Macchine in sogno

II, n.5 (settembre 1954)

La fotografia o il film, come provocatori di estasi, valgono più dei discorsi d'amore. A furia di guardare fotografie si alimentano i sogni, oltre che bighellonando tra città e cantieri, tra officine e giardini. Che dolce confusione fanno i nostri apparecchi mnemonici, e il sangue che, a corpo disteso, tutto trascina nel suo flutto proprio come un fiume divoratore! La memoria rende tutto liquido e tremante, rende tutto virtuale, dà lo stesso peso alle tonnellate di una ruota e alla piuma del passero. Da molto tempo noi aspettiamo con trepidazione che l'uomo trovi il modo di leggere nei pensieri dei gatti, e, più ancora, scopra il segreto di fissare i sogni degli uomini. Ci siamo arrischiati, in virtù del nostro assiduo manipolare immagini, a offrire qualche specimen di questi collages che, inverosimili a noi svegli e veggenti, possono diventare probabili e veri nell'alta notte, dentro la nostra cervice, e nel fondo della pupilla, o chi sa dove. Ci siamo accorti che la macchina, portata fuori dell'officina o del cantiere, intromessa nella vita, inserita nella natura, acquista serietà, individualità, significazione, e si veste di un mistero più gradevole. Ci siamo forse illusi, ricorrendo a qualche artificio di luce e di pellicola, di provocare un moto di simpatia verso questi personaggi pesanti, di accrescere in qualche modo il loro charme. (Caro Lautreamont che per primo avvertì la carica emotiva sprigionatasi dall’incontro di una macchina da cucire e un ombrello bagnato). L'estate, la sete, lo scirocco sono favorevoli ai miraggi, alle allucinazioni, e i poeti del deserto, da Geremia a Tasso, a S. J. Perse, hanno sollevato palme e trombe sulle sabbie; noi abbiamo visto ferro duro mischiato a pietre e clorofilla nelle nostre insonnie, e settembre non ci ha portato il miele.

Stampa | PDF |  E-mail | Condividi su facebook