La libraia di via Ripetta
di Adele Cambria
L'Unità, 27 dicembre 2005
I titoli della poesia dedicata da Leonardo Sinisgalli ad Agnese De Donato nell'inverno 1961-1962 era «Annunciazione». «Agnese non ci vuole...»; così esordiva il poeta lucano che, per primo in Italia, (non contando Adriano Olivetti, che era imprenditore e non un poeta), riuscì a stabilire un nesso materiale tra industria e poesia: inventando una rivista come «La civiltà delle macchine», in cui mescolava calcoli matematici e poemetti, architettura d'avanguardia e copertine di Burri (all'epoca ancora sconosciuto e poverissimo). Leonardo Sinisgalli era innamorato di Agnese De Donato, «la libraia meravigliosa di via Ripetta 67».
Così la definisce oggi Alfredo Giuliani, nel suo contributo al libretto/flash dei ricordi di Agnese: «Via Ripetta 67», edizioni Dedalo. Ma Agnese era incinta allora del suo secondo figlio, ed il poeta notevolmente più vecchio di lei, ma affascinante con quella doppia onda di capelli bianchi ai lati di uno scarno viso olivastro, e quel suo cervello di meridionale sulfureo, le dedicò la ballata «sacra», che proseguiva così: «Agnese non ci vuole / è stregata dal sole / s'è riempita di luce / stringe nel seno un raggio / una palma ha nel pugno. / Quando finirà il viaggio / aprile, maggio o giugno?».
Fu il 28 maggio del 1962, che nacque Giovanni, e ci ritrovammo, Agnese ed io, nella stessa clinica, dove, il giorno dopo, nacque il mio secondo figlio, Luciano. Ma Agnese - in un tempo il cui sesso dei nascituri restava ignoto fino al momento del parto - sapeva già che sarebbe nato Giovanni, e lo testimonia ora una delle tante lettere che Sinisgalli le inviava: «Cara Agnese - le scrive il poeta il 27 dicembre del 1961 - accogli i miei voti più fervidi...sopratutto per Giovanni, che ti rende, in questi mesi, più importante e davvero inviolabile. io mi sento come il vecchio prefeta Simeone, che, come sai, era certo della nascita del Sublime Bambino...».
Ecco, la nascita di Giovanni e di Luciano, nello stesso tempo e nello stesso luogo, segnò tra Agnese e me - che già ci frequentavamo, ma con qualche diffidenza, io giovane «firma» di Paese Sera, lei vulcanica protagonista culturalmondana degli Anni Settanta - anche la nascita di un'amicizia tra donne. Nella scoperta di un comune sentimento di maternità meridionale, dentro una pratica di emancipazione pre-femminista già avviata. Più «ideologica», a mia, spregiudicata la sua, alimentata da un carnivoro egoismo, che associava i figli, e presto sarebbero diventati tre, ad un lussureggiante corpo di Grande Madre: quello cui Sinisgalli dedicava un'altra poesia, assimilando la libraia meravigliosa alla Pimpaccia, la molto chiacchierata cognata di Papa Innocenzo X Pamphili. Resta da dire che «Via Ripetta 67» non è solo una veloce e divertente autobiografia femminile, arricchita da una quantità di foto ormai storiche. Ma è anche «biografia» della Roma cosmopolita degli Anni Settanta, una città della cultura «in corso d'opera», i cui abitanti si chiamavano Alberto Moravia, Carlo Levi, Natalia Ginzsburg. Fosco Maraini, Giuseppe Ungaretti, Angelo Maria Ripellino, Ezra Pround, Jorge Guillen, Tristan Tzara. E poi i giovani artisti Gastone Novelli, Achille Perilli, Mario Schifano, Renato Mambor, e tutti gli altri della «scuola di Piazza del Popolo», che l'autrice definisce «Angeli bisognosi», giocando, forse, sul nome del più bello di loro, Francesco Angeli.
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