Qui «non è cambiato nulla»
di Michele Prisco
Il Mattino, 31 ottobre 1986
Montemurro/ Nella casa natale di Leonardo Sinisgalli è rimasta la magica atmosfera dei tempi del poeta.
A Sinistra del portoncino verniciato di marrone e contrassegnato dal numero civico 67, su una piccola lapide bianca sono incise a caratteri corsivi le parole: In questa casa nacque il poeta Leonardo Sinisgalli. A destra, su una lapide grigia alta e larga, è incisa per intero, sempre in caratteri corsivi - ch'erano quelli ch'egli preferiva - , una poesia del suo primo libro intitolato nudamente 18 poesie (e questa riportata sulla facciata è, per la precisione, la quinta), edito nel '36 da Scheiwiller nella collana «All'insegna del Pesce d'oro» e ristampata poi in Vidi le Muse.
E' quella che comincia con i versi: «I fanciulli battono le monete rosse / contro il muro» ... e mi sembra scelta assai felice, non tanto o non soltanto perchè c'immette, subito, in quel mondo di visività tonale, da scuola pittorica romana, che sa cogliere nelle parole il fermo disegno delle cose e dei luoghi (ch'è stata la particolare cifra poetica di Leonardo Sinisgalli), quanto perchè riflette l'atmosfera della strada, restata intatta in questi cinquant'anni, a parte qualche automobile in sosta contro il muro.
La strada è il corso Garibaldi - e si spera diventerà presto corso Sinisgalli - e il termine farebbe pensare al solito corso cittadino dei paesi di provincia che a prima sera s'infolla del passeggio consuetudinario e dei gridi impazziti dei rondoni in volo, ma in realtà si tratta di una via stretta e un po' scoscesa, senza marciapiedi e ancora con l'acciottolato, con le case tutte a un piano e già semideserta in quest'ora del tramonto in cui la percorriamo per recarci a visitare la casa natale del poeta. Che ci sembra quasi un gesto d'indiscrezione, se l'amicizia che ci legò in passato a Sinisgalli, e il ricordo della sua estroversione, della sua disponibilità umana, non ci facessero certi che questa «visita» gli risulterebbe gradita (e ci parrà di udire, infatti, quando vi sosteremo, la sua voce sonora che a momenti fa gli onori di casa e ci racconta episodi legati a un mobile o un quadro o a un libro raro, ed è invece la voce - con lo stesso timbro e la stessa cadenza - di sua sorella Anna).
La signora Anna Mazzilli Sinisgalli, ch'è stata la maggiore dei sette figli di Vito Sinisgalli e Carmina Lacorazza, abita proprio di fronte al numero 67, così come un poco più avanti abita Vincenzo Lacorazza Enzo, ch'è il cugino, assai più giovane, di Leonardo, tanto che, ci dirà lo chiamava sempre zio Leonardo. E' la signora Anna che ha le chiavi dell'appartamento natale, e perciò con gli amici Maria Padula e Giuseppe Leone, che m'accompagnano, bussiamo innanzi tutto da lei, un piccolo colpo al picchiotto di ferro che invece, sul portoncino di fronte, è d'ottone, un grosso anello d'ottone pesante e lucido come se fosse stato appena lustrato (ed è la spia della cura con la quale la sorella del poeta conserva la testimonianze d'un passato tuttora vissuto come presente, e presenza).
La signora Nina ci aspettava, ed è felice di conoscermi: ha due mani nodose che mi stringono con forza e a lungo le mani, effusivamente, e dietro gli occhiali lo sguardo nero penetrante mobile è come l'antipo immediato del suo temperamento: della sua intelligenza anche fisica, della sua vivace e vorace curiosità umana che gli anni - ha passato gli ottanta - non hanno appanato. Porta i capelli lisci raccolti dietro la nuca in un piccolo nodo, e sono, a contrasto con la pella scura (la pelle dei Lacorazza, diceva Leonardo), bianchi spessi e luminosi, d'una lucentezza quasi cremosa, come negli ultimi tempi li aveva anche Leonardo che d'altronde, e lo ripeteva spesso, li aveva fatti grigi e poi bianchi assai presto, come un po' tutti della loro famiglia: e ne risultava più mercato, anche a lui, il colorito olivastro di saraceno.
