la veglia
Ne è folta e la sete ubbidiente.
Ora scoppia nel cuore della terra
Il grano appena seminato:
Cadono le ultime allodole sui nostri passi
Sventate ai confini della pianura.
Eccomi a guardare il passaggio
Delle gru verso la marina;
Un tempo erano questi gli annunci
Alla mia rapìta felicità.
La poca luce di quest'ora
Ha la calma d'una voce.
Devo pensare alte le tue mani
Sorprese a farmi cielo.
Ogni tuo gesto lontano
Fa crollare il chiarore
Che sopra di te come su questi olmi
La memoria aveva edificato.
Tutela la veglia sorda
Delle foglie il sonno
Sopra questa ripa di sassi
Che la tua eco tiene in assedio.

14
Qui accosto alla siepe
Ove t'ascolto, appennino,
Fa radice la sera
E il suo acre sentore
Mi risale sul dorso.
Mi è cara la rovina
Che fa avare le fonti:
Questa brulla distesa
Ha l'eguale amarezza
Dei giorni distrutti.
Non so da quali nascoste
Vene tu nutri la notte
A valle e scopri la schiena
Deserta. Roccia certa
Il nostro dolore non muta
Limo in ginestra.

15
Sono a questa riva e mi chiama
Il suono del giorno ch'io ruppi
A sassate. La luce nuova è aperta
Sulla terra che calpesto
E nulla è ancora più giovane
Delle mie ossa. L'estate arde
Sulle stoppie. Senza rumore
Si sgretola entro il mio corpo
Questo fuoco.

16
A mani aperte mi fa giorno
E l'alba indugia a sollevarsi
Come una véla fresca sul mio corpo
E il sangue è felice e mi corre
La brezza, mi cresce mattina sul mare.
Nel dormiveglia le voci della regata
Hanno cadenze di estrema avventura.
L'acqua è un prato sotto i piedi
Fiorita, la luce dentro le mani
È fredda come un'unghia.

17
Finisce qui una giornata
Al vento che rannuvola la vasca.
Chiara una voce dal fondo chiama
La rana o questa luna che rinasce.
In bisce nell'acqua verde
Ecco l'infanzia inquieta
Che riaffiora luminosa a mani lisce.
L'ombra non si perde nella mota,
Così nitida è stasera
La rete vuota in fondo alla peschiera.

18
Basterà il canto del gallo
E l'alba ti darà grido:
Inavvertita preda mi cresci
Negli occhi luce di levante.
Più sincera dei prati
È la mano che ti solleva.
La mia tentazione ti salva
Dai ginepri maligni.
Mansueta mi accosti,
Più vicina mi sei
Di questa pecora casta.
Eppure nessuna pace
Mi verrà dopo quest'ora.
Cerca un'efimera furia
La rondine tardiva
E la terra nell'ora più fertile
Lievita intorno un tepore
Di sonno consumato.
Ti ritorci supina e ti allontani.
Io so che nessuna promessa
Ti tiene legata ai miei patti,
E le mani ti cercano
Tregua tra le ortiche.
Ora la quiete si sfacela
Come quest'aria insana sui fienili
E se ne turba la mia malavoglia.
Arde il tuo clamore
Questa mortale allegria
Statua di mezzogiorno.

Versi per album

San Babila
Trascina il vento della sera
Attaccate agli ombrelli a colore
Le piccole fioraie
Che strillano gaie nelle maglie.
Come rondini alle grondaie
Resteranno sospese nell'aria
Le venditrici di dalie
Ora che il vento della sera
Gonfia gli ombrelli a mongolfiera.

L'olona
L'alba guarda con occhi d'agnella.
La luce è bianca e fissa,
Basta a muoverla quella
Colomba in un giro di testa.
Chiarezza chiusa nel mallo,
A metter fuoco e rissa
Ecco il canto del gallo
E il sangue della cresta.

