Lo scienziato che volle farsi poeta
Silvio Ramat
Il Giornale, 12 luglio 2001
Non si è fatto molto finora per Leonardo Sinisgalli (1908-81), a vent'anni dalla scomparsa. Ma in attesa di un soprassalto in suo favore della grande e media editoria, un paio di libri intervengono a rammentare la genialità di un autore che optò per la poesia abbandonando gli studi di fisica (atomica) quando a Roma, poco più che ventenne, ingegnere, stava inserendosi nel gruppo degli allievi di Enrico Fermi: i "Ragazzi di via Panisperna". Certo, la sua poesia fu sempre venata e caratterizzata da estri scientifici, geometrici e matematici, ravvisabili fin dalla linearità delle frasi, dalle relazioni armoniche e sinergiche tra i vocaboli. Un gioco via via prosciugatosi, da Il passero e il lebbroso (1970) a Mosche in bottiglia (1975), a Dimenticatoio (1978), tutte raccolte uscite presso Mondadori, cui Sinisgalli era approdato già nel '43 con Vidi le Muse, regesto della sua produzione giovanile.
Sono otto i suoi titoli nella collezione dello "Specchio". Il nono, Infinitesimi, era pronto per il 1981 ma ci arriva solo adesso, nelle edizioni della Cometa (pagg. 157, lire 30mila) di Giuseppe Appella. Il curatore del volumetto, Giuseppe Tedeschi, ne traccia la vicenda situandola all'interno di una maniera prevalentemente epigrammatica e di una pena esistenziale che suscita però poche lacrime e offre in loro vece reiterati spunti di saggezza nel complessivo disincanto. A un giovane poeta l'anziano Sinisgalli dà questi precetti: "Rendi il mondo / irriconoscibile. Imparai disegnando, a perdere di vista / l'oggetto". Sembra un paradosso, ma aiuta a svincolarsi dalla mimesi, nemica dell'arte.
Nell'appartamento ai Parioli sopravvive l'inquieto dèmone di Giorgia, la moglie perduta nel dicembre del '78: "Vado a leggere le tue lettere / sparse per la casa". Dietro la Roma presente, riaffiora quella in cui il ragazzo giunto dalla Lucania si lasciò "stregare / dall'umiltà di Ungaretti". E dal paese natio emergono sembianze dei lari, dei defunti: ecco zia Gerolomina, che da giovane era "chiara come le rose". Le linee, i numeri, oggetti di natura o utensili hanno un rilievo costante. Così Debiti: "La forbice, l'ago / sono importanti / per me: / tutto sta nella mano./ Il contorno misto di sementi / e di curve mi è familiare. / Ho rapporti saltuari con l'ornato. / Con la geometria / i miei trasporti sono incestuosi".
Come fra consanguinei: e qui veniamo all'altro libro recentissimo, Furor Geometricus (Aragno, pagg. 136, lire 20mila) titolo che l'ottimo curatore, Giuseppe Lupo, conia attraverso un incrocio del Quaderno di Geometria (1936) col Furor mathematicus (1944), ossia le prose in cui Sinisgalli convocava Leonardo da Vinci Cardano, Keplero e Galileo, Cartesio, Valèry ad accreditare riflessioni scientifico-filosofiche di suggestiva attualità. Lupo recupera venticinque articoli del '34-39, originariamente apparsi su Casabella, Sapere, Edilizia moderna..., che documentano le doti di un umanista applicato alla tecnica e insieme di un poeta di interessi poliedrici. È la sua prima stagione milanese, di felicemente trapiantato in una metropoli assai generosa con gli artisti meridionali, da Quasimodo a Vittorini e a Cantatore, da Messina a Gatto e a Carrieri; e a Persico, indicato da Lupo, con Olivetti, fra i promotori di una cultura aperta al limite dell'utopia. Non a caso, nell'impresa di Olivetti, a Ivrea, Sinisgalli dal '38 al '40 fu art director, dimostrandosi pubblicitario eccellente.
Nella varietà di queste pagine ritrovate si segnala subito il richiamo al solido principio che in campo architettonico non potrà mai ritenersi "bello" ciò che non risulti funzionale. Ma il "funzionale" nel Novecento si lega a una tendenza codificata, precisa: e qui Sinisgalli si schiera innanzitutto contro: dice no al "decorativo", ai goticismi e rabeschi prodigati all'inizio del secolo; no al floreale e al Coppedè. Sì invece a Gropius e a Le Corbusier: che nel '34 incontra di persona, commosso quanto lui nell'accorgersi della grandezza di Leonardo da Vinci, artista-scienziato precursore di tante macchine dei nostri giorni...
Da "addetto", Sinisgalli dispensa informazioni minute su taluni procedimenti, ad esempio la fabbricazione del linoleum (nel '37-38 aveva lavorato per la Società del Linoleum, appunto, sorta in epoca di autarchia). Un miracolo totalmente razionale; analogo, a leggerne la descrizione, agli effetti dei sofisticati macchinari del Teatro alla Scala, su cui altri specialisti lo ragguagliano. Ma im-pressiona, per entità e cumulo di cifre, anche la "guerra per il petrolio"; e altrettanto l'evolvere delle tecniche di pavimentazione stradale...
Sinisgalli è persuaso che lo stile di un'età si giudichi non dagli edifici di élite ma da quelli destinati ai molti. Elogia il popolo italiano e la politica edilizia del fascismo, particolarmente in ambito scolastico e sportivo. È un curioso instancabile, da tecnico sa spiegarci non solo i congegni ma l'essenza di ciascun progetto: siano le "architetture luminose" (la luce elettrica infatti può "creare forme") oppure l'aria condizionata (l'inglese "air conditioning" corrisponderebbe al "più spirabil aere" del 5 Maggio manzoniano!). In ogni ideazione sono coinvolti ora arredatori e pedagogisti, ora medici e opera, ora chirurghi e imprenditori... È una concordia che non esiterei a definire "poetica": beninteso nell'accezione versatile, composita e lungimirante che quest'aggettivo ha in Sinisgalli.
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