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I tecnici pubblicitari italiani rispondono a Frank Backinger. Una rosa, una gallina e qualche scarabocchio

VIII, 2 (marzo-aprile 1954)

 

ABBIAMO PUBBLICATO NEL NUMERO SCORSO UN ARTICOLO DI A.F. BACKINGER SULL’EVOLUZIONE DELLA PUBBLICITA’ IN ITALIA. ECCO LE PRIME RISPOSTE ALLA SUA TESI. NEI PROSSIMI NUMERI PLUBBLICHEREMO ALTRE LETTERE DI SPECIALISTI

 

Cari amici,

Circe vuole proprio trasformarci tutti in porci. Da quanti anni ci disperiamo per aver guardato in faccia la Bellezza? Ora tutti vogliono convincerci che ci tocca insultarla. Ci pongono davanti agli occhi tabelle, tabelle tristi come ossari, numeri rossi e numeri neri, per dimostrarci che abbiamo sprecato il fosforo inutilmente, che anzi abbiamo fatto sprecare inutilmente milioni a tanta brava gente, ed è un miracolo che non ci portino davanti a una Corte, che non ci mandino in gabbia davanti a un Tribunale Pubblicitario. Sembra un incubo, e io confesso che avrei paura del verdetto, tanto bene conosco i Giudici che verrebbero prescelti. Con i competenti che ci sono sulla piazza io prego Iddio che questa denuncia spiccata centro di noi rimanga ancora metaforica. Ma per prudenza sarà bene preoccuparci di congegnare una difesa.

Quello che potrei dire in mia difesa non avrebbe forse molto valore. La mia posizione è in fondo, equivoca. I miei argomenti sono tutti rilevabili dai miei scritti, e i miei scritti difendono, purtroppo, la grazia, l'istinto, la improvvisazione, il colpo di fulmine, la freccia di delizia, lo scatto, l'ispirazione, l'invenzione. Malgrado la cura che io ho fatto di razionalismo, di logica, malgrado Cartesio, sono rimasto fermo all'idea che esistono ragioni che la ragione non comprende. Il y a des raisons que la raison ne comprend pas. Sono rimasto attaccato al mio Pascal, malgrado tanto calcolo e tanta geometria.

La méthode, oh il metodo! Ho faticato tutta la vita per farmi un'abitudine, un sistema, per fissare delle regole. Avrebbero potuto giovarmi, mi avrebbero fatto risparmiare l'orgasmo di risolvere ogni problema cominciando sempre dal principio, avrei evitato tanti scempi di energia, di nervi. Non sono riuscito mai a convincermi di poter risolvere un caso con l'esperienza che mi ero fatta prima risolvendo un caso simile. Mi sono troppo piaciute le soluzioni nuove, le vie inedite.

Ho sempre accettato come una condanna legata al mio destino questa attitudine comune a pochi mortali di considerare le soluzioni difficili come le più belle. Dunque io non posso deporre a mio favore, finirei col compromettere, col peggiorare la mia posizione.

Si sa, ho trafficato con libri, con idee, con personaggi troppo irregolari. Ho frequentato la compagnia di gente che se ne infischia del buon senso. Tutto sommato mi sono seduto soltanto quando mi ci hanno costretto, ed è ridicolo che io mi sia fatto legare non per scrivere versi o inseguire fole e disegnare castelli. Mi hanno fatto sedere per lavorare, per produrre. Mi hanno legato a un tavolo (un tavolo di ufficio non è una scrivania; il foglio bianco che io mi son trovato davanti quasi ogni giorno non mi veniva offerto per lasciarvi la bella immagine, la stella, ma uno schema grafico, un'operazione, un'insegna, un appello capace di convincere, di sedurre, di spingere a una decisione, di provocare un interesse, di sollecitare una domanda e addirittura una richiesta). Sì, mi hanno legato a un tavolo e mi sono sforzato di starmene seduto il meno possibile. Contrariamente a quello che tutti credono le idee, come le uova, non si covano col sedere.