Poesia per una mosca
Della tua ala laboriosa
Si consolano i vespri delusi
Se pure senza pudore tu abusi
Dell'innocenza d'una rosa.
Nel tuo tremore si riposa
La mia noia; fiduciosa
Ronza attorno a un'immagine chiusa.
La pazienza è forse rischiosa
Ché talvolta si spegne un fiore
Nella notte e il fradicio odore
Ti eccita curiosa.
Ma susciti dentro la stanza
L'aria di tanta vacanza
Amica pungente e pia.
Così cara è la tua molestia
Che stasera con me ti fa festa
La mia efimera poesia.

Poesia per una cicala
Io non so cantare lo zelo
Della formica immortale.
Più vicino alla mia sorte
È lo stridore della cicala
Che trema fino alla morte.
Nel tempo mio diletto
Mi confidavo a quell'ira
Insistente che mi assopiva
Con la cicala nel petto.
Ora nello sfacelo
Della mia giornata mi resta
Un po' di polvere in pugno,
Ma tanto vale la tua spoglia
Che ancora risento quel melo
Stormire e nell'aria di giugno
La tua allegria funesta
Nascere dietro una foglia.

Elegie

1
Mi ricorderò di questo autunno
Splendido e fuggitivo dalla luce migrante,
Curva al vento sul dorso delle canne.
La piena dei canali è salita alla cintura
E mi ci sono immerso disseccato dalla siccità.
Quando sarò con gli amici nelle notti di città
Farò la storia di questi giorni di ventura,
Di mio padre che a pestar l'uva
S'era fatti i piedi rossi,
Di mia madre timorosa
Che porta un uovo caldo nella mano
Ed è più felice d'una sposa.
Mio padre parlava di quel ciliegio
Piantato il giorno delle nozze, mi diceva,
Quest'anno non ha avuto fioritura,
E sognava di farne il letto nuziale a me primogenito.
Il vento di tramontana apriva il cielo
Al quarto di luna. La luna coi corni
Rosei, appena spuntati, di una vitella!
Domani si potrà seminare, diceva mio padre.
Sul palmo aperto della mano guardavo
I solchi chiari contro il fuoco, io sentivo
Scoppiare il seme nel suo cuore,
Io vedevo nei suoi occhi fiammeggiare
La conca spigata.

2
Dolce compagno dove sei? I rami
Degli alberi gemelli intrecciano
In nitide ombre le linee
Delle nostre due vite sulla terra.
Io ti cerco come Ulisse cercava i suoi compagni
Nel porcaio. Il guardiano mi dice:
Non t'inganni il colore, il porco nero
Occùpa, il porco bianco fa più lume.
Ma il mio occhio è stanco e poco sagace.
Io non sono più astuto come un tempo
Ero con te furbo mercante ai giuochi.
Se la luna potesse spargere, questa sera,
Per un attimo solo, sui miei porci bianchi
E neri come rondini il miele di Circe
Ti ritroverei mio compagno dai denti forti.
Ti racconterei le gioie di quest'inverno
Di provincia, trascorso nelle terre della nostra
Infanzia. Ho toccato con la mia mano
Ho cacciato dalla tana la mia solitudine.
Dioniso torna ancora alle nostre feste
E le donne sbattono i campani
Per cacciare il capro dalle selve.
Io ti cerco nei pozzi chiari questa sera
Come allora che nel corpo dipinto delle rane
Si cercavano i nostri morti.

Diario

Entro la siepe irta
Entro la siepe irta
Il tuo tremore
Mi scuote se tu dici
Il bene questo buio
Che ci punge.
Prima che aggiorni
Ci è dato toccare le spine,
Soffrire la dolce confusione.
Prigionieri delusi ci caccia
L'alba tra putride rose.

Quartine
1

Ti nascerà ridendo una stella
Riavrai il tuo diadema
Sulla fronte nuova
Sposa al mio fianco luminosa.
2

La luce è qui tra noi nata
Da poco e ride su ogni cosa
Sopra il sasso e la rosa
Prima persona creata.

