Salvatore Quasimodo. Il Maestro e Sinisgalli. Ed è subito plagio
Clelia Martignoni
La Repubblica - Domenica, 28 novembre 1999 - pagina 36
UN APPUNTO INEDITO DEL GRANDE POETA Con un puntiglio poco innocente, lo scrittore annota una serie di immagini da lui usate nelle poesie di "Erato e Apòllion" e riprese dal più giovane Leonardo in alcuni versi successivi di "Diciotto poesie" I debiti rivelano la solidarietà stilistica e immaginativa della scuola ermetica, nella quale l' autore di "Oboe sommerso" ricopriva un ruolo egemone. Una curiosità: l' annotazione è indirizzata a Contini.
La grande mostra Quasimodo, che si inaugura mercoledì a Milano a Palazzo Reale, rappresenta un' ottima occasione per una riflessione finalmente unitaria sul poeta. La mostra raccoglie infatti, oltre a un ricco percorso artistico (con opere di Morandi, Sironi, Guttuso, Manzù, Cantatore, etc.), una sezione biografico-letteraria con imponenti testimonianze autografe del lavoro di Quasimodo, ricostruito nelle sue articolazioni interne e nel suo sviluppo cronologico. Gli autografi provengono dal Fondo Salvatore Quasimodo del Centro Manoscritti dell' Università di Pavia, acquisito per una recente donazione della Cariplo, del Gruppo L' Espresso e della Regione Lombardia. Di questi materiali la mostra offre ora una vasta rassegna, completata da libri, documenti, immagini. Certo il loro esame si rivelerà molto produttivo per gli studi su Quasimodo, poiché ne riguarda tutti gli aspetti (con particolare ricchezza dopo l' arrivo a Milano nel 1934), dalla formazione vivace e ibrida in Sicilia (dove Quasimodo nacque nel 1901) all' esperienza ermetica, al rinnovamento civile-resistenziale, alle ultime raccolte meditative più asciutte e desolate. Notevolissime, si sa, le traduzioni, di straordinaria varietà (dato questo che colpisce), e che non solo sono eccellenti per l' intrinseca qualità, ma hanno spesso comportato fecondi ritorni sul personale lavoro creativo di Quasimodo, in una movimentata partita di dare e avere. Penso all' esemplare incontro con i Lirici greci (1940), in sintonia con la poetica della "poesia pura" e del "frammento", ma anche, valicato il ristretto ermetismo, all' allargamento pluristilistico, comunicativo e drammatico, indotto dalle traduzioni dell' epica omerica, del Virgilio georgico, del teatro (antico e moderno), degli epigrammisti palatini, della poesia civile, magnanima ed enfaticamente sostenuta di Pablo Neruda, di altri vari e disparati moderni. Ma si rinvia per tutto ciò sia alla mostra sia al relativo catalogo (ed. Mazzotta). Il documento che qui si riproduce ci trasporta nel cuore della stagione ermetica, elaborata nella piccola capitale Firenze dove la raffinata rivista Solaria pubblicò nel 1930 il libro d' esordio di Quasimodo, dal bellissimo e "primordiale" titolo Acque e terre, già mitizzante. Nel decennio che segue Quasimodo, con le raccolte successive (Oboe sommerso, Erato e Apòllion), ha una grande responsabilità nella fondazione del linguaggio ermetico (che tante polemiche avrebbe poi suscitato per la sua "separatezza"), e in particolare nell' individuazione di certi tratti indeterminati, allusivi, analogici, frammentari, e della altrettanto rarefatta e anti- realistica mappa dei contenuti. La giovane "scuola", naturalmente provvista di varietà e distinzioni interne, costituiva un forte sodalizio. La guida critica è fornita soprattutto da Carlo Bo (è del 1938 l' intenso saggio Letteratura come vita), con il vivace contributo dell' ispanista Oreste Macrì. Le maggiori presenze poetiche sono quelle dei toscani Luzi, Bigongiari, Parronchi, del salernitano Gatto, del più defilato e anziano Betocchi, e di altri compagni di strada come Sinisgalli e De Libero. L' esperienza è unitaria soprattutto in quel decennio; quindi ognuno cerca laboriosamente la propria strada, spesso impegnandosi in forti cambiamenti di rotta e rinnovamenti. L' inedito qui proposto (che si troverà anche in mostra) è un appunto autografo senza data, ma steso nel 1936 o poco oltre, in cui Quasimodo, molto consapevole del suo ruolo egemone, annota con non innocente puntiglio una serie di riprese e recuperi di sue immagini (dalla raccolta Erato e Apòllion del 1936) nei testi del più giovane Leonardo Sinisgalli, lucano, che nello stesso anno stampò per Scheiwiller le 18 Poesie. La tavola dei debiti (puntualissima, con tanto di rinvio alle pagine, e che coinvolge anche un riscontro di Leopardi non riprodotto) è piuttosto convincente. E' significativo ad esempio il recupero in Sinisgalli di un tema-chiave quasimodiano, l' "esilio"; o la corrispondenza di un' altra immagine tipica, la "pace d' acque"; o l' affinità tra "tempo d' api" (Quasimodo) e "tempo delle vespe d' oro" (Sinisgalli); eccetera. Ma non può emergere di qui una valutazione riduttiva di Sinisgalli, allora pressoché esordiente, però già dotato di grandi qualità e di una sua precisa autonomia. Del resto Sinisgalli non avrebbe tardato a rivelare la sua personalissima misura, all' incrocio - lui ingegnere e matematico - tra arte ed esattezza scientifica, e sempre più incline in seguito a coltivare fantasie poetiche ironico-amare e una limpida vena epigrammatica. Certo, nel 1936 non poteva non avere assimilato profondamente la lezione di Quasimodo, e, oltre a Quasimodo, l' insegnamento di ciò che era più in generale nell' aria, cioè l' intero e coeso linguaggio immaginoso, astratto, ellittico, vigente nella "scuola" e dintorni, dunque ricco di altre interferenze e di scambi. Meglio ne emerge, insomma, al di là delle intenzioni di Quasimodo, che peraltro con Sinisgalli era in cordialissimi rapporti (una fotografia esposta alla mostra, e circa coeva, ce li fa vedere in una amichevole gita in barca nella Riviera Ligure), ciò che resta il dato criticamente più interessante: la solidarietà stilistica e immaginativa di quell' esperienza, l' aria di famiglia comune, al di là dei tratti singoli. Una curiosità. Sul fondo della carta è appuntato di corsa, con scrittura più affrettata, un indirizzo: quello perugino di Gianfranco Contini, che infatti dopo gli studi universitari a Pavia e il perfezionamento a Parigi, insegnò per qualche anno, tra ' 34 e ' 38, italiano e latino in un liceo di Perugia. E' ben noto che Contini fu parecchio vicino all' ermetismo fiorentino (infatti rappresentato con larghezza e consenso nella sua sempre preziosa antologia Letteratura dell' Italia unita del 1968). Dunque il riferimento qui al suo nome non è affatto esterno né casuale.
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