Fermi memorial
A.V, n.3 (mag-giu 1957)
L’era atomica avrà il suo monumento. La giuria del concorso per un ricordo imperituro di Fermi da inserire nella Fort Deaborn Plaza di Chicago, composta dagli architetti Mies von der Rohe, Gordon Bunshaft, J. L. Sett, P. L. Nervi, e dal fisico L. Whyte, convinta — come dice la relazione — che il primo requisito del monumento dovesse essere una forte, imaginative idea, ha premiato per prima il progetto di Reginald Caywood Knight. Esso presenta, come strumento unificante, un sistema di canne sonore sistemate su tre file in modo da formare una composizione spaziale che è in armonia e in proporzione ecn gli altri complessi della piazza.
Erano stati presentati 355 progetti di 26 nazioni, tra cui 176 americani, 70 tedeschi, 37 inglesi, 17 italiani, 8 svizzeri, 7 jugoslavi, 6 russi. Viene citato nella relazione il progetto di Perugini, Valle, Parolini di Roma. I due progetti che presentiamo qui non sono stati classificati. Quello dell’arch. D'Olivo, noto ai nostri lettori, non ha bisogno di molti commenti (doveva essere alto un km), diamo invece qualche ragguaglio sull’altro degli architetti Fiorentino, Selem, Valori, Caré, Giannelli.
Lo spazio esterno è stato pensato a giardino pensile, su piastre in cemento armato a fungo, parte piane, parte cave. Le piastre cave contengono terra vegetale al fine di potervi sistemare piante, prato verde. Tale soluzione è stata adottata allo scopo di creare al fabbricato uno sfondo capace di esaltarne le forme architettoniche ed ha consentito altresì di potere ugualmente utilizzare tutto lo spazio assegnato al piano del traffico, ricavando attrezzature e servizi utili per l’edificio. Tuttavia l’aspetto più caratteristico del progetto è nel metodo particolare che influenza tutto il processo di ideazione dello spazio e dei caratteri architettonici. Gli architetti romani ci dicono che hanno voluto cercare e scegliere una norma fondamentale a priori che determinasse tutta una serie di vincoli e di regole capaci di guidarli durante lo sviluppo creativo della loro opera. Non si concepisce l’edificio quindi come un organismo che nasce da una serie di decisioni arbitrarie, ma lo si lega ad un criterio geometrico che ne determina i caratteri fondamentali. Si segue così un metodo compositivo che sviluppa un’idea di fondo, attraverso la scoperta delle sue risorse architettoniche, in parte accettate come conseguenza logica e razionale dello spunto iniziale, in parte — come nel caso specifico — scelte per adeguarle al fine che si vuole perseguire. Tale ricerca è viva e presente in molti documenti dell’architettura contemporanea: sia perché i mezzi espressivi offerti dalla tecnica sono tali da portare logicamente l’architetto a riprendere in esame il problema dei limiti della sua libertà creativa, sia per l’aspirazione di superare la fase romantica dell’arte del costruire attraverso la ricerca di un dialogo più intimo e ordinato con i problemi di tondo dello spazio architettonico.
In questo hanno attirato l’interesse del progettista le possibilità offerte dalla spirale logaritmica: cioè la curva internamente tangente a una serie di rettangoli aurei in rapporto costante tra loro. Dalla osservazione della figura si è arrivati alla costruzione di una forma elementare che si avvolge ai quattro grandi elementi verticali (pilastri).
Tali elementi risultano formati della somma di serie diverse di rettangoli aurei o quadrati corrispondenti, associati tra loro o sovrapposti, secondo i rapporti che loro competono, forniscono il mezzo per la formazione dello spazio e la sua misura.
Dal plastico appare chiara la forma a T dei piani che si avvolgono intorno ai pilastri. Tuttavia è evidente che l’assunto suesposto non può fornire una soluzione architettonica.
Si è perciò adottato lo schema di nervature curvilinee intrecciantisi ortagonalmente, avente l’andamento delle linee isostatiche.
I principali materiali usati dovevano essere:
- il cemento armato, per le parti strutturali;
- il vetro per tamponamenti esterni ed interni suddivisi e portati da strutture modulari in acciaio;
- cotto smaltato in lastre, per tamponamenti esterni ed interni, anch’esse suddivise e portate da strutture modulari di acciaio;
- il marmo per i pavimenti delle parti destinate alle esposizioni;
- la ghisa stampata per le balaustre delle terrazze esterne ed interne e per tutte le parti praticabili orizzontali e inclinate, come raccordi tra piani, passaggi, scale, cordonate.
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