Aprile in rugabella
Quando a guardare l'orizzonte
Era il suono d'una tromba
La mia voglia di gridare,
Sentivo che la pietra
Era il mio cuore il sole
Rumoroso sulla guancia.
Più caro alla mia vita ora
Pensarmi solo a soffrire:
Più tardi quest'illusione
Passerà. A gran pena
Dispero della mia felicità,
Un giorno come questo ricco
Di squilli forti, un'ora
Piena di carità.

Riva T*
Mia prediletta sera
Mi basta il peso della tua ala
A difesa, il batticuore
Della tua caduta sofferta ad ogni scossa:
In questa terra ristretta
Battuta a palmo a palmo
Cedere all'urto estremo
Di questa luce obliqua sulla pala
Del remo.

Dicembre a Porta Nuova
Mi raccoglie nel suo gomito
Inerte la fredda sera d'autunno.
Scorre deserta sulle foglie
E mi ridesta a ogni tonfo
Dei castagni. Tutto il bene
Che mi resta forse è in quest'ora
Calma che si accerta,
A questa svolta che si gonfia
D'acque perché la ripa si fa stretta.
Poi rotta la dolcezza dell'indugio
Ogni cosa decade con più fretta
E non mi duole l'alito d'ombra
Che mi gela la fronte.
Sopra la spalletta curvo
Mi assale il vento dalla buca del ponte.

Narni Amelia Scalo
I ricordi li cancelli questa sera
Che un nome nuovo ti solleva la fatica
E una data scritta sopra la lavagna.
Sostano in mezzo alla campagna
I convogli dei treni merci,
Poi girano lentamente sul ponte della Nera.
T'è lontana la voce lungo i nastri
Trasportatori, straniera la terra
Distesa sotto la tettoia.
Ti sembra che ogni guerra
Si concluda in una resa e che ti valga
Per la tua povera gioia
La docile sorpresa dei tuoi astri
Familiari in un cielo d'esilio.
È un'ora buona per te e questi allarmi
Di campanelle nel fumo non ti dolgono.
Aspetti che risalga
Il secchio dalla stridula cisterna.
Oscillano nell'oscura fuliggine i vetri rossi
Della lanterna. Tu senti che è primavera
Da queste ventate di meli scossi
Dai treni lungo la pianura.

Lazzaretto
Sul gambo teso è sazio il girasole,
Così il peso del giorno è in questo poco
Spazio di terra, fresca
Tomba alle membra, gremita
D'ombra che mi oscura la via
Dove tornerò sempre.
La sera mi porta lungo la muraglia
Ancora un riverbero fioco
Di quella perduta forza,
E ha un ritorno d'allegria
Sui bordi del prato il fuoco
Che stizza le labili liste di paglia.

Verdesca
Per anni mi soccorse la tua vista,
Dolce compagno, quella che ricordo
Fu la rissa sul ponte. Maggio
Ha le sere stordite, io non volli
Vederti che alle spalle, dietro i rami
Rapito nella corsa.
Poi ti ho perduto e ancora nel miraggio
Ti rincorro estenuato sulla pista
Del giorno che ti rotola nel cerchio.
Da allora ogni bene mi è stato soverchio.


CAMPI ELISI (1937-1939)
La sezione Campi Elisi ripropone le poesie pubblicate da Scheiwiller nel 1939. Come ebbe a dire lo stesso Sinisgalli, si trattava di liriche dai titoli zeppi di vie, strade, santi, che si discostavano per originalità dalla maniera quasimodiana e che si imposero presso giovani e gentili poeti di periferia; questa piccola schiera iniziò ad imitare il gioco delle consonanze e delle assonanze di quei versi che odoravano di eglantine, dalie, passiflore. Quelle brevi poesie, coeve di "Ritratti di macchine e di "Quaderno di geometria", facevano intravedere i segni di una realtà che di lì a poco si sarebbe trasformata.