E' chiaro che una difesa condotta con questi argomenti non farebbe che approvare i sospetti contro di me. Ho avuto la sfacciataggine di far desiderare una macchina per scrivere servendomi di una rosa. Ho avuto la sfrontatezza di ricorrere a una gallina per spiegare la tenuta di strada di un pneumatico. E non più tardi di ieri ho preferito servirmi di grandi scarabocchi per far conoscere trattori, locomotive, controlli elettronici, apparecchi di precisione. Ho affidato la difesa della Civiltà delle Macchine ai bambini, ai poeti, ai filosofi, piuttosto che agli ingegneri, piuttosto che ai tecnici. Difficilmente riuscirei a convincere i severi giudici del Tribunale Pubblicitario d'aver agito con ponderatezza, con riflessione, con onestà. Mi accuserebbero di aver confuso i miei tic, i miei poncifs le mie fissazioni con i miei doveri.

Bisogna proprio che io ricorra a qualche testimone e che questi testimoni non si rifiutino di rispondere. Bisogna che qualcuno dica per me che non c'è nessuna insania a prendere la gente per la testa piuttosto che per le parti basse. Ci sarà certamente una persona disposta a sostenere che il bello e il brutto hanno almeno la stessa forza di persuasione e che tante volte val meglio colpire l'immaginazione o l'intelletto piuttosto che i sensi buoni e cattivi. Un messaggio, si dice, per essere capito, dev'essere scritto per i più umili di mente. Ma nessuno riuscirà a convincermi che i più umili di mente sono necessariamente i più idioti. Del resto Gesù Cristo e Confucio, Budda e Maometto non hanno fatto ricorso allo stile che ci viene raccomandato da Mr. Backinger! Questa riduzione di tutti i problemi ai minimi termini mi ripugna profondamente. Sotto la semplificazione di ogni cosa quasi sempre è nascosta una, straordinaria pigrigia del cervello. Semplificare significa raccogliere il massimo di energia nel minor numero di segni, significa scoprire le leggi, i teoremi, i versi, la verità. E la verità è stata sempre sorprendente, enigmatica, peregrina. La verità non è mai ovvia.

Ma bisogna ricorrere ad altri testimoni. Io rischio di intorbidare le acque. Bisogna far rispondere i Nizzoli, i Pintori, i Boggeri, i Crippa, i Weiss, i Pellizzari. Bisogna scrivere al signor Herdeg, direttore di «Graphis», e chiedergli che cosa si è proposto in tanti anni di presentare al pubblico di tutto il mondo. Dei pazzi, dei degenerati, dei fanatici? Bisogna chiedere a Shawinsky, a Breur, a Lionni, perchè hanno accettato tanti sofismi, tante stramberie per far vendere cappelli, materiali di imballaggio, vitamine?

Per concludere vorrei raccomandare a tutti gli amici che hanno la possibilità di comunicare attraverso i giornali, attraverso il cinema, o la radio, o il manifesto, o l'opuscolo, di considerare con rispetto i milioni di interlocutori sconosciuti. Non mummificarli nelle rigide sembianze del cliente, dell'utente, possibile o eventuale. Non pensare solo ai loro bisogni. Non considerarli come sacchi pieni di voglie: consumatori (che orrore!), consideriamoli uomini.

Rivolgiamoci a loro senza pretendere di piegarli sempre alle nostre ragioni. Supponiamo pure che qualcuno ci sfugga, che qualcuno metta in dubbio le nostre parole. E' bene che ci sia sempre un uomo che non entra, un uomo che resta fuori del Tempio, un nemico che non si arrende, un rivale che ci mette in imbarazzo. Le pianificazioni, le statistiche, le norme, i preventivi, i decaloghi, i precetti: l'aritmetica, insomma, è una bella cosa. E' una cosa necessaria. Ma non è sufficiente. Dov'è in ballo la personalità, la scelta, l'obbligo di distinguere, c'è poco da aspettarsi dalle regole generali, dai consigli generici. Sarebbe comodo andare avanti coi manuali, con i vademecum. Le rivoluzioni (anche quelle pubblicitarie) non si fanno con le regolette. Queste «regolette» andrebbero cambiate caso per caso. Olivetti non può usare il linguaggio del Clorodont. L'Alfa Romeo non può ricorrere alla retorica Durban's. Un sapone non è un cuscinetto a sfere. Una nave non si vende come un apparecchio Phonola. Bisognerebbe fare troppe distinzioni. E allora non bastano le uova schiacciate (uova di Colombo) di Mr. Backinger e le mie plaisanteries.

14 Giugno 2023

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