[...] ritrovò il ritratto sottovetro, con quelli dei suoi genitori, a una parete dello studio di Leonardoo), di Enza, che frequentò due anni di scuole tecniche proprio a Torre Annunziata, dove il padre venne un'estate per la cura dei bagni salsomoiodici, di Angela, che si fece suora contro il volere paterno ed è diventata Suor Crocifissa (lo sa che proprio il mese scorso hanno festeggiato in convento i suoi cinquant'anni di monacato?). Poi, subito, mentre sorseggiamo cognac che ci ha voluto offrire quasi di forza, comare Nina esprime il suo rammarico perchè, a cinque anni dalla scomparsa, Leonardo non è più ricordato, neppure in televisione. E infine attraversiamo la strada, col mazzo delle chiavi, ed entraimo di là, da lui, nella sua casa.
Verrebbe di dire, se già fossi stato qui: non è cambiato nulla, come s'intitola, appunto, uno dei più struggenti capitoli di Belliboschi. Certo, ci sono delle trasformazioni: diciamo che non è cambiato nulla in confronto all'assetto definitivo dell'appartamento che Leonardo e Giorgia avevano negli ultimi anni dato alla casa. Ci sono i davani comodi per l'agio delle conversazioni, rallegrati da cuscini multicolori, i quadri moderni alle pareti e sulle tavole rotonde i lumi e i vasi con i cardi disseccati, le grosse coperte di cotone ricamato sui letti, i vecchi volumi sulle mensole del camino e nell'armadio-libreria, le travi riverniciate sul soffitto. Manca solo «l'odore della camomilla appesa alle travi che gli (mi) faceva fare sogni verdissimi».
I mobili della cucina tinello sono dipinti di rosso e blu: di rosso vivo la tavola e l'armadio-credenza, di blu elettrico i mobiletti pensili; e comare Nina mi domanda subito, con lo sguardo che le ride amabile e curioso: - Le piacciono, questi colori? A Leonardo no, non piacevano - e solleva le spalle, con un gesto allegro di complicità - ma li aveva pitturati Giorgia - lei diceva proprio così: pitturare (e scandire la parola), - e lui era contento. - Sorrido anch'io, mentre mi guardo attorno: tutto è in perfetto ordine, e si ha come l'impressione che Leonardo e Giorgia debbano entrare da un momento all'altro, e riprendere le loro occupazioni abituali: niente, qui, restituisce la freddeza delle case museo.
I balconi affacciano sulla vallata, il Fosso di Libritti, imparato a conoscere, ad amare attraverso i suoi libri, di poesia e di confessioni. E ritornano a un tratto, con il loro potere evocativo, altri nomi, Verdesca, Canalette, Vena, Belliboschi, a far ressa e nostalgia; ma è una nostalgia serena, perchè questo piccolo universo è ancora e sempre vivo, nell'opera di Sinisgalli. La sera ormai è calata, e tuttavia l'oscurità non è così assoluta da nascondermi il profilo degli alberi, e dei cespugli e degli sterpi, che affollano il vallone: nel silenzio vastissimo si sente, o è una mia suggestione?, il pervicace zirlio dei grilli notturni. Durerà tutta la notte, immagino. Sulla mia destra, là dove le case del paese cedono alla campagna, tenui luci forano la penombra che infittisce.
E' il nostro cimitero - mi spiega comare Nina, e la sua voce forte questa volta è quasi un sussurro. - Leonarduccio è là, con i nostri morti, nella nostra cappella. - Ripenso a quell'altra bellissima pagina di Fiori pari fiori dispari: la passeggiata in carrozza di Leonardo e sua madre sino al cimitero, la loro sosta nella cappella («un locale strettissimo e mi pareva impossibile che potesse contenerci tutti»), e le preghiere della madre dopo avere acceso «i piccoli lumi alle urne», e quel gesto di trarre di tasca, senza interrompere le preci, un pugno di castagne e darle al figlio a rosicchiare, ch'era lo stesso gesto della nonna Lacorazza prima di recitare i suoi vespri, per non farsi disturbare dai bambini. Mascolato al verso dei grilli [...]
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