Campi elisi
Di là dalla dolce provincia dell'Agri
Siete approdati alle rive sognate,
Oscuri morti familiari.
Le vostre salme hanno dato salute
Al verde degli orti.
I campi di fave si sono allargati
Oltre i cancelli:
Dove arse superba l'età delle rose
Le capre pestano la terra
Nei giorni di siccità.

Piazzale di San Domenico
Torna stasera l'ombra mia
Remota nel fuoco dei falò,
Si accosta lieve con l'ali ai calcagni.
Il fanciullo ha battuto il tamburo
E una vampa m'investe dalla breccia
Delle mura. (Nessuno più
Ti scaccia dal tuo regno
Di selci dissestate che tu smuovi
A una a una le sere
Che il vento si lagna
Lungamente alla luna.)

Via Velasca
Il calpestìo di tanti anni
L'ha quasi affondata, la via
Incredibilmente si è stretta.
Questa è l'ora mia, la mia ora diletta.
Io ricordo la sera che alla fioca
Luce si spense ogni rumore, un grido
Disse il mio nome come in sogno e sparve.
La via s'incurva, sgocciola
Il giorno dalle cime dei tetti:
Quest'ora dolce suona nel petto.
Non è che una larva restìa
La luce, un barlume: entro la boccia
Di vetro un pesce s'illumina.

Passiflore
È nostro ancora questo fioco
Lume della sera, un barbaglio
Sulle cime dei lecci. Il fuoco
Nella stanza si consuma, (un sommesso
Brusìo disperde la tua vigilanza)
E appena ti lambisce svampa
La veste: un ardore
Ti difende dalla fiamma come la foglia
Sempreverde. Tremi
Ora che gli orti
Devasta la tramontana
E ne patisce dietro i lividi vetri
La pigra passiflora.

A perdita d'occhi
Non tarderà a far giorno,
L'umidore è già sulla tua fronte
E sulle foglie il ragno stende
I fili perché debole in giro
Con la punta d'un'ala
Appena la luce si bagni.
S'agita l'erba al tuo respiro, spunta
Il sole che tocchi: col piede
Distendi l'orizzonte a perdita d'occhi.

Contro il muro dell'orto
Contro il muro dell'orto
Teso come un velo
Azzurro nella sera
La cara ombra si accosta
Assorta. Trema sul fianco
Della collina Espero
E s'avvicina a schiarire le frondi.
Un dolce incanto la tiene
Viva nell'aria mossa.
Ecco l'ombra si arrossa.
Ecco cade il mio cielo.

Strenua tu canti
Strenua tu canti
Su questa piazza in rovina
Da una foglia di platano, tu sola
Viva nell'aria crepitante.
È l'ora che invisa splende
Bianca la Canicola.
Ma dalle mura sfinestrate
Voci remote di fanciulli
Fan ressa. Il fumo nell'afa
Le dissolve. I cani non dan tregua
Alla donnola uscita dalla polvere.

Genova
Sempre che torni sera
Per queste città dove le luci
Appena si staccano dai pali
E il mare brucia di là
Sul molo un'aria fiacca
Raccoglie il fischio della sirena.
Solo mi dico la mia pena e brillano
Agli occhi vaghi i lumi delle ville.
Troppo dolce il passaggio in queste terre,
Più sicura la morte, ad ogni viaggio
Non c'è speranza che resti sepolta.
Poi è la prima stella che si perde
Dietro le palme, più tardi un baleno
Verde che s'apre a uno schiocco di frusta.

Sera di San Lorenzo
Mi rialzo alle colline
(Così lustre di pula lenta nel soffio d'agosto)
Silvestro, dolce amico, mi rassegni
D'ogni cosa trascorsa, dell'usura
Che fa liscia la pietra sopra il grano,
E una foglia mi porgi sulla mano
Generosa. Nel torpido alone
Della giovane luna ti chiudi
E parli di tante allegrie.
Fresco il vento sugli occhi si avviva
E rintoccano i sonagli alle vette.
Sono luci di San Lorenzo
Le fole che vidi ardere: tu ridi
Se penso la fila lunga
Di formiche che bruci.

