Sono un penitente non un libertino
di Enzo Siciliano
L'Espresso, 12 aprile 2001
LEONARDO SINISGALLI, "INFINITESIMI", EDIZIONI DELLA COMETA, PP. 160, LIRE 30 MILA.
C'è in questo volume sinisgalliano di inediti postumi, curati da Giuseppe Tedeschi, una sezione dedicata dal poeta alla moglie morta. La sezione porta il titolo di "Scolaticcio". Leggiamo: "Mi riempio la bocca / di lacrime che non riesco /a contenere". E poi: "Sto consumando gli spiccioli / dei tuoi portamonete. / Ne avevi uno gonfio / in ogni borsetta". Ancora: "Sono passati più /di due mesi. / Ci guardi senza farci paura. / Sei tornata una bambina sperduta / da ricondurre a casa / ai familiari atterriti".
Il taglio epigrammatico iscrive questi "scolaticci" allo stato smagrito di note in margine alla vita (ancora più magri degli "Xenia" montaliani). Eppure, che densità d'emozione, e che asprezza in quella povertà di suono incisa in una zona di dolore dove sembra non esservi più possibilità di prosa e neppure di poesia. Sinisgalli, si dice, appartiene alla stagione dell'ermetismo. Era poeta ed era un matematico. Una rivista di scienza e arte, "Civiltà delle macchine", è legata al suo nome. Quel che non tiene, a mio avviso, è proprio condizionarlo alla stagione ermetica. In lui c'è senza dubbio di sfondo un richiamo metafisico alla Valéry ("Come il ragno / costruisco con niente, / lo sputo, la polvere, / un po' di geometria"); ma insieme c'è nella sua poesia un brusco piglio realistico che discende dritto dritto dalle rime a dispetto della sua terra lucana, come le avesse asciugate e liberate di ogni eloquenza: "Sono un penitente, / non un libertino. / Il vento malandrino / sbatte i lembi delle tende".
Va espressa gratitudine a Tedeschi per aver dato vita a questo volume. Sinisgalli andrebbe riletto da cima a fondo; andrebbe rimeditato attentamente quel suo magnifico "Quadernetto alla polvere" del 1948.
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