Se una lucertola si ferma
Le dolci acque fumano
Nella calura stasera. Sono
Senza peso e senza pena.
Il mio cuore giace sulla tiepida
Paglia. Mia madre su quest'aia
Ha battuto la mazza.

Lo stesso fatuo alone
Lo stesso fatuo alone della veste
Rossa nel fumo delle nebbie di un tempo,
Lo stesso sgomento se tra gli alberi piovosi
Mi riporta dicembre a questa svolta.
Tu non vieni. La pena non ritarda
Lungo le mura, una voce
Mi chiama o il tuo colore che arde
Sotto la pioggia fine.
(La fioraia
Grida le eglantine.)
Tu non vieni.
La pena non ritarda
E fa più dolce il bene che ti aspetta.
(Entro lo scroscio della grondaia
Una voce diletta...)

Rue Sainte Walburge
Forse ha battuto più forte
Il tuo cuore dei tacchi del lanciere.
Ti ritorna il frastuono in un odore
Di capelli, i giorni belli
Al moto biondo della Mosa.
Sbiadiscono nella caligine
La strada del borgo, le scritte
Straniere delle insegne, i campi
Dietro le palafitte.
Tu ne ritrovi la traccia
E da uno sbuffo di vapore
Avanza la cara figura d'amore
Quei dolci tacchi battuti sul cuore
E l'ombra calda sulla faccia.

Santo Stefano 1938
Stasera s'indovina al chiaro delle nevi
Che il giorno avanza con passi di gallo.
Dalla mia stanza erta
Guardo il ballo delle ombre nel solstizio.
C'è nell'aria un indizio
Di vita nuova, una speranza certa.
Forse è il cuore che smania
In questa bianca squilla remota
O il vento che si stana.
Tra lo stridore delle pale il giorno
Vuoto è scacciato, un anno s'allontana.
La luna tardi splenderà sul selciato.

Vidi le muse
Sulla collina
Io certo vidi le Muse
Appollaiate tra le foglie.
Io vidi allora le Muse
Tra le foglie larghe delle querce
Mangiare ghiande e coccole.
Vidi le Muse su una quercia
Secolare che gracchiavano.
Meravigliato il mio cuore
Chiesi al mio cuore meravigliato
Io dissi al mio cuore la meraviglia.


IL CACCIATORE INDIFFERENTE (1939-1942)
Nell'ultima sezione, il titolo, "Il cacciatore indifferente", riprende l'ultimo verso di una poesia contenuta nel blocco "Dove latra leggera", dove si allude ad una similitudine tra il cacciatore e il poeta. Quest'ultimo (coerentemente alla visione sinisgalliana che spazia dall'infinitesimamente piccolo all'infinitesimamente grande, così come dal sublime all'umile) non può e non deve escludere nulla di ciò che realmente o irrealmente lo circonda. Per questo ne è immerso a tal punto da sembrare distratto, come un cacciatore che nell'attesa si mostra indifferente. Nei versi di questa sezione si intrecciano temi d'amore per donne vaghe e lontane con temi che riflettono, nella rapidità dell'accenno, l'ansia del turbamento del presente la spettralità della guerra e l'incertezza del futuro.

Quando torna l'autunno si fa tenera
La terra dei piazzali, la sera
Lunga al grido del venditore
D'erba corallina.
Sulla collina si accendono i fuochi:
È l'ora propizia ai giuochi.
Tu entri nel labirinto col piede
Leggero come un piede dipinto.
Questa traccia esitante senza fine
È la tua sorte; se passi il confine
La morte può cogliere nel segno.
Non lo sapevi tu re
Delle nostre sere segrete, lucifero
Nel nostro regno?
La tua ombra è rimasta nella rete,
Il tuo piede legato
Alla staffa del cavallo fulminato.

I

Splende il tuo lume tetro
Splende il tuo lume tetro
Alle Case Rotte.
La tua veste di fumo
Ti cela dietro i vetri
A questa sera che ventila per te
Sui parapetti l'aria della luna.
Amica immagine morta se m'ami
Tornerai con le fulgide farfalle
A notte estasiate dai lumi.

Una pioggia di cenere, il bagliore
Una pioggia di cenere, il bagliore
Dei fari sulle piante semprevive
Questa sera. Più tenera ti serra
La querela di parole perdute
A un caro braccio, a un'ombra
Che t'avvinca. Al buio
Stenti a trovare la traccia
D'una strada sepolta, e una pervinca
Nel fumo della nebbia, raso
Terra una luce pungente
Spunta ai bordi del salvagente.

Spuntano gemme dai salici
Spuntano gemme dai salici appena
Estinta è la luna di dicembre.
Di là dal colle non potrai tornare
In quest'aria delusa, sulla breccia
Che luce come il sale.

Strepita la campana al capolinea
Strepita la campana al capolinea.
La tramontana spazza contro il fiume
La polvere delle case in rovina.
Eccoti sola e la piazza ti sperde
Al bivio, e tu non sai
Più vivere, non sai dimenticare.
Era verde il sambuco quella sera,
Freschi i tumuli di terra
Fuori della città lungo il declivio
Che da Santa Sabina
Scende a Bocca della Verità.
Ahi, ahi, stravolta (oggi l'anno ci coglie
Così distanti per strade traverse)
Tu cammini, io ti chiamo. Alle finestre
Scroscia a sghembo la pioggia.
E ti sollevi l'ammasso di capelli
Dagli orecchi, scrolli
I perduti ricordi: una nube
Di corvi dal mio cielo
S'è posata stasera nel tuo specchio.

Santo Stefano 1941
Calpestiamo le foglie morte
Sull'una e l'altra riva.
Il fiume è tiepido come cenere
Se lo tocchi. Pare
Che scenda profondamente
Dentro la terra il cielo
In queste chiare notti di guerra.

Da quanti anni, da sempre
Da quanti anni, da sempre
Sul finire del giorno
Lungo il muro il tuo passo ritorna
La tua mano mi tocca
Delusa: Leonardo, mi dici a bocca
Chiusa. Il vento leggera ti scioglie.
Io ti sento partire dal mio fianco
Nella brezza delle foglie.
La tua voce è una carezza
Che brucia più l'ora si attarda:
Io non so dove mi conduce.

I vecchi versi tornano a memoria
Ecco mi alletta
La storia di una rosa
Che la neve cancella (e un segno
Vivo, la brace della tua sigaretta).
Ecco son persi nel buio
Gli ombrelli di Trinità dei Monti.
Se i nostri passi saranno profondi
Avremo pace in un regno
Dove nessuno ci aspetta.

Ogni sera la mano è più leggera
Ogni sera la mano è più leggera
Il volo della rondine è più alto.
Qui rimane lo strepito, il tuo riso
Come un'ala fuggiasca
E l'odore di fulmine più ricco
Del profumo di rose ai davanzali.
Di là qualcosa, un fuoco, ti rapina
Il tuo nido di fuoco all'orizzonte,
Il tuo grido...

Muore il ragazzo un poco
Muore il ragazzo un poco
Ogni giorno per giuoco.
Per giuoco morde invano
Il cavo della mano.
Trascorre le vacanze ebbro
Tra i maceri cespi di papaveri
Steso sul letto per noia
E diletto a guardare le travi.
Ma lo stornano ombre
Solitarie nel cielo della stanza,
Labili ombre passeggere
Sul soffitto. È l'ariete
Che batte ostinato le corna
A capofitto nella quiete.

II

Naturalmente ogni cosa
Naturalmente ogni cosa, anche un sasso,
Una rosa potrà bastare al mio cuore
E la musica senza posa delle striglie
Scosse nelle stalle. Questa mattina
Gli uccelli pigolano come topi, la gallina
Si spulcia a un balcone della valle.
Robilante, 1940

Dove latra leggera
Dove latra leggera l'anima dei cani
E il grido del fanciullo si tende al guizzo
Della fionda, e di tutto il giorno è vano
Ogni altro segno (questa vena grossa
Sul dorso della mano), il 14 luglio
Sono sceso nel regno dei morti, tra i gatti
E le pernici che fan festa sotto i tavoli.
Resterà in queste parole l'ebbrezza
Della mosca nel sole, l'occhio
Del cacciatore indifferente?
Tarquinia, 1940

Bruceranno le immagini moleste
Bruceranno le immagini moleste (la cagna
Bianca sulla cenere dei forni, le bugie
Sotto le ascelle, gli anni belli sulla nuca,
Il lezzo delle fave calpestate dai cavalli).
Bruceranno i ricordi tra i capelli che tu amavi.
Civitavecchia, 1940

Ecco vacilla il cielo
Ecco vacilla il cielo, le stelle
Vive come capre tra i cespugli.
La primavera scuote il lezzo
Pungente dei pantani. Ogni cosa
È talmente sicura di esistere
Questa notte, in questo canto
Di vecchia rana ad Abbasanta.

1941

Tra le saggine palustri
Tra le saggine palustri
Pabillonis è un'anatra
Ch'io vidi una sera,
Così poco vivo a quel fuoco
In sogno: una larva di luce
Là dietro la zanzariera.

1941

Naia noia
1
Sei così scaltro nell'attesa
Paziente. Annusi
La terra che fuma, la vita
Che una sigaretta consuma
Lentamente. Niente altro.
2
La dolcezza testarda dei tuoi anni,
L'aprile brullo, un corvo
Fermo sulla garitta,
E le lettere scritte a sera tarda.
Forse la vita è bella...
In quell'inferno là in fondo alla via,
Alla pioggia, alla noia, in quell'odore
Di carbonella sotto la tettoia
Della nera mascalcìa.
3
Un tenero abisso si apriva al mio lato.
Quasi sotto i miei piedi una stella
Cadde in un pianto dirotto.
1941

O spoglie trasparenti!
O spoglie trasparenti, o anime leggere!
Cresce il granturco più alto di voi,
Soffiano i buoi per gli oscuri pantani
Amici fulvi, bai, sauri, roani.
Sono piegati i vessilli. La polvere
Scorre sul filo delle vecchie spade, le stelle
Spuntano in cima alle aste
Immobili ai freddi cancelli.
Le folte criniere, le rosse gambe, i ferri,
Le fruste non fanno scintille.
Una talpa è sbucata nella corte:
Come una vampa nera
S'è richiusa sotterra.
1942

Forse è vano questo ricordo
Forse è vano anche questo ricordo
Appena vivo per un fischio
Del ragazzo scomparso
Dietro le mura del borgo
Una mattina di nevischio.
Avevi la testa bendata
Rosso angelo litigioso,
Ti spuntava un'umida rosa
Di sangue sotto la garza.
Io ti persi lungo le rampe
Delle mura. Ora non vedo
Che la tua ombra sulla neve
Azzurra, il lume delle tue gambe.

III

Imitazione della luna
La luna sanguina alle corna, mite
Settembre torna ai davanzali.
Ai davanzali una voce balbetta:
Luna, luna nova
Chi ti cerca non ti trova
Chi ti trova non ti aspetta.
Luna mia alta dove
È il gatto riverso che si spulcia?
Io non lo cerco altrove, luna
Amorosa. Bruciano
Gli occhi al buio, brucia
La tuberosa di settembre luna
Sempre dolorosa.

Rosei del rosa dolce delle case
Rosei del rosa dolce delle case
D'autunno i muratori sopra i tetti
All'aria cantano stretti sull'anca
Docile il piede bianco alle cimase.
Stanno nel cielo in bilico e la voce
Resta sospesa sopra le grondaie
Leggera, ché la voce resta in aria.

La rosa non ti somiglia
1
Dolcemente sul fianco
Si son mosse le foglie.
S'è piegato il cielo
Alla deriva inerte.
Finché il sole mantenne
Erte le sue vampe
Furono vive le tue voglie
Furono rosse le mie penne.
2
Qui al buio il tuo cielo si dissecca,
La tua pupilla langue
Come una stella, tu annusi
Dentro i fiori il tuo sangue.
Presso i fiori tu resti immota:
La rosa non ti somiglia.
Guardi con meraviglia
Contro il muro i barbagli
Dei raggi di una ruota
E negli anni la voglia che declina
Dal pube sulla coscia.
Tu ne segui il cammino
Come dietro una nube.
3
Lo strepito delle piume
Se ti accosti vicino agli orecchi,
Il tuo fischio che recinge
Il mio regno di fitte siepi
Lascia un labile segno
La lusinga che mi rechi.

Ascolta la voce del Maestro
Ascolta la voce del Maestro
La domanda che resta senza risposta
Ecco il gesso, ecco l'unghia che stride
E scrive un nome sulla lavagna.
Sembrano voci di un altro regno
Le dolci voci dei compagni.
Il ragazzo è solo nascosto
Tra le ortiche delle tombe.
Spreme in pugno il veleno di ogni foglia.
Ha voglia di morire. E uno squillo
Di tromba lo accarezza, un richiamo
Forte come un nitrito.
Riassapora l'inchiostro sulle dita:
È il Maestro che suona?

IV

A mio padre
L'uomo che torna solo
A tarda sera dalla vigna
Scuote le rape nella vasca
Sbuca dal viottolo con la paglia
Macchiata di verderame.
L'uomo che porta così fresco
Terriccio sulle scarpe, odore
Di fresca sera nei vestiti
Si ferma a una fonte, parla
Con l'ortolano che sradica i finocchi.
È un uomo, un piccolo uomo
Ch'io guardo di lontano.
È un punto vivo all'orizzonte.
Forse la sua pupilla
Si accende questa sera
Accanto alla peschiera
Dove si asciuga la fronte.

Che incredible mattino
Che incredibile mattino,
Fuma la lingua ai cani
E Silvestro mi sta vicino.
Io non distinguo più il suono
Delle campane: Sant'Antonio
O San Giacomo... Siamo in fondo alla valle
Come in fondo ad un lago.

Già l'ombra è così lunga
Già l'ombra è così lunga
Per la bianca collina
Ch'io non chiedo sollievo
Alla dolce aria che mi trascina.
Se pur la luna svetta
Non toccherò la cima
E mi fermerò prima
Lungo la pista stretta.
Ho perduto la lena
Per camminare solo
Sotto la luna piena.

Dietro i muri c'è un roco
Dietro i muri c'è un roco
Tubare di colombe.
Sono gli Dei del focolare
O è il vento sulle tombe?
Si chiude senza fortuna
Il giro degli anni. Ruota
Il sangue a ogni nuova luna,
S'alza il verde da terra
La capra sulla balza.

Il cane di Lazzaro
Tu sei solo nella notte,
Cammini senza lasciare traccia.
Tu passi senza lasciare odore
Tra i neri tralci di rose
Che m'insanguinano la faccia.
Tu sei un'ombra, le tue spalle
Sono più leggere più vane
Dell'ombra delle farfalle
Sulle acque.
Saprò trovarti col fiuto
Oltre le rosse riviere,
Udrò il tuo corno di soprassalto.
Ti portavo all'aurora
Il primo saluto del giorno,
L'odore di timo sul muso.
Io ti portavo in bocca
I pesci dalle secche riviere,
Le folaghe ferite tra le felci.
Il tuo sangue era più veloce
Delle mie gambe, la tua spalla
Più forte della sbarra
Dove il fiume perde la voce.
Bello e fiero, tu eri
Nuovo da ogni lato
E dritto come le penne
Dello sparviero fucilato.

27 Gennaio 2012

Fondazione
Leonardo Sinisgalli

C/so Leonardo Sinisgalli,44
85053 - Montemurro (Pz)
Tel./Fax 0971753660
C. F. 96058490762

3027198